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- 77 - Episode 67: Ristoranti, bar e alberghi abbandonati a se stessi: la categoria non ha voce ai piani alti
Fra maltempo e polemiche tra i politici, la riapertura di bar e ristoranti non avviene nel migliore dei modi. È vero che si potrebbe traslare il detto “sposa bagnata, sposa fortunata…”, ma in questo momento terribile, con molte imprese ormai in ginocchio, e tante che hanno gettato la spugna, ci saremmo aspettati un clima ben più sereno e all’insegna di certezze. E invece, anche stavolta, la politica ci sa dare solo il peggio di se stessa, incapace di prendere decisioni chiare e tirata per la giacca dalla burocrazia, dai tecnici o dalla demagogia. Dalla gestione del coprifuoco ai consumi vietati al bancone, è purtroppo tutto un rincorrersi di polemiche, smentite e prese di posizione che lasciano stupiti. Sembrano discorsi fra marziani, oppure litigi fra giocatori di Risiko che considerano i pubblici esercizi come pedine o territori da conquistare a Risiko. Perché distruggere la poca speranza che si sta ritrovando? È ben vero che la situazione è ancora più che complicata e qualunque cosa si decida si rischia di sbagliare, ma un po’ di chiarezza e unità d’intenti non guasterebbe. Certo serve prudenza perché fra morti, contagi e ricoveri in ospedale siamo ai livelli di novembre (quando si decise di chiudere, non certo di allentare i vincoli...). Ma è anche vero che andiamo verso la bella stagione e giorno dopo giorno cresce il numero dei vaccinati. Insomma, se si comincia a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel, perché rovinarci anche quel minimo di speranza che possiamo ritrovare? In gioco non c’è solo il futuro di decine di migliaia di aziende e di centinaia di migliaia di famiglie che in molti casi sono alla disperazione. C’è in ballo un mondo di attività e professionalità che rappresenta, più di ogni altra realtà, lo spirito dello stile di vita italiano. I nostri bar, i ristoranti, le pizzerie o le pasticcerie non sono solo “locali”, sono il simbolo di una nostra cultura antica dell’accoglienza e del vivere “bene”. Sono i terminali della filiera agroalimentare di qualità, i custodi delle nostre tradizioni famigliari o di comunità, i simboli di territori, arte e paesaggio. E insieme agli hotel sono l’esercito di quel turismo che da solo è la più importante “industria” del nostro Paese. Questo mondo però, come andiamo denunciando da anni, non ha un referente istituzionale. Le sue competenze sono frazionate fra troppi ministeri e amministrazioni regionali, ognuno dei quali pensa più ai divieti o alle sanzioni che non a fare funzionare meglio il comparto. Ne abbiamo avuta la dimostrazione esplicita in questi giorni: oltre ad uno scontro politico fra destra e sinistra su come e quando allentare i vincoli, abbiamo assistito all’esplosione del caos più totale, senza che ci fosse una sola sede in cui definire regole e protocolli. Nessuno si è preso questa responsabilità, nemmeno il ministro del Turismo, la cui nomina aveva acceso tante speranze. Ed ecco che i partiti sguazzano in questa palude, in questa terra di nessuno... E comunque all’interno i clienti non dovrebbero proprio poter entrare fino al 1° giugno. Che senso avrebbe altrimenti la circolare del ministero degli Interni che vieta ai bar che non hanno dehors di servire al bancone, anche se pochi clienti, distanziati, per evitare che si ammassino sul marciapiede? E ciò ovviamente vale anche per chi ha lo spazio aperto, ma magari piove. E ancora più sconcertante è che non si può servire al bancone nemmeno all’aperto. Sarà curioso capire come potranno lavorare adesso i bar di piscine o stabilimenti balneari... E soprattutto, chi controllerà se lì si rispetta la circolare del Viminale? Ma nonostante queste aberrazioni ai politici piace litigare sul coprifuoco (in vigore tuttora anche a Londra...). E qui la politica sembra dare il peggio di sé. Salvini e Letta si invitano reciprocamente ad uscire dal governo (quasi che “riaprire” sia obiettivo di destra o di sinistra, assurdo!). La ministra Gelmini dice che per il Governo le 22 sarebbero da intende(continued)
Fri, 14 May 2021 - 76 - Episode 67: Bene le riaperture, ma troppi limiti! Ecco le 10 cose da migliorare
Il 26 aprile si comincerà a riaprire, ma ci sono tante contraddizioni. Troppa discriminazione fra bar e ristoranti con dehors e senza. Allo stadio sì, ma perché ai matrimoni no? Perché al cinema a due metri senza mascherina e al ristorante al chiuso per ora no? Evitare errori e nuove proteste
Fri, 14 May 2021 - 75 - Episode 66: E ora pensiamo al Rinascimento del turismo e dei nostri locali
Queste settimane saranno centrali per il salvataggio del turismo estivo. L’aumento delle vaccinazioni e il decrescere dei contagi ridurranno progressivamente le restrizioni per permettere a bar, ristoranti e hotel di riorganizzare il loro lavoro. Da mesi c’è il tam-tam costante di chi, sfidando la logica, pronuncia il mantra del “riaprire” come fosse la parola magica con cui tornare alla “normalità”. Ma con buona pace dei politici o dei nuovi capipopolo che pensano basti urlare in piazza, se si apriranno le porte di ristoranti, palestre o teatri, non sarà certo per queste “pressioni”, ma perché lo permetteranno la scienza e il senso di responsabilità dei gestori. Non c’è nessun “apriti Sesamo”, né alcun genio della lampada che possa cambiare la situazione. Anzi, il “riaprire”, è un termine forse sbagliato. Almeno per un po’ non ci sarà alcun ritorno alla normalità. Finché il covid non sarà sconfitto in tutto il mondo, non saremo al sicuro. Potremo vivere certamente “più sicuri” di oggi, ma pensare che si possa tornare agli abbracci, alle resse di un tempo o ai locali sovraffollati sarebbe un’illusione che rischieremmo di pagare amaramente. Tutti vogliamo tornare a viaggiare, cenare al ristorante, prendere un aperitivo o dedicarci al tempo libero. Ma, lo ripetiamo, per un po’ di tempo nulla potrà essere come prima. E ciò vale anche per i pubblici esercizi, che hanno pagato il prezzo più alto di questa crisi. Per molti di quelli che sono sopravvissuti alla moria di chiusure e fallimenti non potrà essere un ritorno al tempo ante covid. Non ci sarà una semplice “riapertura”. Ci sarà invece una sorta di rifondazione di ogni locale per il dopo covid. Come nel Rinascimento dopo la peste erano cambiate molte cose, così avremo nuovi modelli. Dall’inizio della pandemia abbiamo illustrato tutti i cambiamenti che ci sarebbero stati. L’asporto e la delivery non potranno certo essere abbandonati. Né i nuovi sistemi di prenotazione o le relazioni online con i clienti. Le igienizzazioni e i distanziamenti dovranno tutti essere confermati e anzi rafforzati. Ci saranno nuovi menu nati dalla ricerca di questi mesi per valorizzare sempre più territorio e produzioni di qualità, all’insegna della tracciabilità e della sicurezza. Cambieranno i ricarichi sul vino e la sala avrà più peso vista la possibilità di dare più attenzione e servizio ai clienti che, ripetiamo, inizialmente saranno meno che in passato. Ci sarà l’impatto di nuove catene di fast food e lo sviluppo delle dark kitchen, da controllare per evitare rischi di massificazione e impoverimento della nostra cucina. Insomma, escluso un semplice “riaprire”, in molti casi ci saranno vere e proprie “nuove aperture” negli stessi locali e con lo stesso personale. Ciò che resterà intatto, ne siamo certi, sarà il desiderio di fare questo lavoro e valorizzare le Cucine italiane e la filiera agroalimentare. Sarà un Rinascimento del nostro turismo. Ed è a ciò che bisogna puntare con fiducia e ottimismo, resistendo nell’ultimo miglio senza cedere a scoramento o rabbia, utili solo a criminali o ai professionisti della demagogia. Ma sopra ogni cosa, non ci stancheremo di ricordarlo, oggi ciò che conta davvero non sono gli aiuti dei “Sostegni”, pure fondamentali, ma avere la volontà di vincere le nuove sfide con obiettivi e progetti chiari. E magari con locali covid-free. Le sciocchezze sulle “isole” più o meno grandi lasciamole a chi non conosce la geografia o la realtà del nostro turismo.
Fri, 14 May 2021 - 74 - Episode 65: Tamponi gratis per tutti in settimana. Londra si prepara a riaprire anche i ristoranti
E ora il Regno Unito vara il provvedimento forse più rivoluzionario per uscire il più in fretta possibile dai vincoli imposti dalla pandemia: controllo coi tamponi gratis per tutti. Giusto ciò che Italia a Tavola sta proponendo finora inascoltata per garantire le vacanze estive in sicurezza e la riapertura di ristoranti, palestre e teatri. Alla faccia di negazionisti e no-vax, e cancellando definitivamente ogni stupidaggine sull’immunità di gregge da raggiungere “naturalmente” (iniziale progetto di un po’ tutti i sovranisti), Londra accelera sul ritorno ad una "quasi" normalità. Fra una settimana si allenterà il lockdown e si riapriranno parrucchieri e pub. In vista di questo appuntamento storico (mentre decessi e ricoveri in ospedale sono crollati ai minimi storici grazie al successo della campagna vaccinale) da venerdì 9 sarà attivata l’operazione “tamponi gratis” due volte a settimana per tutti i cittadini in Inghilterra. Una decisione presa in tempi brevissimi e senza le assurde liturgie italiane che avrebbero comportato passaggi fra Governo, Regioni, Cts, Parlamento, protezione civile e sindacati… Lo ha annunciato il governo britannico in una nota, precisando che in aggiunta alle scuole ed ai posti di lavoro in futuro saranno allestiti nuovi centri per condurre i test rapidi anticovid. Chiunque potrà essere sottoposto a tampone, con il risultato atteso in 30 minuti, anche in assenza di sintomi. «Mentre continuiamo a fare buoni progressi nel nostro programma di vaccinazione e procede la roadmap per allentare cautamente le restrizioni, test rapidi regolari sono anche più importanti per assicurare che i nostri sforzi non vadano sprecati», ha commentato il premier Boris Johnson. Non si parla dei prossimi allentamenti, ma è sicuro che i pubblici esercizi e i locali di intrattenimento e tempo libero saranno i primi ad essere beneficiati da questi pass. Anche perchè il personale, se non ancora vaccinato, potrà fare i test e quindi garantire anche ai clienti la certezza di stare in locali covid-free. E tutto sarà certificato, probabilmente anche con un'app, che magari potrebbe essere utilizzata (aggiungiamo noi) anche per viaggiare sui mezzi pubblici come si fa in Cina o in Corea. In Gran Bretagna sono state somministrate finora 37 milioni di dosi di vaccino anti-Covid. In tutto le prime dosi sono 31,5 milioni mentre sono 5,4 milioni le seconde dosi. Metà della popolazione è praticamente vaccinata e, come detto, i risultati si vedono e con il tampone gratis sarà ora possibile procedere speditamente verso la realizzazione di locali e aree covid free e dare il via alle certificazioni e al passaporto vaccinale per accedere praticamente ovunque in sicurezza. Il tampone gratuito è uno strumento formidabile, non ci stancheremo certo di ricordarlo, per permettere di garantire locali covid-free senza creare alcuna discriminazione nei confronti di quanti non hanno ancora fatto il vaccino (giovani) o non lo possono fare (immunodrepressi o con patologie e allergie gravi). Ed è anche un modo per non escludere o emarginare quanti non vogliono vaccinarsi per paura o pregiudizio. Certo per la comunità è un investimento importante, ma sempre più sopportabile che avere terapie intensive al collasso per saturazione dei posti letto e tassi di mortalità alle stelle. E gli inglesi, con pragmatismo, badando al risultato più utile hanno scelto con decisione di aggiungere i tamponi gratuiti alla campagna vaccinale fatta senza risparmio di risorse. C’è da sperare che Draghi, certamente il più serio e pragmatico premier degli ultimi anni, sappia prendere esempio da questa decisione e, invece che mediare fra le baruffe da cortile fra Salvini e Speranza, scelga di fare tamponi gratuiti a tappeto per compensare il ritardo dei vaccini. E su queste basi permetta di riaprire ristoranti, bar, teatri e palestre. Il tutto ben sapendo che oltre ai no-vax ci sono anche i contrari ai test di massa. Se ne è già accorto anche Boris Johnson (continued)
Fri, 14 May 2021 - 73 - Episode 64: Tamponi gratis almeno per i giovani: così il turismo in Italia può ripartire
Come non essere d’accordo col Governatore siciliano che aveva accusato i magistrati di avere ricattato tutta Italia minacciando lo stop ai processi se non fossero stati vaccinati prima di tutti… Per fortuna, le toghe si sono poi scusate e la polemica è rientrata, ma fino a quando? E Musumeci può davvero parlare dopo che la sua Regione ha imbrogliato sui dati di contagiati per non esser messa in zona rossa? Dal fronte opposto ci sono invece i cardiologi di un ospedale in Puglia che non vogliono vaccinarsi e il personale no-vax di una Rsa in Lazio che ha infettato tutti gli anziani assistiti. E intanto, in questo Paese schizofrenico chi vuole essere corretto e magari si fa un tampone per poter prendere un aereo “in sicurezza” per tutelare gli altri, deve spendere fino a 100 euro. Credo ce ne sia abbastanza per porci il dubbio di come si possa pensare ad una vita quasi normale, riaprire i ristoranti o fare ripartire quanto prima il turismo. Ci sono obiettivamente troppe cose che non vanno e non è che il perdurare delle polemiche fra Regioni e Governo, o fra i partiti, su divieti o zone colorate possa offrire agli italiani motivi di ottimismo. E meno male che un bel segnale lo ha dato il premier Draghi, vaccinandosi (era il suo turno) con AstraZeneca e chiudendo così tante altre inutili e strumentali polemiche. I politici fanno a gara per riaprire, ma alla fine si può andare solo all’estero (!) La verità è che tutti vorrebbero riaprire. A parte forse gli oltranzisti di Leu schierati per ragioni di partito col Ministro Speranza. In Italia c’è una gara a chi grida più forte: in pochi hanno idee precise su come fare, ma straparlano (un vizio dei populisti e dei sovranisti che si sentono dotati di poteri magici), mentre i più “rinviano” sperando nel caldo estivo. E intanto però, mentre pubblici esercizi e hotel restano chiusi o vuoti, abbassiamo le difese e concediamo di andare all’estero, nonostante in Italia anche dopo il 6 aprile sarà vietato spostarsi fra le Regioni. Ovvio che in questa situazione il settore del turismo e dell’ospitalità, fermo da mesi, sia insorto con parole di fuoco, giustamente, contro la classe politica, ottenendo il tardivo risultato di obbligare, giustamente, chi rientra a farsi un tampone. Non c’è turismo senza i giovani: i tamponi sono carissimi Già, quasi che i tamponi siano la risoluzione di tutto. Non abbiamo certo neanche noi la bacchetta magica di Merlino o di Harry Potter, ma alcune cose potrebbero essere facilmente risolvibili usando un po’ di buon senso. Se vogliamo far ripartire il turismo bisogna ad esempio che “tutti” si sentano sicuri. In attesa che le vaccinazioni partano sul serio per tutti (con magistrati, politici e giornalisti ovviamente in fila come tutti in base all’età o alle eventuali patologie), ogni speranza è riposta sul passaporto vaccinale europeo che si spera entri in vigore da metà giugno. Una soluzione che per primi abbiamo lanciato in Italia. Ma ai tanti, soprattutto giovani, che non potranno aver fatto ancora il vaccino, chi ci pensa? Se uno non sarà vaccinato, per utilizzare la green card dovrebbe avere almeno test negativi recenti. Ma siamo sicuri che questo si possa fare? Già oggi, se devi prendere un aereo, il medico in genere non ti prescrive un tampone e, in base alla regione (chissà perché?), si paga dai 70 ai 100 euro. Se poi hai la sfiga di essere asintomatico, ma di risultare positivo, non puoi partire e la compagnia aerea (che richiede tampone fatto entro 48 ore) ti dice che non rimborsa il biglietto aereo (Ryanair su tutte) perché non lo hai chiesto entro 48 dalla partenza. Test più facili per chi non è vaccinato anche per poter andare al ristorante e in albergo Possiamo dire che è uno schifo? Possiamo dire che così chi è corretto è portato a cercare scappatoie, come magari fare un test rapido se dovesse atterrare in Sardegna, salvo avere nel frattempo sicuramente infettato qualcuno in aereo e a terra? E che dire di chi prende il treno(continued)
Fri, 14 May 2021 - 72 - Episode 64: Alla fine i Sostegni sono solo un cerotto. Ai ristoranti servono idee e investimenti
I conti sono presto fatti, e la Fipe li ha messi sul tavolo del confronto, sempre più difficile, con Governo e Regioni. Se un ristorante “tipo” in Italia nel 2019 aveva fatturato 550mila euro (che è poi la media delle dichiarazioni dei redditi del settore), ad andare bene bene l’anno scorso ha perso almeno il 30% del fatturato (la soglia indicata nel decreto Sostegni). Pur scontando che il personale dovrebbe avere ricevuto la cassa integrazione, e pur avendo goduto di qualche migliaio di euro fra i “ristori” e gli aiuti per gli affitti, ora con il decreto Sostegni dovrebbe beneficiare di un contributo una tantum di 5.500 euro. Davvero una miseria per fare fronte ai costi fissi che gravano sul locale. E non è andata certo meglio ad un bar che, sempre per un locale tipo, poteva avere un ricavo annuo nel 2019 di 150mila euro, mentre ora avrà un bonus di 1.875 euro, il 4,7% della perdita media mensile. È evidente a tutti che questi “aiuti” non possono certo bastare e servono stanziamenti ben più importanti. Anche perché pur con un locale chiuso per decreto i tributi, tipo quelli sui rifiuti, vanno pagati comunque. E da come è cominciato l’anno (prima le chiusure di Capodanno, poi per le vacanze invernali e ora per Pasqua) c’è poco da stare allegri e da sperare in una qualche ripresa spontanea del mercato. Per il turismo e la ristorazione c’è proprio poco per essere ottimisti. Ad aprile ci saranno altri stanziamenti con un altro decreto, ma alla fine sarà sempre un modo di distribuire un po' di cerotti senza curare le ferite vere, che richiedono interventi radicali e riforme efficaci per mettere in sicurezza un comparto strategico per tutto il Paese. Servono investimenti, ma anche idee. I primi si possono recuperare, ma per averli servono davvero progetti seri. Stoppani: serve un progetto per il futuro Purtroppo, come ha ricordato amaramente anche il presidente della Fipe, Lino Stoppani, la coperta è corta… ma ciò non significa che si debbano accettare le briciole o pensare di continuare a vivere giorno per giorno sperando magari in illusori cambi di colore, devastanti sul piano psicologico quanto su quello gestionale. La situazione è drammatica e sottoscriviamo in pieno quanto ha detto il leader dei pubblici esercizi: «bisogna uscire immediatamente dall’ottica di breve periodo e mettere in piedi un piano di ripartenza che garantisca il diritto al lavoro e non sottoscriva semplicemente il dovere di stare chiusi. Serve un progetto che dia una prospettiva di futuro reale alle imprese e non solo un sostegno temporaneo, che appare oggi una fragile stampella». E proprio perché le stampelle non sono utili a nessuno, occorre fare alcune considerazioni una volta per tutte. Un anno e passa di lockdown più o meno annacquati (e in verità anche più leggeri di quanto non facciano in Germania dove le chiusure continueranno per tutto aprile) ha colpito a morte un comparto che ha già lasciato sul campo quasi un locale su dieci. Fra chi è fallito e chi non ha aperto, la lista coinvolge tutta Italia e solo la chiusura di tante vetrine di ogni tipo impedisce di capire fino in fondo l’entità di questa carneficina. E alla riapertura auspicata per dopo Pasqua ci saranno tante altre saracinesche che resteranno abbassate. Rafforzare le aziende sane Il problema vero è che la pandemia ha colpito indifferentemente le aziende sane e quelle più fragili, così come sta facendo oggi con le persone. E anche quando i contagi saranno finiti, il Covid continuerà a mietere vittime. Per questo da tempo insistiamo sul fatto che servono piani di investimenti e nuove regole per rafforzare le aziende sane, farle crescere per dimensione e attività. Ma qui servono scelte chiare da parte della politica. Avere ad esempio escluso dai sostegni le aziende con più di 10 milioni di fatturato è una follia, tanto più che in queste condizioni ci sono magari società che gestiscono più locali, ma sotto un'unica ragione sociale. Questa logica miope del “piccolo è b(continued)
Fri, 14 May 2021 - 71 - Episode 63: Aprire ristoranti e teatri ai vaccinati. Servono nuove regole per locali covid-free
Non solo la Grecia con le sue isole covid-free. Grazie alla vaccinazione di massa fatta in tempi record, anche Israele sta diventando una delle mete più interessanti per un turismo che più che mai vuole puntare sulla sicurezza. Sono pronte quindi campagne promozionali per aggiungere nuovi viaggiatori rispetto ai flussi tradizionali di tipo religioso, o più innovativi come quelli sportivi o gay-friendly. Ma più in generale è tutta la mappa europea e mediterranea del turismo a prepararsi allo sconvolgimento generato dalla pandemia. Un dato per tutti: la Germania che ha sorpassato l’anno scorso l’Italia, classificandosi come la principale destinazione turistica del vecchio continente. Noi siamo scesi ad appena 203 milioni di pernottamenti per effetto del crollo del 53%, mentre le notti in Germania sono state 261 milioni (-40%) e 144 milioni di Spagna che con un -69% si è piazzata al terzo posto. A pesare sul drammatico crollo delle presenze in Italia è stata ovviamente la mancanza di turisti stranieri, con un calo del 70% dei pernottamenti dei non residenti, a fronte di un calo del turismo domestico del 36%. Un’assenza che ha determinato la crisi da profondo rosso di tutto il sistema turistico anche perché ha riguardato la fascia di clientela a più alta capacità di spesa. Con ricadute su tutto il sistema economico, visto che ad andare in default, oltre ad hotel e ristoranti, è stata tutta la fascia del commercio di lusso, concentrato in particolare nelle città d’arte che sono state le più colpite. Alberghi e ristoranti hanno avuto un calo in media del 40%, mentre le spese per ricreazione e cultura sono scese del 23%. Ora neanche Pasqua potrà dare una boccata d’ossigeno e ogni speranza è più che mai rimandata all’estate, sempre che la campagna vaccinale prosegua nonostante il “caso” AstraZeneca. Ma è evidente che una qualche ripresa potrà esserci solo se ci saranno condizioni minime di sicurezza. Da tempo insistiamo sulla necessità che l’Europa vari al più presto un green pass, un passaporto vaccinale, per salvare le vacanze degli italiani e quelle degli stranieri in Italia. Bisogna che con urgenza si consenta agli europei di muoversi in sicurezza all’interno o all’esterno dell’Ue, per lavoro o turismo. Ne va anche della tenuta del sistema agroalimentare nel suo complesso visto che un terzo delle spese durante le ferie riguardano proprio il cibo, soprattutto pranzi e cene al ristorante. Ma in attesa dell’estate, e magari approfittando di questo lockdown che di fatto ci blocca in casa o nei luoghi di lavoro, è assolutamente necessario porre mano a norme che regolino da un lato i luoghi “covid-free” (evitando magari il classico fai da te regionale, come nel caso della Sardegna) e dall’altro possano garantire un minimo di libertà in più - anche di spesa - a chi, fortunatamente, è già vaccinato. Parliamo di almeno 7 milioni di persone a cui, dosi, permettendo, se ne potrebbero aggiungere 2-3 milioni a settimana. Perché il Cts non ha ancora indicato come si possono e devono comportare queste persone? Negli Stati Uniti sono già state date indicazioni per cui i vaccinati possono anche riunirsi fra loro al chiuso e, fatte salve le procedure di sicurezza, possono quindi anche andare al ristorante o a teatro. E per l’estate in tutti gli States le attività e il turismo saranno di nuovo in piedi. Perché noi restiamo in silenzio? Il comparto più martoriato da questa pandemia potrebbe con gradualità ripartire offrendo servizi a chi può accedervi. Non si tratterebbe di una discriminazione verso chi si deve ancora vaccinare, ma un modo per rimettere lentamente in moto una macchina che necessita anche di controlli. Già perché il silenzio di Governo e Regioni su questo tema è dovuto forse al fatto che hanno paura di non sapere fare con rigore i controlli nei locali, come purtroppo attestano i casi della movida selvaggia dei giorni scorsi. C’è ovviamente anche la questione centrale della messa in sicurezza del person(continued)
Fri, 14 May 2021 - 70 - Episode 63: Ora rimborsare i danni subiti. Il Governo aiuterà davvero i ristoranti col decreto Sostegni?
Il ministero dell'Economia smentisce che il decreto Sostegni si basi sui fatturati dei mesi di gennaio e febbraio. Vince la richiesta della Fipe? Le associazioni chiedono parametri di aiuti in base alle chiusure, alla ridotta attività e poi al calo di fatturato, ma su base annua. Cassa integrazione fino a giugno
Fri, 14 May 2021 - 69 - Episode 62: Ecco come ripartirà il Turismo: in Grecia c'è già la prima isola covid-free, Kastellorizo
A neanche due km c’è la costa turca, mentre Cipro è a un centinaio di km in linea d’aria. È la piccola isola di Kastellorizo, famosa per essere stata il set del film Mediterraneo di Gabriele Salvatores (premio Oscar 1992), ed ora prima comunità covid-free del Mediterraneo. Tutti i suoi abitanti hanno infatti ricevuto la seconda dose del vaccino Pfizer, nessuno escluso. Prende così consistenza, alla faccia dei negazionisti e no-vax di tutto il mondo, il progetto di Atene di puntare su un turismo covid-free, vaccinando in massa tutti gli abitanti delle località a vocazione turistica. A giorni saranno completati i progetti turistico-sanitari per molte delle 1500 isole greche, soprattutto di quelle più piccole, come appunto Kastellorizo che ha poche centinaia di abitanti. E proprio le isole, con meno abitanti e più possibilità di controllare i movimenti delle persone rispetto alla terraferma, sono state scelte non a caso come località principali per la prima e la seconda vaccinazione Pfizer a gennaio e febbraio di quest’anno. Il governo greco ha valutato con attenzione il rischio che i piccoli centri medici siano sopraffatti da gravi casi di Covid e quindi ha fatto una scelta di sicurezza della popolazione (che nelle piccole località isolane non hanno nemmeno ospedali raggiungibili facilmente) , ma ha anche giocato con determinazione la carta dei vaccini in vista della ripresa del turismo internazionale. Offrire zone «Covid Free» diventa uno straordinario valore aggiunto, motore di ripresa e di ricchezza. E in Grecia ciò equivale al 20% del Pil. Boom di prenotazioni dai turisti inglesi prossimi alla "libera uscita" Basti solo pensare che in Gran Bretagna, dopo che il premier Boris Johnson ha annunciato una possibile riapertura ai viaggi dopo il 17 maggio, c’è stato un boom del 630% delle prenotazioni al mare con la Spagna e la Grecia come mete preferite. Ovviamente perchè questa scelta stia in piedi è indispensabile che chi arriva nelle isole greche, come in altri luoghi covid-free (da realizzare auspicabilmente anche in Italia), sia vaccinato o abbia tamponi negativi recenti, altrimenti tutto rischierebbe di essere vanificato. E questo impone alcune riflessioni importanti su cosa fare in Italia. Nelle piccole isole si potrebbe seguire il modello greco, ma nel resto del Paese ci sono al momento troppi ostacoli. Il caso Sardegna e il problema dei controlli Pensiamo ad esempio a come la Sardegna potrebbe avere enormi vantaggi dalla scelta di diventare anch’essa un "grande" isola covid-free. Ma per farlo occorre che tutta la popolazione sia vaccinata, il che essendo ai primi di marzo sembra abbastanza irrealistico, anche se è l’unica regione oggi in fascia bianca, a parte due enclave rosse. Ma poi c’è il problema dei controlli di chi arriva. Per chi arriva in aereo non ci sarebbero problemi. Più complicato, visto anche il caos creato l’anno scorso, sarebbe fare accertamenti agli imbarchi dei traghetti. Ma con un po’ di organizzazione lo si potrebbe anche fare. Il vero buco nero della sicurezza sarebbero però gli sbarchi dei “privati”. Fra yacht che attraccano in porto o restano in rada, c’è differenza e in ogni caso siamo sicuri che saremmo attrezzati per fare controlli 24 ore su 24? Non dimentichiamo che la seconda ondata della pandemia è partita proprio dalla Costa Smeralda dove c’erano molti vip sbarcati dalle loro imbarcazioni in totale assenza di controlli. Fondamentale il controllo di chi si muove o entra nei locali Sta di fatto che la scelta della Grecia è più che lungimirante e tiene conto che il controllo dei movimenti è fondamentale. Una piccola isola è come se fosse naturalmente in lockdown e salvo pochi casi (pensiamo a Mikonos) non ha quasi mai rischi di assembramenti. Due condizioni che aumentano notevolmente i livelli di sicurezza e la conseguente immagine positiva che possono dare. Se poi dai territori si potesse trasferire questa esperienza positiva anche ai locali che accolgono turist(continued)
Fri, 14 May 2021 - 68 - Episode 62: Franceschini, ci sei o ci fai? I ristoratori e i baristi non sono gli untori
Franceschini, ci sei o ci fai? Da mesi si cercava chi fosse nel Palazzo il vero nemico di ristoratori e baristi, chi nell’ombra avesse tramato per addossare a loro il falso ruolo di untori. Altro che inutili allarmismi dei virologi o il silenzio assordante del ministro della Salute Roberto Speranza o, peggio ancora, le bugie dell’ex premier Giuseppe Conte. Stavolta il ministro della Cultura ha finalmente gettato la maschera e ha svelato il suo vero volto: è lui il “killer” dei pubblici esercizi. Con abilità da politico della Prima Repubblica, Dario Franceschini era sempre riuscito a nascondere la mano dopo aver tirato il sasso. Né qualcuno avrebbe mai pensato di fare l’antica prova del guanto di paraffina al Ministro che quale titolare “anche” del Turismo avrebbe dovuto essere il difensore d’ufficio del mondo dell’accoglienza, e invece usava una P38 contro chi serve spritz o spaghetti al pomodoro. È bastato che nel nuovo Governo il Turismo prendesse una sua autonoma identità, con tanto di ministro ad hoc, perché Franceschini si liberasse del fardello che lo angustiava da sempre: per lui bar e ristoranti dovrebbero stare chiusi per sempre, o quasi, perché sarebbero luoghi pericolosi. E la confessione non l’ha fatta in Chiesa o in un gruppo ristretto di amici. L’ha dichiarato pubblicamente in un’intervista al Corriere della sera dove sembra che l’unica cosa che lo rassereni sia essersi liberato di questa zavorra che non avrebbe mai gradito: «In questi mesi - ha dichiarato - abbiamo capito che i luoghi più pericolosi sono quelli dove ti togli la mascherina: ristoranti, bar, case private». Questa la follia di un Ministro che senza una sola prova scientifica, anzi contro i pareri dello stesso Comitato tecnico scientifico, spara a zero nel mucchio senza che nessuno (Draghi dove sei?) lo richiami all’ordine. Una semplice riga in cui si mettono alla berlina le imprese che più di tutte hanno pagato prezzi altissimi e spesso senza ragione, nonostante le prove di serietà e sicurezza date in più occasioni. Un’operazione che sul piano sociale e culturale si può tranquillamente definire da criminalità politica. Ma perché queste idiozie non le ha dette quand’era anche ministro del Turismo? Quindi per Franceschini nelle zone gialle chi frequenta un pubblico esercizio è come se entrasse nella tana del mostro Covid... Peccato che non ci siano stati focolai accertati nei ristoranti, mentre episodi di contagi a catena ci sono stati in occasione di spettacoli, che pure per Franceschini sono invece “sicuri”. «Nei teatri e nei cinema - ha aggiunto nella sua delirante dichiarazione - già nella riapertura estiva, c’erano misure di sicurezza molto rigide che si sono rivelate efficienti: mascherina, distanziamento, igienizzazione delle mani, sanificazione dei locali». Ma il ministro della Cultura ha forse alzato il gomito? Non lo sa che i protocolli di sicurezza dei ristoranti prevedono le stesse cose (mascherina, distanziamento, igienizzazione delle mani, sanificazione dei locali) e anche di più? Se poi pensiamo che in un teatro o in cinema nessuno può controllare se per circa due ore al buio l’utente indossa o meno la mascherina, c’è da chiedersi come faccia a sedere al governo. In un altro Paese, dopo simili dichiarazioni ci sarebbero state sollevazioni di piazza e magari le dimissioni immediate dell’improvvido ministro. Ma siamo in Italia e concludiamo con l’amaro commento del direttore generale di Fipe, Robeto Calugi, secondo cui «lascia stupiti leggere queste dichiarazioni, in particolare da un Ministro della Repubblica. Se si applicano i protocolli previsti dal Comitato tecnico scientifico i ristoranti sono luoghi assolutamente sicuri. Basta ricordare che furono riaperti il 18 di maggio e non ci risulta che a giugno, a luglio o ad agosto ci furono impennate dell’epidemia. La ristorazione e i pubblici esercizi in generale meritano certamente maggior rispetto, dopo un anno drammatico come questo». E forse ha ragione Calugi, m(continued)
Fri, 14 May 2021 - 67 - Episode 61: Basta decisioni all'ultimo minuto. Il Governo rispetti le imprese
Il ministro in scadenza del Governo Conte ha firmato i decreti per l’avvio anticipato di un giorno delle zone arancione nemmeno 4 ore prima della scadenza (facendo così annullare tutte le prenotazioni e le spese fatte dai ristoranti per il giorno di San Valentino) e lo stesso ministro, confermato nel Governo Draghi, ha firmato sempre con un anticipo di sole 4 ore il blocco delle stazioni sciistiche (annullando così tutte le prenotazioni di skipass e alberghi). In entrambi i casi la reazione delle imprese e dei cittadini è rabbia e delusione, anche perché sempre lo stesso ministro, che è poi Roberto Speranza, se ne è guardato bene dal dire una sola parola, preferendo mandare avanti i tecnici su cui si scaricano i fulmini dell’opinione pubblica e parlando genericamente dei soliti “ristori” con cui coprire le vergogne di una certa politica ondivaga e irresponsabile. Un comportamento che si è ripetuto anche col suo consulente numero uno, il professor Walter Ricciardi che ha allarmato mezza Italia parlando di un possibile lockdown immediato. E per fortuna che era domenica, altrimenti i mercati avrebbero salutato in ben altro modo l’avvio del Governo Draghi. Ma anche in questo caso Speranza è rimasto zitto. Così come era successo nei giorni scorsi quando aveva imposto al suo Cts di smentire in modo grossolano e patetico la decisione positiva già presa dallo stesso Comitato sulla possibilità di riaprire parzialmente la sera i ristoranti nelle zone gialle. Il guaio è che con queste decisioni all’ultimo momento e senza motivazioni vere, Speranza ha alimentato un risentimento che difficilmente potrà essere sanato, tanto da costituire un possibile vulnus per il Governo Draghi. E non è un caso che sui social si sia scatenato un polverone in cui, quando va bene, il ministro è tacciato di essere pregiudizialmente contrario alle piccole imprese o al mondo dell’accoglienza. Per parte nostra pensiamo che questo politico sia solo inadeguato al ruolo che svolge e che proprio in questa fase stia dimostrando tutta la debolezza di chi non ha autorevolezza. Pensiamo solo al piano vaccinale che ogni regione gestisce a modo suo e il Ministero conta meno del commissario Arcuri, altro personaggio di cui in tanti richiedono la sostituzione. E in mezzo resta il mondo dell’accoglienza e del turismo, che è stanco di una navigazione a vista fatta di illusioni, mezzi impegni e poi bastonate. Il compito di Draghi da questo punto di vista è davvero improbo, perché oltre a garantire risultati positivi dopo le perdite di tempo del governo Conte dovrà anche rimediare ai danni causati dai troppi tecnici che parlano senza prima confrontarsi con chi deve decidere o che, peggio, come nel caso della sanità, sono sollecitati dal ministro a intervenire su ogni cosa, per poi agevolargli il lavoro, certo non gradevole, di chi deve porre i limiti o i divieti con la scusa che lo chiedono gli esperti. I ristoranti, gli hotel, i bar e le pizzerie aspettano di poter riprendere a lavorare in sicurezza. Piaccia o non piaccia a Speranza. E se non si potrà fare subito, qualcuno lo deve spiegare con chiarezza e responsabilità. L’importante è finirla con gli allarmismi. Serve un cambio di passo. C’è un mondo pronto a ripartire con coraggio e che ha la fiducia dei consumatori. Lo dimostra l’incredibile successo del nostro sondaggio annuale sui Personaggi dell’anno che, nonostante i locali siano per lo più chiusi, ha confermato ancora una volta l’interesse e il consenso di centinaia di migliaia di italiani che sanno bene come la ripresa del Paese ci sarà solo quando ripartiranno i simboli del nostro stile di vita. Il ministro in scadenza del Governo Conte ha firmato i decreti per l’avvio anticipato di un giorno delle zone arancione nemmeno 4 ore prima della scadenza (facendo così annullare tutte le prenotazioni e le spese fatte dai ristoranti per il giorno di San Valentino) e lo stesso ministro, confermato nel Governo Draghi, ha firmato sempre con un anticipo d(continued)
Fri, 14 May 2021 - 66 - Episode 60: Digitale, licenze e Recovery Plan: il Turismo aspetta Draghi
Quale crescita economica vogliamo per i prossimi anni? E che ruolo potrà avere il turismo? Queste le domande che da mesi si pongono le migliaia di imprese del settore che, dai bar agli hotel, dai ristoranti ai grossisti, dai produttori alle agenzie di viaggio, più di tutti hanno pagato il prezzo di una crisi che rischia di diventare una catastrofe di fronte alle decine di miliardi di fatturato perso, alle migliaia di aziende già chiuse e a quelle che possono non riaprire lasciando senza lavoro un numero oggi incalcolabile di addetti. Per mesi i ristori o arrivavano tardi o erano insufficienti, e tutto veniva rinviato in maniera quasi miracolista al Recovery Plan, occasione storica per riorganizzare uno Stato che fra sanità, giustizia, scuola, ricerca ed ambiente è assolutamente inadeguato. Ma le scelte fatte dal Governo Conte non erano soddisfacenti, al punto che è andato in crisi con la soddisfazione di non pochi ristoratori o albergatori che lamentavano, fra le altre cose, un’esclusione dagli investimenti previsti proprio nei nuovi progetti da realizzare grazie ai maxi prestiti europei. Ora ci si aspetta soluzioni che non possono più essere il frutto di mediazioni con incompetenti o inconcludenti. Servono scelte per creare ricchezza, eliminare i vincoli allo sviluppo e abbandonare l’assistenzialismo demagogico degli ultimi tempi. Usando il buon senso si capisce che non si può rinunciare al Turismo, uno dei cardini dello stile di vita italiano e dell’immagine dell’Italia nel mondo: i soldi pubblici servono per creare sviluppo e vanno quindi utilizzati anche per rendere competitivo e più efficiente anche il nostro giacimento di ricchezza. E non a caso uno dei pochi impegni sfuggiti di bocca al riservatissimo Draghi in questi giorni di consultazioni riguarda proprio il turismo, oltre ovviamente alla lotta alla pandemia e alla disoccupazione che grava sull'Italia come la peggiore minaccia sociale dei prossimi mesi. Del resto il pensiero dell'ex presidente della Bce è da tempo chiaro: i debiti si dividono fra buoni e cattivi. Fra quelli cioè che permetto di creare ricchezza, e quindi fare crescere le imprese e l'occupazione (soprattutto dei giovani), per avere poi le risorse per restituire i prestiti, e quelli per fini assistenzialistici improduttivi e senza valore (tipo la gestione del reddito di cittadinanza), che alla fine ci rendono più poveri e più indebitati. Come dire, secondo un detto molto usato in questi giorni, agli italiani andranno dati soldi per comprarsi canne da pesca, non per comprare del pesce. In questa prospettiva il turismo 4.0 è sicuramente un settore che può generare nuova ricchezza, ma ha assolutamente bisogno di rafforzare e valorizzare ristoranti e hotel, E questo obiettivo non può non essere ai primi posti dell'agenda di Mario Draghi. Parliamo di imprese che muovono circa un terzo dell’intero Pil nazionale e che in questo anno di pandemia hanno pagato costi altissimi nella quasi indifferenza delle istituzioni. Fra gli investimenti necessari ci sono almeno due macro aree che devono essere previste nei progetti del Recovery Plan, con benefici per tutto il Sistema Italia: - la revisione delle aree urbane e delle licenze - la digitalizzazione di tutte le imprese, dai ristoranti ai musei La questione urbanistica è ovviamente la più complessa, ma è indispensabile se non si vuole abbandonare al degrado e all’impoverimento una gran parte dei centri storici italiani. Fra trasporti saturi, inquinamento e scelta di molte aziende di delocalizzare gli uffici o di proseguire con lo smart working, molti esercizi pubblici chiuderanno. Ciò pone il duplice obiettivo di riqualificare i locali commerciali lasciati liberi (che non possono essere occupati da attività marginali di extracomunitari) e di accompagnare l’insediamento di nuovi bar o ristoranti là dove si creeranno nuove domande di chi ha necessità dei servizi del “fuori casa”. Il tutto con nuove norme all’ingresso e un controllo de(continued)
Fri, 14 May 2021 - 65 - Episode 59: Ristoranti aperti ma vuoti, non basta essere in zona gialla
È innegabile che essere in zona gialla garantisca qualche opportunità in più, ma siamo davvero sicuri che la riapertura di bar, ristoranti, pizzerie e agriturismi coincida con quella auspicata ripresa di attività? Fra l’essere chiusi per decreto e l’alzare le saracinesche per aspettare dei clienti che al momento non faranno a gara per pranzare fuori casa, cosa potrebbe convenire di più? Scontato che, anche solo per ragioni psicologiche, è meglio aprire e lottare sul campo che morire d’inedia, non si può non considerare che parliamo di un lavoro monco, concentrato negli orari meno produttivi (con gli impiegati in smartworking per molti locali sarebbe meglio restare chiusi), con molti costi fissi e poche ragionevoli possibilità di ripianarli. Pensiamo ai comuni a vocazione turistica dove tenere aperto un bar o un ristorante è come volersi fare del male. L’esempio di Firenze, da qualche giorno in zona gialla, è emblematico. Nel centro storico non c’è nessuno: 5 persone (cinque) in coda alla biglietteria degli Uffizi. Per il resto il deserto e poter mangiare in centro è davvero un’impresa: i locali aperti sono pochissimi e sconsolatamente vuoti. E ciò che stupisce è che fra i pochi aperti ci sono anche dei buchi dove, al di là del covid, una persona sana di mente non ci entrerebbe se non per prendere un pacchetto di sigarette e poi uscirsene in fretta. E non è che un locale aperto ma vuoto possa resistere molto: con gli esigui ristori che ci sono e col rischio di non poter attivare la cassa integrazione il futuro può essere nero per tutti. Poiché è impensabile che da istituzioni di fatto assenti rispetto ai problemi dei pubblici esercizi possano venire soluzioni geniali nel brevissimo periodo, né si può pensare che basti urlare di voler riaprire per riempiere i locali, occorre rivedere con decisione tutta la questione. Occorre mettere le aziende sane e sicure (due aggettivi usati non caso) nella condizione di potere riattivare un minimo di normalità. E ciò è possibile solo con la riapertura serale ed offrendo precise garanzie. In attesa che si possa giungere alla vaccinazione di tutti gli addetti, l’avere locali ampi con posti a sedere distanziati fissi e verificabili e la registrazione di tutti i clienti, potrebbe essere la carta da giocare, così come proposto da Fipe e Fiepet anche per le zone in giallo. Chi non ha cucina o posti a sedere potrebbe lavorare con le attuali limitazioni o restare chiuso ed essere aiutato. Sarebbe un modo per favorire chi ha le carte in regola per lavorare e cercare di mettere un po’ di ordine in quel “far west” creato dalla assurda liberalizzazione degli anni scorsi che ha portato ad un eccesso di locali, spesso piccoli e gestiti da persone senza preparazione. Se poi il futuro nuovo Governo metterà nel programma una nuova regolamentazione del comparto fissando criteri rigorosi per l’ingresso, meglio ancora.
Fri, 14 May 2021 - 64 - Episode 58: Lombardia, ma chi ha sbagliato? Basta misteri sui dati dei contagi
Continua la polemica sul calcolo dell’Rt (l’indice di contagio) della Lombardia, passata da zona rossa ad arancione. Dopo la rettifica fatta dalla Regione sui dati di dicembre (da cui sono emersi quasi 10mila guariti che risultavano ancora malati), il confronto assume inevitabilmente toni “politici” con continui botta e risposta fra Governo e Regione, ma anche tra Regione e Comuni. E intanto in mezzo ci sono i commercianti che hanno subito nuovi danni. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che già nei giorni precedenti aveva chiesto al presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana dei chiarimenti circa i dati inviati al Comitato tecnico scientifico, non ha risparmiato attacchi: «Buttare in rissa la questione sull'Rt lombardo certamente contribuisce a non far emergere la verità», si legge sul suo profilo Facebook. «Il sistema è collaudato, essendo in funzione da mesi, una sola Regione sostiene che l'algoritmo di compilazione ha una falla mentre per tutte le altre ha funzionato. Possibile che ci abbia visto giusto solo la nostra Regione?». E come già in passato, il Sindaco di Milano chiede alla Regione di potere vedere i dati trasmessi ricordando che il «calcolo dell'Rt è un fatto tecnico, non politico». Una richiesta che non è piaciuta al governatore Fontana (Lega) che ha risposto a Sala (Pd) di chiederlo al “suo” Governo. «Ci hanno chiesto di integrare i dati già inviati e non modificati con ulteriori specifiche che non fanno parte delle richieste standard - dice - e come per magia il rosso è diventato arancione se non giallo. A noi non è dato sapere di un algoritmo segreto che hanno e usano solo a Roma. Magari a lui rispondono». Affermazioni che, francamente, sembrano indegne di politici di fronte al dramma che tutti stiamo vivendo. L’algoritmo usato dall’Istituto superiore di Sanità e dal Cts è stato a suo tempo concordato e messo a punto con le Regioni e prevede 21 punti. È davvero possibile che nessuno in Regione Lombardia sappia come funziona l’algoritmo e che peso ha il numero dei malati? Soprattutto se questi malati risultano guariti ed è la Regione che lo comunica. E in aggiunta, sono mancati solo i dati della Lombardia o anche altre regioni sono, o sono state, in queste condizioni? Insomma, per farla breve… nei mesi scorsi questi famosi dati mancanti sulla condizione dei contagiati (guariti) ora rettificati per dicembre, erano calcolati nei report settimanali della Lombardia e di altre regioni, o no? Servono risposte chiare Vorremmo una risposta chiara perché qualcuno mente ed ha torto. E non è una decisione del Tar (comunque tardiva) che risolverebbe la questione. Se mancavano anche in passato, e nessuno dal Governo lo ha mai fatto presente, tutto il sistema di calcolo delle zone colorate per le Regioni potrebbe risultare una buffonata. E a questo punto è forse il caso che il Ministro Speranza ne prenda atto, abbassi i toni e magari si dimetta. Se invece questa “mancanza” c’è stata solo in questo frangente ed è la Regione che non li ha inviati (magari con motivazioni anche giuste), allora è il Governatore Fontana che deve fare un passo indietro e, come già fatto dal suo ex assessore Gallera, lasciare il ponte di comando e con dignità chiedere scusa ai lombardi. Anche perché c’è pure chi sostiene (lo rilancia persino il Corriere della sera) che l’assenza dei dati è stata magari “voluta” per assecondare la volontà di Fontana che per non correre rischi l’11 gennaio chiedeva l’istituzione della zona rossa per non riaprire le scuole. A meno che, e questo sarebbe gravissimo, sia Fontana, sia Speranza sapevano che da sempre ci poteva essere questo problema in tutte le rilevazioni e le decisioni prese nei vari decreti. Se così fosse la partita non sarebbe patta - come propone Fontana - ma entrambi avrebbero perso. In verità a perdere sarebbe anche la credibilità delle istituzioni piegate ancora una volta a squallidi interessi di parte. Chi ci perde sono solo le imprese e i lavoratori (continued)
Fri, 14 May 2021 - 63 - Episode 58: Da #ioapro alla rabbia vera, la politica scherza col fuoco e pensa solo alla crisi di governo
Per ogni manifestazione di piazza ci sono gli organizzatori che gonfiano il numero di partecipanti (a volte fino a 3-4 volte la capienza massima di una piazza) e poi c’è la Questura che ridimensiona. Ma al di là dei numeri, salvo che si tratti di un “vuoto”, ciò che conta è il problema, il tema della protesta. E questo è quanto è puntualmente accaduto nei giorni scorsi con l’apertura serale dei locali da parte di chi aderiva a #ioapro. Nata da un passaparola sui social, la protesta ha raggiunto un po’ tutta Italia e, al di là di quanti hanno rischiato multe o sospensioni dell’attività (poche in realtà), ha rappresentato un fortissimo segnale civile - anche se “illegale” a norma di codice civile - dell’esasperazione di una categoria che, insieme al mondo della cultura e del tempo libero, ha finora pagato il prezzo più alto dell’incapacità delle istituzioni di affrontare con rigore e serietà la pandemia. E i politici, salvo qualche tentativo di strumentalizzazione delle aperture serali, non hanno detto nulla. Non gli è sembrato vero di poter fare come lo struzzo e mettere la testa sotto la sabbia facendo finta di nulla. Stavolta l’occasione era la crisi di governo, ma è significativo che nessun Ministro, da Patuanelli a Speranza, abbia avvertito il dovere di dire qualcosa, fosse anche solo per contestare una protesta contro le norme sul contenimento dei contagi. Del resto per il Governo, senza nessuna prova scientifica, è sempre stato più facile chiudere bar e ristoranti che non affrontare il tema drammatico dei mancati interventi sul sistema dei trasporti pubblici, fra le principali cause dei contagi insieme all’iniziale rilassatezza sull’uso delle mascherine. In qualche Dpcm Conte è arrivato al punto di imbrogliare i cittadini rifacendosi ad inesistenti indicazioni degli scienziati, chiudendo i pubblici esercizi e cercando così di deviare l’attenzione dell’opinione pubblica dall’inconsistenza delle misure prese in un continuo barcamenarsi giorno per giorno, rinviando di fatto i problemi. Da quasi un anno a questa parte abbiamo assistito ad un gioco al massacro che non può essere giustificato col fatto che anche negli altri Paesi si sono chiusi bar e ristoranti. In pochi Paesi sono stati infatti adottati protocolli di sicurezza come quelli italiani, né vi è mai stato uno studio scientifico che dimostrasse la presenza di focolai nei locali. In Italia esisteva un problema legato alla movida e ai locali della notte troppo affollati. Ma questa situazione andava affrontata con rigore dall’inizio (senza riaprire ad esempio le discoteche) e facendo controlli a tappeto con sanzioni drastiche fino alla sospensione delle licenze. Ma per il lassismo delle nostre istituzioni e per l’evidente ricerca di un consenso elettorale (si votava a settembre), si è preferito dare un po’ di carote e poi bastonare tutti i pubblici esercizi. E che dire del sostanziale disinteresse della politica (di ogni colore) verso imprese per lo più piccole e famigliari, dove il “cassetto” non si riempiva di incassi ma solo di fatture, bollette e tasse da pagare. Fra queste, la cosa più scandalosa, anche quelle dei Comuni sulla raccolta rifiuti (fra le più alte d’Europa), pur essendo i locali impossibilitati a creare rifiuti perché chiusi per decreto. E qui poco cambia che le amministrazioni siano di destra o di sinistra… Aggiungiamo le banche che non si fidano delle garanzie dello Stato sui prestiti, i Ristori che arrivano col contagocce o la cassa integrazione che ancora oggi è in ritardo. C’è da stupirsi che finora i gestori e i dipendenti non abbiano fatto iniziative di protesta ben più decise. E in questa prospettiva #ioapro (di cui non condividiamo il metodo) potrebbe avere spalancato la porta a qualcosa di imprevedibile oggi. La rabbia e la delusione montano e se le istituzioni non interverranno in fretta c’è il rischio di nuove esplosioni che potrebbe sfociare anche in anarchia. Il senso di responsabilità finora dimostra dalle asso(continued)
Fri, 14 May 2021 - 62 - Episode 57: Turismo, il Sud può ripartire subito. Ma servono progetti, sanità e allungare la stagione
Finalmente un segnale positivo: secondo Intesa Sanpaolo nelle regioni del Sud Italia ci sarà una forte ripresa del turismo, anche se per quest’anno sarà impossibile tornare ai livelli pre covid. E un segnale di conferma viene anche da un rapporto di Confimpresa sulle famiglie che per quasi la metà vogliono tornare a viaggiare (il 48,7%). Certo non è poca cosa passare dal baratro in cui siamo caduti a immaginare di tornare in positivo entro al massimo un paio d’anni. Ma serve uno scossone per risollevarci davvero. Una spinta importante, nel breve periodo, potrebbe ora venire dall’impegno del generale Figliuolo (che ha superato in questo tutti i politici...) di vaccinare prioritariamente gli addetti del turismo. Ma attenzione, senza riforme serie rischiamo di perdere il treno nel medio periodo: soprattutto al Sud servono una struttura sanitaria efficiente, idee e progetti, nonché imprese dell’accoglienza capaci di pensare in grande, anche come dimensione. Il tutto per puntare su una destagionalizzazione che allunghi il periodo delle vacanze-ferie. Torna il desiderio di viaggiare A evidenziare uno scenario finalmente positivo (e che vale per hotel ristoranti, bar, agriturismi e accoglienza in genere) è fra gli altri osservatori Srm, la società di studi e ricerche sul Mediterraneo di banca Intesa Sanpaolo che ha realizzato un’approfondita ricerca sulle regioni meridionali, che sono poi quelle più colpite dalla crisi del covid. Il dato di partenza è quello di un rinnovato desiderio di viaggiare e fare vacanze, su cui sono d’accordo un po’ tutti. Nel breve-medio periodo ci saranno ancora difficoltà negli spostamenti internazionali, specie per quelli intercontinentali - per i quali è previsto un periodo tra i due e i quattro anni per ritornare alla normalità - ma con adeguate garanzie sulla sicurezza sanitaria (locali e località covid-free, nonché il passaporto vaccinale) sarà possibile avere buoni risultati in fretta. Sempre che le istituzioni, aggiungiamo noi, si muovano per tempo e non ci trascinino in fondo alla classifica con discussioni da bar, tipo quelle sul coprifuoco o sulle normative assurde come quella sull’uso dei gabinetti per locali che lavorano solo con spazi all’aperto, che ha creato non poca ilarità in tutta Europa... Lo scenario più probabile è che si torni al 67% delle presenze del 2019 Ma vediamo quali sono le previsioni di Intesa Sanpaolo. Lo scenario più probabile indica che quest’anno nel Sud Italia si registreranno 58,3 milioni di presenze turistiche, coprendo praticamente il 67,4% di quanto fatto nel 2019. Ricordiamo che nel 2020 il turismo nel Mezzogiorno era crollato del 55,2% (con punte del 70% in Campania), contro un calo nella media nazionale del 52,4%. Se questa previsione si confermerà, al Sud ci sarà una spesa di 26,7 miliardi: il 62,9% di quanto incassato nel 2019. Questo risultato si colloca a metà fra uno scenario più negativo (che parla di un solo 52,9% di presenze rispetto al pre covid) ed uno più positivo, che azzarda invece un +79,4%. Tutto dipenderà dal “sentiment” di italiani e stranieri a muoversi e da quanto Governo e Regioni sapranno fare in fretta per recuperare il tempo perduto ed evitando soluzioni pasticciate come in Campania con le isole covid-free, che sono solo la brutta copia (e fatta male) di quanto accaduto nelle micro-isole greche al di sotto dei mille abitanti. Ma ora occorre allungare il periodo delle “vacanze” Va detto che molta parte di queste previsioni si basa anche su un possibile prolungamento del periodo delle ferie-vacanze degli italiani: dalla concentrazione fra luglio ed agosto, ci si dovrebbe spingere fino a settembre-ottobre (ed anche a fine anno), sulla base del progredire delle vaccinazioni e di una maggiore sicurezza percepita. E solo dalla fine dell’anno, con una rimessa in gioco anche delle città d’arte, ci potrà essere una significativa ripresa di un turismo internazionale. Per il direttore di Srm, Massimo Deandreis, infatti, «l'ana(continued)
Fri, 14 May 2021 - 61 - Episode 56: Il futuro dell'Italia post Covid passa anche dalla ripresa delle nascite
Il Covid non ci dimostra solo tutta l’inadeguatezza delle nostre scelte di politica sanitaria. È anche una sorta di cartina di tornasole del disastro ambientale che abbiamo generato nel mondo fra deforestazione, inquinamento e riduzione della biodiversità. E soprattutto è un meccanismo imprevisto e terribile che sta sconvolgendo l’economia e le nostre abitudini più comuni. Per restare ai temi di nostro interesse, pensiamo a come la pandemia ha praticamente cancellato i viaggi e il turismo, mettendo in ginocchio alberghi e ristoranti. Ma tutto ciò non basta: il coronavirus ha anche innescato una bomba sociale i cui effetti sono forse al momento incalcolabili. Ci riferiamo alla denatalità che, soprattutto in Italia, uno dei Paesi con più anziani al mondo, avrà effetti devastanti, anche se le istituzioni e i politici non se ne curano. Eppure è un problema gigantesco su cui l’Italia dovrebbe porre la più alta attenzione. Ma nel Recovery plan, che tanto fa discutere il mondo politico, non se ne tiene conto, né a livello di scenari, né per investimenti ad hoc. E, tanto per sottolineare il disinteresse generale verso questo tema, ricordiamo che del già insufficiente e quasi ridicolo Family Act approvato a giugno per sostenere le nascite, ad oggi non ci sono ancora i decreti attuativi. Come ricorda il direttore di Panorama della Sanità, Sandro Franco, può sembrare un paradosso, ma mentre ogni giorno attendiamo con ansia il bollettino dei contagiati, ci è scivolato quasi addosso l’ultimo rapporto dell’Istat pubblicato qualche giorno prima di Natale che avverte che siamo al crollo sotto la soglia psicologica dei 400mila nuovi nati per anno. Come dire, ci sono sempre meno nati e più morti e il saldo è assolutamente negativo. Del resto il tasso di fecondità in Italia nel 2019 era dell’1,29%, uno dei più bassi in Europa. E non è che, come pensava forse qualcuno, i vari lockdown abbiano spinto gli italiani a fare più figli. Anzi, la comprensibile preoccupazione sul futuro ha scoraggiato molte giovani coppie e, vista la riduzione delle occasioni di socialità anche fra i giovani, è molto probabile che ci sia stato un rallentamento anche nella nascita di nuove coppie. E con la crisi economica che ci aspetta nei prossimi mesi è difficile immaginare che ci possa essere una controtendenza. È anzi probabile che la natalità decresca ulteriormente... Visto che il pianeta è fin troppo abitato e la sovrappopolazione è una delle cause del disastro ecologico, qualcuno potrebbe anche rallegrarsi se in Italia facciamo meno figli. In meno si sta sulla terra, meglio sarebbe per tutti. Il problema è che da noi, a differenza di quanto avviene in Asia, in America Latina o in Africa, la popolazione invecchia, non genera reddito e i nuovi nati non compensano i decessi.
Fri, 14 May 2021 - 60 - Episode 55: Sempre più aggiornati e informati. Affrontiamo insieme le sfide del 2021
Le sfide del 2021 saranno forse più impegnative di quelle dei mesi scorsi. La pandemia non è certo finita, ma ora si stanno esaurendo le risorse con cui abbiamo finora combattuto il virus a livello sociale ed economico, per sostenere imprese, lavoratori e famiglie alle prese col periodo certamente più difficile dalla fine della seconda guerra mondiale. La paura e l’ansia dei mesi scorsi non è certo sparita con i botti di Capodanno. Un po’ di ristori e tre mesi fra sospensione dei licenziamenti e nuova cassa integrazione è il periodo transitorio in cui potremo forse avere ancora qualche protezione. Dopo di che … saremo di fatto senza rete. Idee e ottimismo più importanti dei soldi In gioco non c’è solo il futuro delle imprese. A partire da quelle del turismo, che finora sono state le più colpite dalla gestione della pandemia. In forse c’è la tenuta della società, con un welfare che ha mostrato tutte le sue debolezze e che non può certo essere rinvigorito da iniezioni di assistenzialismo a pioggia che alla fine indeboliscono la capacità di reazione dei singoli e delle aziende. È assolutamente indispensabile poter contare su una ripresa che, prima ancora che sui soldi (pure indispensabili), deve viaggiare sulle gambe di idee nuove e di un ottimismo della volontà che non ha nulla a che spartire con l’attuale dibattito, surreale, dei politici. Il Recovery Plan potrebbe essere uno degli strumenti con cui proporre agli italiani scenari in cui credere e sui quali investire. Ma, al di là della discussione su chi dovrebbe gestire i circa 200 miliardi disponibili nei prossimi anni, che credibilità può avere un piano che destina al turismo (e alla cultura) solo 3 miliardi? Qualcuno può davvero pensare che il futuro dell’Italia possa basarsi su un ennesimo salvataggio dell’Alitalia e sul reddito di cittadinanza ai criminali, dimenticando invece tutto il mondo dell’accoglienza e dell’ospitalità? E ancora: a fronte della necessità di almeno 30-35 miliardi per mettere a bolla la sanità, cosa si può fare con 9 miliardi? Tanto più che non siamo neanche in grado di organizzare al meglio la campagna di vaccinazione (mancano siringhe e medici), a partire dalla Lombardia, la regione più ricca d’Italia che si appresta all’ennesima dimostrazione di totale inefficienza. Il vaccino ci darà una mano, ma dovremo approfittarne per pensare in grande a come ricostruire l’Italia, ognuno per le sue competenze e per quello che potrà fare. Condividere strategie per convincere tutti La ripresa sarà vincente se avrà alle spalle una visione condivisa dalla gente. E fra chi deve assolutamente ripartire c’è il mondo dei pubblici esercizi e del turismo, sulle cui possibilità di ripresa Italia a Tavola scommette senza alcun dubbio. Nei prossimi mesi molte aziende si perderanno per strada (fra chiusure e fallimenti), ma chi resterà sul mercato sarà più forte e, soprattutto, avrà vinto la scommessa del cambiamento. Fin dal primo giorno della pandemia abbiamo seguito e testimoniato tutte le difficoltà del comparto. Abbiamo raccolto idee, proposte e strategie, dando voce come sempre a tutti i più qualificati protagonisti, combattendo per sostenere aiuti e interventi. Oggi vogliamo essere ancora di più in prima fila, offrendo sempre più aggiornamenti e tendenze utili a ristoranti, bar ed hotel e a tutto il mondo della filiera agroalimentare. A imprese, professionisti e consumatori offriremo un’informazione ancora più chiara e tempestiva utilizzando tutti i mezzi di comunicazione a nostra disposizione, grazie anche ai tanti esperti che collaborano con noi. E lo facciamo tenendo conto anche dei suggerimenti e delle richieste che ci vengono dai lettori e in particolare da chi ci segue sui social. In questa prospettiva uno strumento prezioso che abbiamo valorizzato anche nei mesi in cui tutte le testate si riducevano per foliazione e contenuti, è la nostra rivista mensile cartacea che resta un appuntamento insostituibile per decine di migliaia di azien(continued)
Fri, 14 May 2021 - 59 - Episode 55: Sincerità e responsabilità, il regalo di Natale agli italiani
Adesso ci mancava solo la mutazione inglese del Covid, con l’annessa nuova ondata di paura e, soprattutto, di sconforto. Proprio mentre ci accingiamo ad avviare la più importante campagna di vaccinazioni di massa mai tentata al mondo, ci ritroviamo con nuovi dubbi ed incertezze. Quasi che in Italia non ne avessimo avuto abbastanza del barcamenarsi fra Dpcm e ordinanze di Governatori e Sindaci, senza che si sia mai avuta una coerenza di comportamenti o una condivisione su cosa fare rispetto agli obiettivi primari di salvare quante più vite possibili ed impedire un tracollo della nostra economia. Fra continui “apri e chiudi” è sempre stato uno scontro costante che ha visto perire giorno dopo giorno bar e ristoranti in tutta Italia, insieme a tutte le aziende che si occupano di svago e benessere. E il risultato è un’Italia sempre più triste, più povera e più sfiduciata che assiste impotente al balletto dei nostri politici che sembrano vivere su un altro pianeta. Ciò che preoccupa è la politica demenziale del bastone e della carota usata negli ultimi mesi, alternando pretese “buone notizie” a drastici retromarcia, quasi che agli italiani non sia possibile parlare con responsabilità. D’estate ci avevano consigliato di passare le ferie vicino a casa, ma poi hanno aperto le frontiere, dato i bonus vacanze e aperto le discoteche. E quando si sono create le situazioni pericolose delle movide incontrollate, la colpa era degli italiani o dei gestori, non certo delle istituzioni che non avevano fatto i controlli. Non ci sono soldi per i ristori e la cassa integrazione per chi è stato chiuso a ripetizione per decreto (i pubblici esercizi), ma poi si è continuato a foraggiare uno strumento utile come il reddito di cittadinanza, gestito in maniera vergognosa come assistenzialismo e mancia elettorale. E ancora, nei bar o nei ristoranti non si poteva andare di sera e i coperti dovevano essere contingentati, ma poi nessuno controllava gli assembramenti nei centri commerciali o nelle vie dello shopping, che si sono riempiti anche su incentivo dell’improvvido avvio del cash-back. Il risultato è che gli italiani non capiscono più cosa si deve fare, e dopo settimane di un Paese “arlecchino” si ritrovano carichi di ansia e preoccupazioni. E poi ci sono le questioni di fondo irrisolte. A parole, già dall’estate tutti parlavano dei problemi veri a cui porre rimedio con priorità assoluta. Dai mezzi di trasporto, che non potevano essere scatole di sardine, alle terapie intensive negli ospedali che andavano potenziate con ventilatori e, soprattutto, con personale aggiuntivo. Ma ad oggi cosa è stato fatto? Praticamente nulla, tanto che torna ad essere in forse la riapertura delle scuole, che sono luoghi di fatto sicuri, mentre non lo sono i mezzi con cui ci si arriva o si torna a casa. E tutte le nuove restrizioni vanificano anche i precedenti sacrifici chiesti “per salvare il Natale” e sono legate alla paura che gli ospedali non possano sostenere una terza ondata di contagi per l’evidente impreparazione di tutto il sistema sanitario. Ma cosa fare lo sapevamo già dal primo lockdown. Si è preferito rinviare ogni decisione, sperando forse che il virus andasse in sonno da solo. Per carità, si tratta di un errore compiuto dalla maggior parte dei governi in tutto il mondo. Il punto è che da noi si è preferito puntare sul bizantinismo dei decreti e su aiuti a pioggia (che non accontentano alla fine nessuno...), invece di prendere decisioni anche impopolari. Conte, che pure nei primi tempi aveva dato una buona impressione alla gran parte degli italiani, si è fatto prendere la mano dal mestiere del politico. Rinnegando il fatto di essere figlio di quell’antipolitica tanto strombazzata da Grillo & company, il premier ha illuso e usato la comunicazione come uno strumento di gestione dell’emergenza, dividendo l’Italia fra “protetti” (gli statali, gli impiegati in smart working, la grande industria sindacalizzata) e “abbandonati” (tutto il m(continued)
Fri, 14 May 2021 - 58 - Episode 54: La politica dimentica il turismo. Col sondaggio onoriamo chi lavora
Perché fare un sondaggio sui professionisti dell’enogastronomia e dell’accoglienza mentre proprio questo comparto sta soffrendo, più di chiunque altro, per la pandemia da Covid-19? La domanda ce l’hanno posta alcuni lettori e, soprattutto, ce la siamo posta noi quando dovevamo decidere se avviare o meno la consultazione sul Personaggio dell’anno. E la risposta ci è venuta quasi spontanea: perché imprenditori, lavoratori, consulenti o tecnici di questo nostro mondo con tenacia, convinzione e serietà hanno dimostrato un coraggio e una professionalità incredibile nell’affrontare la situazione drammatica di questi mesi. Senza sostegni economici o aiuti come per altri colleghi europei, bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie o alberghi hanno subito chiusure, riduzioni di orario e, soprattutto, l’infame dubbio di poter essere considerati fra i luoghi in cui ci si potrebbe infettare. È vero che alcune situazioni di movida esasperata, soprattutto dopo il primo lockdown, ma anche durante questo periodo, hanno creato situazioni di allarme, ma vogliamo mettere con la disastrosa condizione dei trasporti pubblici o con quelle autentiche camere a gas per la diffusione del virus che sono i centri commerciali? Gli alberghi e i pubblici esercizi si sono da subito adeguati ai protocolli di sicurezza concordati con gli esperti e gli scienziati, tanto da garantire, nella stragrande maggioranza dei casi, locali a prova di contagio. Distanziamenti, mascherine e igienizzazioni potenziate sono gli strumenti messi in campo da tutti, tanto che non si sono accertati casi di focolai scoppiati in questi spazi. Né il personale del comparto è fra quelli che ha avuto più casi di contagi. Ma nonostante ciò ristoranti e hotel sono stati colpiti con durezza. I decreti di chiusura vera e propria si sono sommati alle disposizioni per lo smart working, che hanno allontanato clienti, e alle chiusure del turismo. E tutto ciò senza compensazioni economiche adeguate. Fra ristori insufficienti o cassa integrazione col contagocce è stato un vero massacro che rischia di portare alla chiusura di almeno 30-40mila locali entro i primi mesi del 2021. Eppure, questi professionisti si sono organizzati. Chi poteva ha fatto consegne a domicilio o lavorato per l’asporto. C’è chi ha partecipato ad una autentica rivoluzione digitale attivando prenotazioni o ordini online. C’è chi ha rivisto tecniche di cucina e cambiato i menu. E chi magari ha dato nuove impostazioni agli alberghi. E il tutto con una sostanziale indifferenza, se non addirittura ostilità, di una certa politica che a Roma come nelle Regioni ha dimostrato coi fatti di non curarsi poi molto del turismo. Tant’è che nei vari Dpcm di un premier sempre più lontano dalla realtà i pubblici esercizi sono stati una sorta di terra di nessuno a cui poter assegnare un ruolo di “quasi untori” per coprire le proprie incapacità o i propri terribili errori di gestione. Dalla mancanza dei controlli alla gestione dei trasporti. Ma noi siamo convinti che questi professionisti meritino più rispetto ed attenzione. A loro sarà affidato il compito di gestire nel post covid una ripresa che non potrà non passare dai loro locali che sono da sempre il simbolo dello stile di vita italiano. E per questo, soprattutto quest’anno, il Sondaggio per il Personaggio dell’anno non poteva mancare. È l’occasione per ricompattare un mondo che nello spirito di squadra trova le sue basi e che ci rappresenta tutti come italiani. Coi nostri candidati vogliamo rendere simbolicamente onore un po’ a tutti e vogliamo dare valore a tutta la filiera dell’agroalimentare che, insieme a baristi o cuochi, ha sofferto in questi mesi. Un Made in Italy che oggi non dobbiamo fare arretrare rispetto alla qualità che è stata raggiunta negli anni. Votare - basta un click - è un modo per essere vicino a tutti loro e sperare in un futuro positivo.
Fri, 14 May 2021 - 57 - Episode 53: Lettera aperta a Babbo Natale: noi faremo sacrifici, ma zittisci i politici!
Caro Babbo Natale, quest’anno sarà sicuramente tutto più difficile anche per te. Fra distanziamenti e restrizioni alla circolazione, ci dovrai mettere più tempo del solito a fare i tuoi giri, e per questo ti scrivo con un po’ di anticipo. Dovendo rinunciare alle feste in famiglia a Natale, in tanti ci stiamo organizzando per fare dell’Avvento il periodo in cui diluire saluti, incontri e abbracci (virtuali) con parenti e amici. E saperti vicino in questi momenti può essere di conforto a tanti. Magari con l’occasione puoi lasciarci qualche dono… anche se in verità in tanti meriteremmo solo carbone. Come san Nicola sei già passato sabato notte in molte case e per fortuna, nella veste di santa Claus sei anche riuscito per poche ore a evitare di farti bloccare sulle Dolomiti dalle nevicate né impreviste, né fuori stagione. E si, perché anche là dove si pensa che l’Italia sia più efficiente, perché un po’ più “tedesca”, dimostriamo sempre il nostro vizio di farci “sorprendere” dagli eventi. Un po’ come nella mia Lombardia, dove il covid-19 ci ha imposto un prezzo altissimo, perché la “più organizzata” sanità del Paese ha avuto la sua Caporetto e non è riuscita a fare fronte alla pandemia, pagando il prezzo di tanti genitori o nonni morti in solitudine perché gli ospedali erano gestiti da politici incompetenti. Ed è proprio in memoria dei tanti nostri “vecchi” sacrificati per inefficienza che ti chiedo un primo dono, un vero miracolo: tocca il cuore e il cervello dei tanti politici che fanno a gara per mostrarsi sempre più stupidi e in competizione fra loro per contendersi l’ultimo voto. Infondi loro uno spirito di autentico servizio e di unità nazionale per affrontare più coesi questa guerra contro un nemico invisibile ma potente. So di chiederti un’impresa quasi impossibile, ma se arriveranno buoni esempi dall’alto, molti sacrifici, inevitabili, saranno più sopportabili per tutti. Dagli un aiutino… Saremo chiusi in casa per decreto. Al di là dei colori delle regioni e dei confini comunali dobbiamo fare i conti coi quasi mille morti al giorno, che poi sono i nostri amici o i vicini della porta accanto. Non ti chiedo la magia di cancellare il virus, ma solo di zittire i politici per un po’. Soprattutto evitaci di dover ascoltare l’ennesimo monologo di Conte che, invece di trattarci da popolo adulto a cui dire le cose con responsabilità, ci racconta le favolette che per loro natura sono fantasiose e lontane dalla realtà. E a proposito di un po’ di pace per le nostre orecchie, togli per qualche giorno la voce anche ai virologi, agli infettivologi e in genere agli scienziati che si accapigliano in televisione e ci raccontano storie diverse che alla fine creano solo dubbi e incertezze. Sostieni il senso civico e del dovere di un personaggio come la novantenne Regina Elisabetta che per dare fiducia ai suoi concittadini farà pubblicamente il vaccino. Al nostro premier, al ministro della Sanità o ai vari Governatori non è passato nemmeno per la testa di dare un buon esempio… E nemmeno ai vari sovranisti lamentosi su tutto. Un altro regalo te lo chiedo per il mondo dei bar, dei ristoranti e degli alberghi. Per tutte le persone che forse più di altre sono state colpite, spesso senza motivo, da questa pandemia. Mancano soldi, e hanno bisogno di aiuti seri e immediati, ma soprattutto servono fiducia e ottimismo. Rasserena se puoi gli animi e fai in modo che le chiusure che li penalizzano siano davvero un sacrificio utile a tutta la comunità. E poi dai loro una spinta perché possano riprendersi col nuovo anno garantendo a tutti occasioni di benessere e serenità. Motiva gli italiani a tornare appena possibile fuori di casa e valorizzare il vasto mondo che ruota attorno al cibo e che con innovazione e volontà può diventare anche più forte di prima. E stimola le banche a dare una mano agli esercenti evitando che cadano preda dell’usura o della criminalità. Nella stragrande maggioranza sono brave persone e se p(continued)
Fri, 14 May 2021 - 56 - Episode 53: Dal Governo solo briciole ai ristoranti. E nega il "bonus" ai cassintegrati
Con una vergognosa decisione che arriva sul filo di lana della scadenza (lunedì 30 novembre si sarebbero dovute pagare le tasse ora rinviate), il Governo mette in campo gli 8 miliardi autorizzati dal Parlamento col voto sullo scostamento di bilancio e vara una maxi-sospensione fiscale per tutte le scadenze di qui a fine anno, rinviate a primavera per imprese e partite Iva in difficoltà. Prosegue così la "saga" dei provvedimenti in burocratichese per compensare le attività chiuse per contenere la seconda ondata dell'epidemia. Stavolta in realtà si tratta per lo più di partite di giro perchè al di là dei ristori veri e propri (pochi) si tratta solo di importi messi a bilancio ma che verranno recuperati una volta che si pagheranno le tasse solo "sospese". Il tutto non senza i soliti giochini dei ritardatari cronici: lo slittamento per ora solo di 10 giorni così da verificare che le aziende siano effettivamente nelle condizioni di poter chiedere lo slittamento: occorre avere registrato un calo del fatturato di oltre il 33% nel primo semestre. Sulla carta ci dovrebbe essere, una «attenzione in particolare ad alberghi e ristoranti», ma in realtà va detto che si tratta solo di briciole che non compensano nemmeno in parte i mancati incassi per la chiusura dei locali nelle prossime settimane. Parliamo di un valore che va dal 20 al 25% del fatturato di tutto l’anno e che solo per Natale, Santo Stefano e Capodanno (con tutti i ristoranti chiusi) vale oltre 700 milioni di euro. E non a caso la Fipe è scesa con durezza in campo rinfacciando al premier di essersi rimangiato gli impegni presi e chiedendo quindi di avere una compensazione che copra al 100% la perdita dei fatturati di dicembre. E tutto per l’assurda volontà, quasi persecutoria, di volere chiudere bar e ristoranti che, pure, non sono segnalati in nessuno studio scientifico italiano come causa di focolai. Tanto che baristi, cuochi o camerieri sono fra le categorie meno colpite dal Covid-19 per le procedure adottate a partire dall’obbligo, dal primo giorno, di indossare sempre la mascherina. Ulteriore beffa è poi lo scorporo di 250 milioni dal già esiguo fondo di 600 milioni messo a disposizione del ministro delle Politiche agricole per sostenere l’acquisto di beni agricoli italiani da parte dei pubblici esercizi. E, sempre per aggiungere il danno alla beffa, i dipendenti dei pubblici esercizi, i lavoratori che più di altri hanno sofferto la crisi con parziali indennizzi di cassa integrazione, non riceveranno nemmeno quel bonus Natale che sempre Conte aveva promesso per compensare le tredicesime ridotte all’osso perché in Cig si perdono gli scatti. Bonus che invece va ai lavoratori precari, dagli stagionali del turismo (1.000 euro) a quelli dello sport (600 euro). Ci sono poi altre risorse per gli straordinari della polizia impegnata a fare rispettare le norme anti-Covid e un fondo ad hoc per aiutare il settore delle fiere e dei congressi (350 milioni), fermo in sostanza dall'inizio della pandemia. Il governo in realtà, secondo fonti della maggioranza, starebbe già lavorando sia a un ulteriore decreto di fine anno, che dovrebbe abbinarsi al tradizionale Milleproroghe e che conterrà una serie di interventi che non hanno trovato posto nel quater, sia al prossimo decreto Ristori di inizio 2021, quello "finale": in quella sede si dovrebbe chiudere il cerchio degli aiuti all'economia, grazie a un nuovo scostamento da almeno 20 miliardi, e introdurre un meccanismo "perequativo" per garantire più sostegno a chi effettivamente ha perso di più nei mesi della crisi, includendo anche i professionisti.
Fri, 14 May 2021 - 55 - Episode 52: Natale e feste al ristorante? Fumo negli occhi per gli esercenti
Natale come Ferragosto, ma col rischio di creare molti più guai. Già, perché se sono bastati un po’ di assembramenti all’aperto per innescare la Fase 2 della pandemia, stare chiusi e accalcati in casa o nei locali per feste e cenoni potrebbe davvero portarci dritti alla temuta Fase 3, che sarebbe incontrollabile secondo ogni previsione. Al netto di vaccini ormai vicini, delle ennesime polemiche fra i virologi o i politici e della centralità economica e religiosa delle prossime festività, tutte le attese sembrano concentrate sul fatto di potere o meno mangiare il panettone con parenti o amici. La colpa è forse ancora una volta delle troppe parole del premier Conte quando aveva lanciato il mantra del “salviamo il Natale”. Quasi che dopo avere già rinunciato alla Pasqua in famiglia, stante la drammaticità della situazione che registra ancora centinaia di morti ogni giorno, un nuovo, inevitabile, sacrificio possa innescare chissà quali rivoluzioni. Non si capisce perché agli italiani non si debba parlare, per tempo, con più chiarezza e responsabilità. Invece si creano illusioni (dalle possibili aperture delle stazioni sciistiche al lavoro serale dei ristoranti nelle regioni in fascia gialla), salvo poi smentirle il giorno dopo e riproporle magari dopo altri due giorni. Quasi fossimo tutti bambini, o asinelli, a cui fare vedere un po‘ il bastone e un po’ la carota… E così i tecnici e il Governo fanno filtrare la notizia che sulle piste da sci non si potrà andare a Natale... e subito il Governatore Zaia, pure il più efficiente fra i suoi colleghi, rilancia col pacchetto di neve e impianti aperti... Sarà per l’impreparazione di molti dei nostri governanti, ma sta di fatto che così non si può gestire un Paese in piena pandemia. Tanto più mentre anche l’eccezionale ripresa che stavamo registrando nei mesi scorsi si è spenta e forse si riaccenderà solo fra due anni. No, così non va proprio bene. Soprattutto non si può giocare sulle aspettative della gente e delle imprese che non sono bottoni da schiacciare per aprire o chiudere la porta di un ascensore. Pensiamo solo ai bar e ai ristoranti che fra chiusure ed aperture per decreto rischiano un’ecatombe che le mezze misure annunciate e poi smentire in queste ultime ore potrebbero solo aggravare. È tempo di affrontare il problema per quello che è: o nei pubblici esercizi italiani (quelli in regola e con le norme di sicurezza forse più rigide al mondo dopo quelle dell’Estremo Oriente, dove il covid-19 è sotto controllo) si può stare, oppure è comunque preferibile rinviarne l’aperura. Illudere clienti e gestori che si possa, forse, tornarci in base a qualche frazione di punto in più o in meno del tasso di trasmissione del contagio è da imbecilli. E il tutto deciso magari 24 ore prima della possibile (chissà?) riapertura parziale. Solo un comitato tecnico scientifico e politici che non hanno idea di come funziona un ristorante possono essere così incoscienti da creare attese (tipo l’apertura anche nelle ore serali nei locali in fascia gialla) e dopo neanche 48 ore deluderle. E non è tanto per la speranza di chi contava di lavorare, ma perché vuol dire che nessuno valuta che un ristorante non si riapre o si potenzia in poche ore a comando. Servono igienizzazioni, acquisti di derrate alimentari, programmazioni e preparazioni di linee... Senza contare che serve poi avere clienti, oggi sempre più spaventati da una comunicazione negativa.
Fri, 14 May 2021 - 54 - Episode 51: Quale futuro per bar e ristoranti? Più rigore per aprire un locale
L’obiettivo prioritario oggi è salvare dal fallimento quasi certo 50mila fra bar e ristoranti costretti a chiudere dalla pandemia. Al di là del disastro sanitario, è questo uno dei più terribili effetti che la pandemia scatenerà sul piano economico. Per restare solo ai pubblici esercizi si parla di almeno 300mila disoccupati e di decine di migliaia di esercenti che non potrebbero avviare altre attività perché “falliti”, non già per incapacità (alcuni magari anche) ma perché costretti a chiudere dallo Stato. Per evitare una marea di fallimenti la Fipe ha chiesto al Governo con urgenza un piano “salva imprese” basato su un “Fondo chiusura delle imprese causa Covid”, a cui collegare nuove norme sulle crisi di impresa per preservare il futuro imprenditoriale di migliaia di persone che altrimenti si ritroveranno impossibilitate ad operare a causa di un evento del tutto esterno ed imprevedibile. Ma se con questo intervento si può cercare di “accompagnare” e contenere gli effetti più devastanti della crisi, è tempo di pensare con decisione anche a riorganizzare l’intero comparto caratterizzato nel periodo pre-covid da un’eccessiva debolezza strutturale, nonché da numeri, oggettivamente, troppo elevati. In Italia abbiamo il doppio dei pubblici esercizi della Germania: e non è che i tedeschi non amino bere e mangiare in compagnia! Uno dei problemi centrali del comparto è in effetti quello degli accessi senza regole. In queste attività sono entrati troppi improvvisati e la criminalità si è rafforzata. Il risultato è stato lo scardinamento di molte regole della libera concorrenza e di una sana gestione. E oggi con la crisi se ne pagano le conseguenze. Da qui la necessità di rivedere la situazione e garantire un futuro più serio alle imprese sane. Gli errori della liberalizzazione di Bersani «Bisogna guardare al futuro - ci dice in proposito il direttore generale della Fipe, Roberto Calugi - e per questo riteniamo imprescindibile, come ripetiamo da anni, rivedere i criteri di accesso al settore della ristorazione e dell’intrattenimento. Questo periodo di crisi ha evidenziato con tutta evidenza la fragilità del sistema e i limiti di un approccio di “semplicistica semplificazione” che ha avuto inizio con la legge n.223 del 2006 che sta mostrando i suoi limiti rispetto ad un mercato fortemente evoluto nel corso degli ultimi anni». Come dire, aggiungiamo noi, che la presunta liberalizzazione della legge voluta dall’allora ministro Bersani ha mostrato tutti i limiti e gli errori di un’impostazione che non aveva nulla di “liberale”, ma era semplicemente una sorta di “liberi tutti” perché ognuno facesse quel che voleva, alla faccia della professionalità, della preparazione e, soprattutto, della sicurezza dei consumatori. Già, perché grazie a Bersani chiunque ha potuto aprire un bar. E la gran parte di questi esercizi si sono messi a fare anche cucina, pur non avendo magari neanche un minimo di formazione della scuola alberghiera. E a cascata, questa sorta di finta democrazia economica ha portato al proliferare di imprese, quasi sempre senza patrimonio, che fanno somministrazione di cibo e bevande, mentre proliferavano in tutta Italia corsi farlocchi per dare titoli di cuoco professionista dopo poche ore di lezione in aula…
Fri, 14 May 2021 - 53 - Episode 50: Ristori ai ristoranti, ma poi? Poche settimane per avere risposte
lla fine è fin troppo chiaro che la giostra interminabile di Dpcm a cui ci ha sottoposto Conte è stata solo un escamotage per evitare di prendere decisioni dure e accettate da tutti, o almeno da una larga maggioranza. Una strategia, perdente, che mostra tutte le debolezze delle istituzioni e dei politici
Mon, 22 Mar 2021 - 52 - Episode 49: Così Conte copre gli errori politici. Le criticità sono bus e ospedali
«Quindi il problema siamo noi che lavoriamo nei bar, nei ristoranti o nelle pasticcerie?». La domanda se la pongono oggi almeno due milioni di italiani.
Mon, 22 Mar 2021 - 51 - Episode 48: Più che un gufo è un avvoltoio. TheFork spenna i ristoranti
Oggi il problema vero di bar e ristoranti sono le possibili nuove restrizioni di orario che potrebbero decidere a breve Governo e Regioni. Ma non è che sul cammino di una lenta e difficile ripresa non ci siano altre mine. Una è caricata per esplodere mercoledì 7 ottobre, giusto quando dovrebbero essere approvati i nuovi decreti anti Covid.
Mon, 22 Mar 2021 - 50 - Episode 47: Mafia, lavoro nero e assistenzialismo: le armi dell'Inps contro i ristoranti
A molti agricoltori i raccolti sono marciti nei campi perché non c’era nessuno che accettava il lavoro per raccoglierli. E lo stesso è successo a tanti ristoratori o albergatori, rimasti senza camerieri perché - nel Paese con il tasso di occupazione più basso dell’Unione europea dopo Portogallo e Bulgaria - non c’erano italiani disposti a lavorare.
Mon, 22 Mar 2021 - 49 - Episode 46: Ristoranti, come avere più clienti. Il servizio di sala inizia dalle App
5 pallini di TripAdvisor o una segnalazione sulla Michelin? Niente di tutto questo ha più valore. Ciò che conta oggi, e lo dimostrano i ristoranti che riescono a lavorare in questa crisi generalizzata, è la credibilità. Per riempire una sala oggi, oltre ad una Cucina di qualità, occorre dare garanzie ed offrire al cliente la possibilità di verificare che ciò che si promette è vero
Mon, 22 Mar 2021 - 48 - Il 2021 dei pubblici esercizi Si sopravvive con idee o soldi
Editoriale del direttore Alberto Lupini dell'11 Settembre 2020. L’allarme è sempre più alto e più che giustificato, ma forse bisognerebbe evitare un po’ quello che sembra terrorismo psicologico. Confesercenti parla ad esempio di 90mila imprese che avrebbero chiuso a causa del Covid, ma in realtà siamo solo ad una stima. E peggio è l’Istat che parla di un 67% dei bar e dei ristoranti a rischio chiusura, ma solo sulla base di un sondaggio di opinioni. Più attendibile, ma sempre a livello di previsione, potrebbe essere lo studio della Fipe che indica in 50mila i pubblici esercizi che potrebbero abbassare le saracinesche per la pandemia con la perdita di 350mila posti di lavoro. Articolo completo su https://iat.pub/2DRYYUI
Sat, 12 Sep 2020 - 47 - Ristoranti, ritorno al futuro? Le vera ripartenza è in “lock-free”
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 31 Agosto 2020. Se c’era bisogno di una qualche conferma ufficiale ora è giunta l’Istat che certifica che a fine giugno il fatturato dei ristoranti aveva chiuso con un crollo del 64,2% negli ultimi tre mesi, il che equivale ad una perdita di circa 13 miliardi di euro. Numeri che da soli indicano qual è lo stato drammatico della maggior parte delle imprese del comparto che in quel periodo avevano appena cominciato a tentare una ripartenza. Questi 13 miliardi di perdite, come evidenzia la Fipe, si sommano ai 17 miliardi di rosso segnati fra gennaio e marzo, e pongono una pesantissima ipoteca sul futuro a breve di molte imprese. Difficile immaginare a oggi cosa succederà nei prossimi mesi quando speriamo ci sia la vera “ripartenza”. Se con realismo bisogna considerare che l’attività fra luglio ed agosto è stata positiva in alcune località di mare o di montagna (dove per altro molti locali sono rimasti chiusi), lo stesso non si può certo dire delle città o dei centri storici, dove l’assenza degli impiegati per il lunch o dei turisti stranieri è stata devastante. Si può ipotizzare che la contrazione del fatturato dei ristoranti, mediamente a livello nazionale, durante le ferie possa essersi fermata ad un -40%. Che ovviamente è un dato statistico, perché per molti locali di Milano, invece che a Roma, Firenze o in tanti centri minori, il calo è arrivato anche all’80%. Un trend che, se confermato, porterebbe a oggi ad una perdita prevista di oltre 22 miliardi per tutto il comparto su base annua. La speranza di tutti è che ci sia una lenta ripresa. Sempre che non si rischi un altro lockdown (che le follie dei negazionisti alla Sgarbi o Briatore potrebbero favorire) e che settembre davvero non segni quella caduta a picco che si teme per la paura dei contagi e dei focolai sparsi per l’Italia, che troppa stampa stupidamente ha forse ingigantito. Ma come garantire una ripresa? Per ora il dato su cui si può ragionare è quello che spiega il direttore generale di Fipe, Roberto Calugi, secondo cui «sicuramente la parte centrale di agosto e in generale il mese, per i luoghi legati ai posti di villeggiatura, come mare e montagna, non è andata male, è stata solo una boccata di ossigeno per bar e ristoranti, perché c'è stato il turismo italiano, mentre nelle città d'arte, dove è mancato tantissimo il turismo straniero, la situazione è drammatica». E da qui si deve partire. Se dunque il turismo costiero e montano ha dato una boccata d'ossigeno, che arriva dopo un periodo disastroso, cosa succederà dal 1° settembre, quando non ci sarà più nessuno in vacanza? Questo è il tema che Governo e Regioni dovranno affrontare al più presto. Fin dall’inizio della pandemia avevamo insistito sul fatto che molti ristoranti non avrebbero più riaperto. E in città come Milano, Firenze, Venezia e Roma molti ristoranti e bar non hanno proprio riaperto, soprattutto se troppo piccoli (e quindi nell’impossibilità di garantire il distanziamento obbligatorio) o se da tempo un po’ “snaturati” rispetto alla mission di somministrare cibo. È il caso di molti locali “fighetti” o di tendenza (a volte anche stellati) dove gli eventi e il marketing (attività di fatto azzerate) contribuivano in maniera determinante al fatturato. Se poi i muri non sono nemmeno di proprietà la situazione si complica ancora di più. La ripresa, o ripartenza vera che sia, in ogni caso non potrà essere come un ritorno al passato.
Wed, 09 Sep 2020 - 46 - La Sardegna non è Codogno. Non si cerchino capri espiatori
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 24 Agosto 2020. Da isola Covid-free a incubatoio di contagi da esportare sul continente? Secondo una stampa un po’ troppo sensazionalista, in neanche un mese la Sardegna sarebbe passata dalle stelle alle stalle per quanto riguarda la gestione dell’epidemia. Eppure, al di là di alcuni focolai circoscritti, al momento non c’è stato alcun ricorso alle terapie intensive e i pur motivati allarmi per la crescita dei contagi non sono certo da zona rossa. Non è Codogno e nemmeno Nembro. Ci sono tanti asintomatici, ma come in tutta Italia, e non sono certo situazioni paragonabili ai malati seri accertati a marzo. È vero che la Regione ha collezionato alcuni fra gli esempi forse più negativi a livello nazionale per quanto riguarda l’emergenza sanitaria. Ma gli assembramenti sulle spiagge e il troppo affollamento nelle discoteche non sono certo i peggiori esempi di questa estate italiana un po’ anarchica. Eppure, poche notizie hanno affossato il primato positivo che l’isola si era conquistata nei tempi del lockdown. Quasi che la terra dei Nuraghi possa diventare una nuova Wuhan. E tutto questo perché è l’unica regione italiana oltre alla Sicilia in cui in teoria è possibile controllare chi entra o chi esce perché si deve per forza passare da porti e aeroporti. Il comportamento dei sardi è stato in realtà ineccepibile: dalla Nurra a Cagliari, distanziamento, mascherine e file per entrare nei negozi erano e sono ancora la regola. Quel che ha permesso il diffondersi di tanti piccoli focolai è stata forse la mancanza di un controllo più rigoroso delle istituzioni sul comportamento dei turisti, a partire dalla Costa Smeralda, dove è stato come se nei mesi scorsi non fosse accaduto nulla. Su tutti la vicenda del Billionaire, un esempio da manuale di come affossare l’immagine di un territorio e quello di pubblici esercizi come le discoteche, a torto o a ragione nell’occhio del ciclone. In effetti va detto che se la Sardegna è ingiustamente balzata alle cronache negative nazionali lo si deve alla supponenza di un personaggio come Briatore, negazionista e irresponsabile, che alla fine ha chiuso il locale perché pieno di dipendenti contagiati: non si sa se per la presenza di troppa gente rispetto a quanto consentito dalle normative o per la scarsa tutela dei dipendenti. Altro che inventare piazzate da tv populista contro il sindaco di Arzachena che aveva “corretto” in senso più restrittivo il via libera della Regione sulle discoteche. Ma per il Billionaire e tante discoteche si sarebbe potuto evitare questo epilogo se solo si fossero fatti dei controlli. Altro che dare la colpa ai giovani. Se il Governatore che nei mesi scorsi voleva essere il più rigoroso di tutti ha poi aperto le discoteche senza regole, perché i giovani non avrebbero dovuto frequentarle? Parliamo di un Governatore che mesi fa voleva imporre un passaporto sanitario senza basi scientifiche per accedere all’isola, salvo poi trasformarlo in una app di cui praticamente nessuno ha controllato l’utilizzo all’ingresso dell’isola in aeroporti o porti. È stata solo una grande operazione di pura immagine e scarsa sostanza, come del resto è la pretesa adesso di fare tamponi alle decine di migliaia di persone che lasceranno l’isola in questi giorni. Un’operazione impossibile che fa il paio solo con quella decisa in poche ore dal Governo per fare tamponi a chi proviene da Paesi a rischio Covid, ma solo per chi viaggia in aereo. Una vera buffonata per il ritardo con cui ci si è mossi e per alcune modalità che dovrebbero fare riflettere sulla superficialità di certi scienziati o politici. Premesso che, se servono test per eventuali contagi, li devono fare a tutti e non solo a chi si prenota, perché questo dovrebbe valere solo per chi viaggia in aereo? Chi viene in auto o in treno da Grecia, Croazia o Spagna perché non dovrebbe fare il tampone? Obiettivamente sarebbe difficile intercettarli... ma allora a che serve questo teatrino(continued)
Wed, 09 Sep 2020 - 45 - #farerete cade nella sua rete. Dopo la riapertura ognuno per sé
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 17 Agosto 2020. Proprio nel momento in cui il mondo della ristorazione avrebbe bisogno di essere unito e contare di più (dopo settembre la crisi sarà inevitabile per tanti), registriamo purtroppo l’ennesimo fallimento di un progetto ambizioso che si proponeva di mettere insieme esperienze ed interessi diversi (dai cuochi ai pasticceri, dai pizzaioli ai ristoratori): #farerete ha infatti perso per strada alcuni dei suoi soci più importanti. Con la fuoriuscita di 3 delle associazioni aderenti (fra le più rilevanti a livello di iscritti) #farerete in nemmeno due giorni ha visto crollare di oltre il 70% la forza che diceva di rappresentare. Sono bastate poche polemiche interne sul mancato riconoscimento del ruolo svolto da qualcuno, per fare sciogliere il debole collante che teneva insieme tante sigle (diverse per obiettivi e strutture organizzative) che si erano alleate nei tempi del lockdown, quando tutti locali erano chiusi per legge. Le preoccupazioni sul futuro che avevano spinto tante associazioni a cercare un’unità, non sono bastate però a tenere insieme esigenze ed interessi che erano oggettivamente diversi. All’inizio della pandemia tutto il mondo dei pubblici esercizi era fermo e, fra proteste, proclami e richieste di soldi, era forse facile pensare di stare insieme. Ma è bastato che a macchia di leopardo il comparto riprendesse la sua attività, perché visioni e interessi diversi portassero alla rottura di equilibri precari. Non basta riaprire, ci sono i problemi della gestione, del personale e della mancanza di clienti. Se non ci sono visioni generali del comparto è difficile trovare intese, se non fittizie o di facciata. Le esigenze di un ristorante stellato non possono essere quelle del ristorante tradizionale o della pizzeria. Occorre qualcuno che le conosca e le possa mediare. Ad abbandonare per prima il cartello è stata Solidus turismo che con le sue 50mila aziende associate, pesava per oltre la metà della “forza” virtuale di #farerete. A distanza di poche ore se ne sono andate anche la Federazione italiana cuochi (l’unica associazione di rilievo a livello nazionale che rappresenta i cuochi di ogni tipologia) e subito dopo Eurotoques, l’associazione con più iscritti fra i cuochi di alta cucina. Altre defezioni potrebbero esserci nel giro delle prossime ore, ma già queste uscite hanno drasticamente ridotto la realtà del cartello di #farerete. Anche se restano prestigiose associazioni di cuochi o ristoranti, povere però di numeri effettivi, il grosso delle imprese rappresentante indirettamente in questo cartello è oggi dei pasticceri. Non siamo in grado di riportare i commenti dei dirigenti di #farerete, perché a nostre richieste di chiarimenti, riportate sulla loro chat interna, non è stata data risposta. Eppure sarebbe utile per tutti capire bene perché il progetto è naufragato. Una possibile spiegazione è che forse non tutti avevano le stesse motivazioni per stare insieme, oppure c’era un disequilibrio visti i “pesi” diversi fra le varie associazioni. Forse c’erano anche troppi generali che pensavano di fare le “loro” battaglie contando sulle truppe di altri. Secondo alcune indiscrezioni col passare delle settimane si sarebbe fatto sempre più evidente il tentativo di egemonia “politica” che voleva esercitare qualche sigla. È forse il caso di Ambasciatori del Gusto, la piccola associazione di cuochi per lo più stellati, strettamente legata ad Identità Golose, che aveva peraltro avuto il merito di lanciare il progetto di #farerete.
Wed, 09 Sep 2020 - 44 - Troppe chiacchiere e inutili bonus, il Governo sottovaluta la ristorazione
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 10 Agosto 2020. Difficile dire se a perderci la faccia sia stata la viceministra Laura Castelli o l’intero Governo. Sta di fatto che la bocciatura dell’improvvisato bonus per scontare del 20% i consumi al ristorante (che alla fine non è entrato nel decreto di agosto) dimostra come il mondo della ristorazione e del turismo continui ad essere affrontato in modo approssimativo e senza alcuna strategia. Il confronto obbligato è con la Francia, che ha puntato da subito sulla valorizzazione di questo comparto che contribuisce all’immagine nazionale nel mondo. Da noi, invece, si procede come a occhi chiusi, fra assistenzialismo o contributi a pioggia che non tengono conto delle cause per cui molti bar e ristoranti sono drammaticamente in crisi. Ci sono locali che non lavorano perché mancano i turisti stranieri (è il caso di tutti i centri storici). Ci sono quelli danneggiati dalla vergognosa proroga dello smartworking degli statali e dei bancari, che ha azzerato i lunch o i caffè delle pause. Parliamo di aziende che hanno bisogno di essere sostenute non già per assistenzialismo, ma solo perché questa assenza di clienti è “temporanea”, salvo che qualcuno pensi (e forse era questo l’originale pensiero dell’on. Castelli che avevamo contestato) che l’Italia una volta finita la pandemia debba rinunciare al turismo o che gli uffici pubblici e le banche non debbano più essere frequentati... E su tutto ciò c’è poi la perdurante “paura” di molti italiani di andare al ristorante, alimentata da notizie esageratamente allarmistiche o, peggio, contraddittorie. Del resto cosa si può pretendere da un Governo che ogni giorno avverte (giustamente) dei rischi di una ripresa dei contagi, ma poi rinuncia ad attrezzare le nuove linee di difesa sanitarie respingendo per pregiudizio ideologico gli aiuti ad hoc del Mes, a costo quasi zero e senza alcun vincolo? Per carità, Conte e i suoi ministri hanno messo in campo anche alcuni interventi interessanti per i pubblici esercizi. Pensiamo agli aiuti nei centri storici (senza turisti), alla decontribuzione per le assunzioni dei giovani, al prolungamento della cassa integrazione (legandola all’effettivo calo di fatturato rispetto allo scorso anno), agli sgravi fiscali (ma solo temporanei...) per chi investe al Sud. Di valore c’è poi il contributo voluto dalla ministra Teresa Bellanova per spingere gli acquisti di prodotti agroalimentari italiani. Peccato però che i 600 milioni stanziati sembrano un po’ un’elemosina e, soprattutto, sono ancora una volta distribuiti a pioggia senza tenere conto che ci sono ristoranti (pensiamo alle località di mare) che per fortuna in questi giorni lavorano, mentre i locali di Milano o Roma, ad esempio, sono drammaticamente vuoti. Non consideriamo in questo pacchetto l’anticipazione del cervellotico sistema con cui si pensa di garantire qualche possibile sconto (?) per chi farà acquisti usando moneta elettronica o carte di credito al posto dei contanti. Questo è infatti uno strumento di tipo fiscale per evitare l’evasione e poco inciderà sul “cassetto” di un locale. Inserirlo nel pacchetto di agosto è davvero solo fumo negli occhi. La verità è che il Governo, pur con alcune iniziative positive, sembra non riuscire a comprendere che il mondo della ristorazione e del turismo non possono vivere di bonus estemporanei. Pensiamo solo al fallimento di quello degli alberghi. Serve un intervento organico e radicale per mettere ordine in un settore dove negli ultimi anni sono entrati troppi improvvisati, dove c’è una sempre più alta presenza di criminalità (che la crisi farà ulteriormente aumentare) e dove ci sono troppe disparità (dal fisco alle normative igienico sanitarie) fra le tante, troppe, aziende che fanno somministrazione di cibo e bevande. Bisogna valorizzare un modello organizzativo che non può prescindere ad esempio dalla presenza di un cuoco professionista. Si deve rimodulare (anche se in fase transitoria(continued)
Wed, 09 Sep 2020 - 43 - Più sicuri al ristorante che sui treni regionali
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 3 Agosto 2020. Il treno è il nuovo tema di scontro fra Governo e opposizione. Se si tratta di percorsi nazionali (a partire dall’Alta velocità) resta l’obbligo del distanziamento sui vagoni e dei posti dimezzati. Se invece si viaggia sui “regionali” nel nord Italia, tutti i posti possono essere occupati e si può viaggiare pure in piedi. E poco importa se da un punto di vista “tecnico” sulle frecce rosse si potrebbe stare più sicuri (sempre con le mascherine) visto che i posti sono meno stretti e, soprattutto, c’è un ricambio d’aria che i pendolari lombardi o liguri se lo possono sognare. Ma tantè, da una parte ci sono Conte e la gran parte degli scienziati che sostengono che lo stato di emergenza deve proseguire per evitare il ritorno autunnale della pandemia, e dall’altro le Regioni che si rifanno a Salvini e i tanti, troppi, negazionisti sullo stile di Bolsonaro e Trump. E in mezzo ci stanno però gli italiani che di questo caos (in gran parte innescato dal Governo che ha fatto una precipitosa retromarcia proprio sui posti dei treni) pagano ovviamente le conseguenze, senza che se ne capiscano fino in fondo le ragioni. Eppure la spiegazione è ancora una volta una sola: la classe politica (tutta) si sta dimostrando assolutamente inadeguata per affrontare un’emergenza che richiederebbe unità e condivisione delle scelte. Ogni occasione è buona per polemizzare: dall’uso delle mascherine ai programmi di riapertura delle scuole. E ora ci aggiungiamo i treni. Il confronto muscolare fra i politici o le istituzioni non riguarda però il futuro di noi italiani, ma solo il destino di qualche partito o qualche leader più o meno populista. Gli esempi clamorosi erano stati nei giorni scorsi le sparate del Governatore-comico di Napoli contro i lombardi o le pretese del leader leghista di esibirsi per scelta senza mascherina, anche in una sede istituzionale come il Senato (con tanto di code polemiche e le successive scuse agli italiani di Andrea Bocelli). La contraddizione dei treni mette peraltro a nudo l’incoerenza di un Paese dove, per assurdo, gli unici luoghi dove si mantiene il massimo del rigore sono oggi i ristoranti e alcuni negozi. Nelle località balnerari le mascherine sembrano diventate ad esempio un optional e la movida notturna è tornata ai fasti pre covid-19. E ai tecnici che si occupano della follia dei nuovi banchi per le scuole da riaprire sembra non interessare per nulla che molti di quegli studenti si trovano oggi a contatto coi coetanei senza alcuna protezione. Ma tantè, pur di spargere demagogia a piene mani in Italia nessuno si sottrae. Nemmeno i virtuosi altoatesini che dopo avere fatto sostituire ai camerieri le mascherine con dei semplici fazzoletti (!) ora in alcune Spa non rilevano nemmeno più la temperatura col termoscanner, anche se è obbligatorio farlo. E che dire delle normative regionali che allargano le già ampie maglie di attività degli agriturismi (per posti a tavola e letti), mentre per hotel e ristoranti restano le norme vincolanti (giustamente), con in più la beffa delle Regioni nordiste che permettono di riempiere fino all’ultimo posto i treni dei pendolari, ma continuano a mantenere in smartworking i loro dipendenti (che così mettono ancor più in ginocchio bar e ristoranti che sono senza clienti). Se poi aggiungiamo che gli scansafatiche regionali siciliani (definizione del loro Governatore) lamentano lo stress per (non) aver lavorato da casa, ma non intendono rientrare in ufficio… forse è il caso di rimettere ordine (a livello nazionale) ad un sistema Paese che così non potrà affrontare i pericoli della crisi prevista per questo autunno.
Wed, 09 Sep 2020 - 42 - I ristoranti perno del turismo. La Castelli un’ignorante inutile
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 20 Luglio 2020. Sembra incredibile, ma purtroppo è vero. La ricetta del viceministro dell’Economia, Laura Castelli, per ovviare alla drammatica crisi post covid-19 della ristorazione è «cambiare mestiere». Il che vorrebbe dire chiudere i ristoranti oggi senza clienti. Senza nemmeno preoccuparsi del perché pochi italiani frequentano in questi mesi i pubblici esercizi, l’esponente dei 5 stelle sembra dare per scontato che i ristoranti non si riempiranno più. E in base alla sua bislacca teoria ai ristoratori non resterebbe che cambiare mestiere. Naturalmente “aiutati” dallo Stato. E tutto questo in nome delle mutate condizioni della domanda e dell’offerta, che altro non sarebbe che una variante della decrescita (in)felice che sta alla base dello statalismo assistenziale che continua a motivare i 5 stelle. Peccato che chi lavora nei ristoranti non appartiene alla categoria nei nullafacenti o degli ignavi beneficiati dal reddito di cittadinanza. I titoli di alcuni giornali saranno stati francamente esagerati. Ma anche un articolo “sobrio” come quello di Italia a Tavola ha registrato migliaia di reazioni negative e centinaia di veri e propri insulti sui social. A conferma che le parole della viceministro sono di una vergogna che solo le dimissioni potrebbero cancellare. La sua ricetta è solo una dimostrazione di ignoranza rispetto ad un lavoro che è fatto di sacrificio, passione e continua ricerca. Da un viceministro dell’Economia ci si aspetterebbe almeno un po’ più di attenzione verso la situazione attuale di aziende che sono la prima linea del turismo (oggi sospeso) e della promozione della filiera agroalimentare. Ma tutto questo non passa nemmeno per la testa della Castelli che cita aiuti e sostegni al comparto che sono o analoghi a quelli di altri settori, o insufficienti, o mai realizzati (pensiamo ai ritardi della cassa integrazione o dei finanziamenti bancari). E alla signora, non nuova a gaffe di questo genere, non si può non ricordare che fra le cause del disastro di molti pubblici esercizi c’è anche quel lockdown di statali e bancari che solo per ragioni elettorali il suo Governo si ostina a voler mantenere, privando così i locali dei centri urbani di quel minimo di attività legata alla pausa del pranzo. Ma questo alla nostra ignorante viceministro nemmeno passa per la testa… Parlando della ristorazione e della crisi attuale, la viceministro avrebbe peraltro potuto compiere davvero un salto di qualità ricordando che se dei locali dovranno chiudere questo non dovrebbe avvenire perché in questo momento c’è una crisi drammatica. Questa vale per tutti, ma non per questo si pensa a riconvertire ad esempio la Fiat ad altre attività. Anzi, alla Fca hanno regalato 6 miliardi di euro. In Italia ci sono troppi locali dove si somministra cibo, lo ripetiamo da tempo, e un po’ di selezione sarebbe opportuna. Ma questo la Castelli forse lo ignora. Le sue parole senza senso avrebbeto potuto avere una grande forza se avessero fatto ad esempio riferimento alla necessità di applicare regole fiscali e di igiene valide per tutti, all’importanza di permettere la somministrazione di cibo solo in presenza di cuochi professionisti, alla opportunità di chiudere almeno 5mila ristoranti gestiti dalla criminalità per riciclare il denaro sporco e noti a tutte le Questure italiane. Si creerebbe lo spazio perché le aziende sane e oneste potrebbero lavorare. Oggi molti ristoratori saranno in piazza a Roma per sollecitare il Governo ad intervenire con più decisione per tutelare queste imprese. La Castelli è meglio che non si faccia vedere, sarebbe come minimo spernacchiata.
Wed, 09 Sep 2020 - 41 - Certificazione per essere Cuochi, solo la qualità garantisce i numeri
La paura (ingiustificata) che allontana molti clienti dai ristoranti. L’assenza di turisti stranieri. E soprattutto il lockdown che tiene in casa milioni di impiegati (per lo più statali e bancari). Stritolati da questi fattori negativi molti ristoranti italiani rischiano la chiusura. Le conseguenze non sarebbero nefaste solo a livello aziendale. Ci sarebbero drammatiche conseguenze come la perdita del lavoro per molti cuochi e camerieri e danni incalcolabili sulla filiera agroalimentare e sull’indotto. E tutto ciò senza considerare la perdita di un elemento strategico del nostro sistema turistico. Ce n’è abbastanza per parlare senza retorica di “allarme rosso” per un comparto che pure è perno e fattore strategico del nostro turismo, nonché elemento prioritario dell’immagine nel mondo del nostro stile di vita. Eppure, sembra che alla politica italiana tutto questo interessi poco. La Francia ha varato un maxi piano di sostegno per i ristoranti (fra i simboli del Paese). In Gran Bretagna si distribuiscono buoni pasto da 10 sterline per spingere a consumare nel fuori casa e, soprattutto, si è decisa una drastica riduzione dell’Iva (dal 20 al 5%) per riattivare i consumi in ristoranti e hotel. Da noi si vuole invece prorogare il lockdown (che non dà alcun vantaggio alla collettività, anzi...), decretando così fin d’ora la morte di molti locali. E sui social avanza intanto un’onda pericolosa di stupidaggini come quelle di chi sostiene che chiudere bar o ristoranti non sarebbe che un bene, visto l’eccesso di pubblici esercizi, a volte aperti da incompetenti solo in virtù dell’assurda liberalizzazione degli scorsi anni. A ben guardare è sicuramente vero che il numero dei locali in cui si somministrano cibo o bevande è davvero esagerato per l’Italia. Nessun Paese europeo, in proporzione agli abitanti, ne ha così tanti. Ma da qui a pensare che si possa rimettere un po’ d’ordine nel comparto lasciando di fatto andare tutto in vacca, è davvero da irresponsabili. È come se si applicasse la teoria dell’immunità di gregge lasciando sopravvivere solo i più forti. Che non è detto che siano i più seri, i più onesti o i più bravi… Ciò che non si può fare è mettere la testa sotto la sabbia e aspettare di vedere cosa succederà. Se, come andiamo ripetendo da tempo, il covid-19 porterà purtroppo ad una selezione nel numero dei pubblici esercizi, non si può lasciare tutto al caso. Si devono rivedere con urgenza le normative e fissare dei paletti perché si possa fare somministrazione. Il primo punto è che chi non rispetta i requisiti obbligatori che valgono per i ristoranti non deve poter fare somministrazione. Non è possibile che un bar possa essere chiuso se per sbaglio serve un alcolico ad un minorenne, mentre la norma non è applicabile al parrucchiere che offre un aperitivo nel suo salone o alla pescheria che serve un pranzo o una cena in negozio e magari non ha il bagno per i disabili. Occorre davvero che ognuno faccia il lavoro per cui è preparato. Lo strumento oggi fondamentale per mettere un po’ di ordine sarebbe il fatto che un locale può somministrare cibo solo se c’è un cuoco professionista, tale non perché si è messo una giacca bianca ed una toque, ma perché è riconosciuto da un esame, invece che da una formazione di alto livello. In questo modo verrebbero tolti dal mercato locali che, oltre ad abbassare il livello qualitativo del comparto, non hanno le competenze per garantire la sicurezza dei consumatori. Non dimentichiamo che in un ristorante ci si occupa anche della salute del cliente. E questo a prescindere dal covid-19. Si tratta di una riforma che la ristorazione attende da tempo e che la drammaticità di questa crisi imporrebbe di adottare al più presto. Anche perché la competenza così riconosciuta permetterebbe di avere soggetti più motivati e capaci di condividere obiettivi e strategie, superando quella frammentazione che oggi caratterizza un comparto in cui ci sono troppe figure diverse, a volte totalmente(continued)
Wed, 09 Sep 2020 - 38 - La bomba sulle Carte di credito. Il Pos costerà il 30% in più
Bar, ristoranti e hotel sono in ginocchio. È l’intera prima fila del turismo che stenta a rialzarsi dopo quasi 3 mesi di lockdown. Più che i vincoli di tipo sanitario (che in alcuni casi si sono dimostrati un’opportunità per rivedere l’organizzazione e l’accoglienza) a pesare sopra ogni cosa è la mancanza di liquidità: mancano i soldi per pagare i costi fissi e il personale (che stenta persino a ricevere i contributi della cassa integrazione). Ed è in particolare il sistema bancario ad avere costituito finora una sorta di “tappo” che ha ingessato il comparto. Ora gli istituti di credito sono chiamati alla prova della verità con l’erogazione dei contributi a fondo perduto, ma è indubbio che finora hanno perso gran parte della credibilità nella vicenda “prestiti” che, sia pure garantiti per il 90% dal Mediocredito centrale, sono arrivati col contagocce. Hanno moltiplicato pratiche e documenti da compilare (nella media si è passati dai 5 previsti dall’accordo Governo-sindacati-Abi ai 20 utilizzati dalla gran parte delle banche) dando risposte positive a meno della metà delle piccole imprese. Questo rapporto conflittuale fra pubblici esercizi e banche rischia però di diventare esplosivo a breve. Giusto in contemporanea con l’entrata in vigore dei nuovi limiti sui pagamenti in contanti (che dovranno essere inferiori a 2mila euro), dal 1° luglio è stata infatti annunciata una nuova stangata per bar, ristoranti, hotel e i negozi in genere: Nexi, la società delle banche italiane per la gestione delle carte di credito, aumenterà del 30% le provvigioni. Ma come, ci si chiederà, lo Stato spinge per usare i pagamenti elettronici (anche per ridurre i rischi di contagi da covd-19 e combattere criminalità ed evasione fiscale) e le banche aumentano un costo già rilevante? Anzi, il più alto in Europa… Perché nel mezzo della più drammatica crisi economica Nexi aumenta la commissione dei Pos? Parliamo di un costo per le piccole imprese che il premier Giuseppe Conte e il Governo avevano promesso di fare azzerare. Sembra davvero che la finanza viaggi su un altro pianeta e che la politica stia a guardare come la casta dei banchieri, intoccabili, schiaccia i piccoli imprenditori… La cosa più grave è che finora uno dei limiti all’utilizzo delle carte di credito era proprio il costo della loro gestione a livello bancario. E non a caso da tempo si chiedeva di ridurre le commissioni sul loro utilizzo per disincentivare l’uso del contante. Questo del resto è quanto è successo finora in altri Paesi. E fra l’altro questa tendenza avrebbe potuto proseguire alla grande in Italia visto che durante il lockdown c’era stata un’impennata ad accettare pagamenti con le carte di credito, anche da parte di soggetti un tempo “ostili” come gli artigiani. Contro ogni logica di mercato, e di interesse dello Stato, Nexi alla fine dello scorso febbraio aveva invece inviato alle aziende dotate di un Pos una modifica contrattuale delle commissioni da pagare. Le nuove condizioni prevedono una diminuzione delle provvigioni solo per i circuiti di pagamento stranieri (tipo Amex, poco utilizzati in Italia): dal 4,45% al 2,29%. Una boccata di ossigeno per i negozianti. Ma, a sorpresa, è arrivato anche un contemporaneo aumento delle commissioni bancarie per i servizi normalmente utilizzati dagli italiani (Maestro, MasterCard, Visa, V pay) dallo 0,97% all’1,24%. Il problema è che non c’è di fatto un’alternativa immediatamente opponibile a Nexi (che ha quasi un monopolio totale) e quindi questa è a tutti gli effetti un’autentica tassa sulle imprese che non possono certo dismettere il servizio di pagamento elettronico. Anche perché dal primo di luglio il Pos sarà obbligatorio per tutti! La beffa è che il Governo aveva previsto che dal primo luglio, in concomitanza con la riduzione della soglia di contante, ci fosse un credito d’imposta sulle commissioni pagate per l’utilizzo del Pos da parte degli esercenti con un valore pari al 30% delle commissi(continued)
Wed, 09 Sep 2020 - 37 - Stelle Michelin agli hamburger. La pizza però non ha alcun peso
Altro che Alta cucina o quella ricerca estrema per la quale si sono svenati i tanti cuochi candidati alle effimere stelle: ora basterà cucinare anche hamburger e alla Michelin andrà bene lo stesso. Parola di Gwendal Poullennec, direttore internazionale delle guide Michelin, che al "Corriere" ha annunciato un cambio di rotta radicale. L’esempio che cita con poteva essere più chiaro: René Redzepi del Noma, uno dei bistellati più discussi al mondo per proposte ardite ed estreme, in tempi di covid-19 si è riconvertito proprio agli hamburger e la “rossa” approva senza battere ciglio. Del resto c’è poco da fare. Finora solo il 21% dei 3165 ristoranti stellati nel mondo ha riaperto. Poco più di una sessantina quelli italiani, per lo più quelli con terrazze e giardini. E molti resteranno chiusi. E già solo questo parlare di stelle e critica sui ristoranti fa un po’ raggelare, ma volendo essere ottimisti cerchiamo di ragionare come se fossimo a pandemia conclusa. Con una prevedibile moria di locali e di cambi di menu (molti si orientano sul territorio e il tradizionale, o comunque “semplificano” i piatti), alla Michelin non resta che farsi andare bene anche ciò che fino a ieri giudicava con orrore. Deve salvare il salvabile della sua galassia, anche a costo di dare un calcio alla coerenza e al modello di gestione che aveva imposto in questi anni e che la crisi butta nella spazzatura: troppo costoso e spesso inutilmente basato sul concetto tutto astratto dell’esperienza che non sempre collima con la qualità e col gradimento del pubblico. D’altra parte, con meno soldi in circolazione e gli oneri accumulati in mesi di chiusura, anche gli stellati devono scendere coi piedi per terra e, per fare quadrare i bilanci, in tanti di sono dedicati all’asporto e, soprattutto alla consegna a domicilio. Quella delivery che le guide hanno sempre giudicato negativamente ma che, ora, di fronte alla realtà, dovranno guardare in modo diverso. Del resto è proprio la regina madre delle guide, sempre attraverso le parole del capo degli ispettori che sdogana la delivery dicendo che «cambierà il modello di business, soprattutto all'inizio. Noi saremo flessibili, riconosceremo il cibo di qualità in qualsiasi forma arrivi, e con qualsiasi esperienza arrivi, sia classica che più informale. Già adesso in alcuni Paesi ci sono ristoranti stellati che sono di fatto degli street food». Chissà che a Milano Carlo Cracco e Claudio Sadler, che hanno avviato due attività di deliry di qualità, non si riprendano la seconda stella proprio grazie all’attività aggiuntiva che ora piace alla Michelin… Quel «saremo flessibili» suona però francamente un po’ ridicolo. Un po’ perchè se non fosse “flessibile” la guida, senza più l’autorevolezza di un tempo, sarebbe in caduta libera, e un po’ perché la realtà impone cambiamenti a tutti e la “rossa” dimostra che le sue regole non erano poi scolpite sulla pietra, ma adattabili come sempre solo all’interesse del momento. Mi piego ma non mi spesso, verrebbe da dire. E così come esaltava Paul Bocuse da vivo, salvo poi togliere una stella al suo ristorante quando è morto, chissà che ora, visto il nuovo vento che tira (“tradizione” e meno spume e alghe), non gliela ridia. Questa inversione di rotta e abiura di regole consolidate sono in fondo nella storia della guida. E questo è anche un bene. Bisognerebbe solo capire quanto influisca il rischio di ritrovarsi con pochi locali a cui assegnare le stelle con parametri arcaici e oggi inapplicabili. Oppure quanto conta l’alleanza stipulata con l’anti guida per eccellenza TripAdvisor, che certo preferisce gli hamburger al “bollito non bollito” di Massimo Bottura. Questo giro di boa è peraltro apprezzabile e non possiamo non rilevarlo. Anche perché è assolutamente in linea con quanto Italia a Tavola indica da mesi sui cambiamenti inevitabili della ristorazione. Mentre spiazza molti altri osservatori che sono sempre fermi sulla "novità fine a se stessa" dei patti valutati d(continued)
Wed, 09 Sep 2020 - 36 - Ora l’Europa ci darà una mano, ma le Regioni bloccano il turismo
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 1 Giugno. Ormai tutto è riaperto. Non ci saranno più limiti a spostarsi in Italia, anche se per ora lo si farà praticamente solo “per lavoro”. Di turismo al momento non se ne parla: non ci sono molti soldi e gli alberghi restano per lo più chiusi. Così come sono semi vuoti molti dei ristoranti che hanno riaperto (finora solo 3 su 4, e uno su 3 teme di dover chiudere a breve…). È l’effetto di una crisi che si avvita su se stessa anche per il clima di paura che alcuni politici irresponsabili continuano ad alimentare. Pensiamo a quei Governatori un po’ bulletti che, in un nome di un antistorico autonomismo di maniera, fanno sparate tafazziane contro i “pericolosi” viaggiatori del nord, dimenticandosi che senza questi “untori” il loro turismo non esisterebbe. E Intanto rischiamo di vanificare il clima di fiducia che abbiamo instaurato in Europa con la gestione di questa pandemia. In questo momento avremmo bisogno di tutto, ma di sicuro non di dare l’idea a tutto il mondo che l’Italia sia un lazzaretto. Siamo il popolo che per primo in Occidente ha affrontato il covid-19 e non possiamo ora fare passare l’idea che siamo un Paese “non sicuro”. Ci sono parole che non fanno allontanare solo i turisti milanesi dalla Costa Smeralda: rischiamo di tenere lontani gli stranieri da tutta l’Italia. E questo è inaccettabile, anche alla luce delle ultime ricerche, come quelle del San Raffaele di Milano, che danno il virus come clinicamente non più pericoloso. Dietro la fantasiosa pretesa dei patentini della salute (a cui ha rinunciato per realismo anche Luca Zaia, che era stato il primo a proporli), o dietro l’idea di chiudere inesistenti frontiere regionali, c’è una sorta di razzismo rovesciato che è solo un modo meschino (e quasi ricattatorio) per alzare il prezzo e ottenere un po’ più di soldi dallo Stato. È lo stesso modo di fare dei piccoli Paesi del nord Europa che hanno finora bloccato gli aiuti all’Italia solo per avere altre compensazioni dalla Ue. Il tutto si chiama avidità ed egoismo, ma questa è un’altra storia. La querelle tutta italiana sui turisti è peraltro decisamente sgradevole perché saranno pochi gli italiani che potranno farsi delle vacanze. Gli autonomi, i camerieri o gli operai senza lavoro (e quasi tutti senza soldi per la cassa integrazione che non è ancora arrivata) non stanno certo a pensare alle ferie. E non è che al loro posto verranno degli europei se passa l’immagine di un’Italia pericolosa… È più che doveroso tutelare i cittadini, ma lo si deve fare con un po’ di cervello. Non serve a nulla chiudere ai contatti esterni come gli algidi danesi o austriaci. Si devono semmai rafforzare le strutture sanitarie, anche in vista della possibile ripresa dell’epidemia in autunno. Nessuno invoca il «liberi tutti». Dobbiamo rispettare le regole che valgono per tutta Italia e mantenere i distanziamenti. Ma dobbiamo poterci muovere. Dobbiamo riaprire tutti i cantieri senza pensare di bloccare tecnici o maestranze solo perché vengono da altre regioni. Dobbiamo valorizzare siti ambientali e beni artistici. Abbiamo molto da recuperare, soprattutto al sud, fermo da anni anche per colpa di una burocrazia inefficiente. Ma tant'è, l’Italia dimostra di essere gestita da una classe politica inadeguata e incapace di guardare oltre al proprio orticello. Le sparate dei viceré di Cagliari o Palermo creano terra bruciata attorno alle isole dove ci sono le piccole aziende legate al turismo e alla ristorazione che forse più di altre soffriranno. Dopo due mesi e passa hanno riaperto, ma non ripartono… mancano i clienti che, per lo più, hanno paura visto il continuo enfatizzare i rischi di contagio che tutti ormai conosciamo bene. E i danni colpiscono tutta Italia. [...]
Wed, 09 Sep 2020 - 35 - Niente Cig e multe per la movida. Cresce la rabbia dei gestori in crisi
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 25 Maggio Altro che buonismo e canzoni condivise dai balconi. È bastato allentare un po’ i vincoli del lockdown e tutta la solidarietà e il senso di responsabilità che come italiani avevamo dimostrato sembrano scomparsi. È un po’ come la fantastica qualità dell’aria che avevamo respirato in quei giorni anche in città: è bastato un po’ di traffico e siamo ritornati alle polveri sottili che da sole causano più morti ogni giorno del covid-19. Ma tantè, dobbiamo pur tornare alla “normalità”, secondo il mantra che ci sentiamo ripetere da politici o tecnici di cui pochi ormai pochi si fidano.
Wed, 19 Aug 2020 - 34 - Bar e Ristoranti, è ora di ripartire. Con più sicurezza, più clienti
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 18 Maggio Ora dobbiamo incrociare le dita e augurarci la grinta necessaria per ripartire alla grande. Sono state le aziende in assoluto più colpite dal lockdown, ma sono anche quelle da cui dipende il futuro di tutta la filiera dell’agroalimentare di qualità, dell’industria delle attrezzature, degli hotel e del turismo. Insomma, attorno a bar e ristoranti gira più di un terzo del Pil italiano, nonché molta parte della nostra immagine del mondo: sono uno dei simboli del nostro stile di vita che più piace agli stranieri. Al di là delle oltre trecentomila insegne del comparto e di qualche milione di addetti, è l’intero sistema economico del Paese che non poteva permettersi ulteriormente un blocco di queste imprese.
Wed, 19 Aug 2020 - 33 - Finanziamenti, ma non agli evasori, Conte rischia grosso sui "4 metri"
Editoriale del direttore Alberto Lupini dell'11 Maggio 2020 Bar, ristoranti e alberghi aspettano al varco Conte sulla questione tavoli. L’ennesima, inutile, indiscrezione circolata sabato sull’ipotesi di distanziare i tavoli di almeno 4 metri ha ulteriormente irritato, e preoccupato, gestori e dipendenti, tutti consapevoli che con quelle misure in pochi potranno riaprire e l’accoglienza italiana sarà condannata a morte. Non ci sono se o ma che tengano. Il Governo deve chiarire subito quali regole dovranno essere rispettate per riaprire in sicurezza. Il lasciare circolare proposte folli, degne solo di esperti incompetenti o burocrati superpagati, è un atto che si può definire criminale perché si gioca sulla pelle di chi non ha mai ricevuto molto dalle istituzioni, pur svolgendo un ruolo centrale per quello stile di vita che è il nostro vanto e marchio distintivo nel mondo. E ugualmente durissima è la posizione di Confindustria Alberghi che contesta alla base le indiscrezioni sul Dl Rilancio che non terrebbe in alcun conto della posizione drammatica anche degli alberghi, dove il 97% del personale è oggi in cassa integrazione, al punto che se non ci fossero novità si minaccia la chiusura di tutte le strutture alberghiere.
Sat, 30 May 2020 - 32 - Si riapre con distanziamento e turni, nel piatto sostanza e meno estetica
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 4/05/2020 Per il RE-START del 1° giugno ormai si è capito cosa si deve fare. Ristoranti e bar devono però rivedere tutta la proposta dei menu: piatti più semplici e torna la tradizione. Con brigate meno numerose in cucina si punterà su proposte meno elaborate e da "esperienza". Ma ora servono regole per la sanificazione e le presenze
Sat, 09 May 2020 - 31 - Bar e ristoranti senza rete Conte tradisce il fuori-casa
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 27/04/2020 I finanziamenti alle piccole imprese sono bloccati dalle banche e ai dipendenti non arriva la cassa integrazione in deroga, ma il Governo non si impegna e rinvia la riapertura all'1 giugno. Il comparto lasciato in crisi, quasi che qualcuno giochi ad una selezione a vantaggio dei più forti e della criminalità
Sat, 09 May 2020 - 30 - Troppa confusione sulle riaperture Classi di rischio, chi le ha definite?
Editoriale del direttore Alberto Lupini del 20/04/2020 La task force di Colao fa filtrare indiscrezioni su tabelle di rischio per ogni attività, ma non le spiega e non le conferma. Un comportamento irresponsabile che crea solo equivoci e dubbi. E intanto lascia che si facciano congetture su quando riapriranno i ristoranti, ma non si danno indicazioni su cosa si dovrebbe fare Già dalla data indicata ci si può fare l'idea che chi dovrebbe valutare come a quando riaprire ristoranti e bar forse non sa nemmeno bene come funziona il comparto: il 18 maggio, data ipotizzata dai più, è un lunedì. Giusto il giorno della settimana in cui la maggior parte dei locali è chiusa per turno. Ma tant’è, nella task force presieduta da Vittorio Colao non c’è un solo esperto di turismo e di accoglienza e non ci si può aspettare molto di più. A meno che non si tratti di un calcolo bizantino per partire con pochi locali, così da non avere subito l’impressione che molti potrebbero non aprire. Con questa classe dirigente c’è da aspettarsi di tutto… Troppa confusione sulle riaperture Classi di rischio, chi le ha definite? Ma al di là della data (potrebbe essere anche l'11 maggio o addirittura il 4 in alcune regioni, forse non la Lombardia…), quel che sorprende è l’assoluta superficialità (o disinteresse) con cui, a oggi, i supertecnici sembrano affrontare i problemi di un comparto che rappresenta il 15% del Pil nazionale e dà da vivere a qualche milione di italiani. Fare girare indiscrezioni (solo alla stampa amica) su Tabelle che dovrebbero misurare i livelli di "rischio integrato" delle diverse attività è un nonsense. Tanto più che sulla base di queste tabelle il Governo dovrebbe stabilire calendari di re-start e adempimenti da assolvere. Peccato che queste pseudo classificazioni al momento generano forse illusioni e falsi ottimismi. Tanto che non sarebbe male se la task force o il Governo ne confermassero l’esistenza o le smentissero. Anche perché così sembrano fatte solo per sondare il terreno, vedere le reazioni della gente. Una logica che dovrebbe preoccupare non poco. Per completezza d’informazione riportiamo questa tabella che peraltro è incompleta e, come detto, al momento priva di ufficialità. La si può consultare in coda all'articolo o nell'allegato pdf. In base a questa tabella la ristorazione (codice generale Ateco 56) avrebbe un indice “medio-basso” di rischio integrato, così come le attività commerciali (quelle dove può accedere solo un cliente alla volta se ci sono 40metri quadrati…). Certo il ristorante non può essere paragonato all’assistenza sanitaria o al trasporto aereo (con rischio integrato “alto”), ma va detto che medio-basso è anche quello dei trasporti, dello sport, dei servizi sociali, della scuola e delle colf, tutte attività ad alta aggregazione sociale e con livello di aggregazione di 3 su 5, che sono sospese o con grandissime limitazioni. Ora bisogna prestare attenzione anche alla "classe di aggregazione sociale" che è un'altra novità delle ultime ore, che non ha avuto alcuna ufficialità. Si tratta dell’eventuale apertura al pubblico dell’azienda e terrebbe conto del rischio di essere contagiati mentre si lavora e prevede un maggiore rispetto del distanziamento sociale durante le mansioni svolte. Il documento dovrebbe offrire al Comitato dei 17 esperti guidati da Colao una prima mappa per definire i criteri della riapertura. Ma il lavoro è complesso perché la situazione è fortemente disomogenea. La pandemia ha colpito più duramente alcune aree geografiche e la stessa classificazione in base ai codici Ateco è stata definita «anacronistica» dal neo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, al quale ci associamo per segnalare che costruire ipotesi su situazioni già da tempo considerate vecchie e superate dal mondo dei consulenti del lavoro dovrebbe fare capire come il lavoro di questa task force sembra una navigazione a vista guidata al massimo da burocrati già screditati di loro. La gran par(continued)
Sat, 09 May 2020 - 29 - I 600 euro vanno in pagamento Ma la Cassa integrazione dov’è?
Pubblicato il 14 aprile 2020 | 19:08 Mentre il bonus di 600 euro per i lavoratori autonomi arriverà a breve, delle indennità di Cassa integrazione (che riguardano, tra gli altri, i dipendenti di bar e ristoranti) non si è vista l’ombra in nessuna provincia italiana. E intanto il governatore Fontana ha cercato di attribuirsi il merito di un accordo con le banche, ma è una fake news
Sat, 18 Apr 2020 - 28 - 300mila mascherine in Lombardia In Toscana si parte con 10 milioni
Pubblicato il 06 aprile 2020 | 19:10 Dopo le polemiche con Comuni, Governo e Protezione Civile la regione Lombardia annuncia l’arrivo di mascherine insufficienti. Un numero ridicolo per 10 milioni di abitanti. In la Regione Toscana ne distribuisce da subito 3 testa per la metà degli abitanti
Sat, 18 Apr 2020 - 27 - Il vizio tedesco del dominio I corona bond sfasciano l’Europa?
Pubblicato il 29 marzo 2020 | 10:32 Dai “falchi” dell’Unione europea troppe reticenze sui programmi per salvare l’economia del dopo pandemia. Germania e Olanda sono ancora ferme a cicale e formiche e pensano di poter approfittare di questa drammatica crisi per regolare i conti con l’Europa mediterranea. Pessimo ruolo della Von Der Leyen
Sat, 18 Apr 2020 - 26 - Dall’Europa aiuto e unità Ma l’Italia si frantuma in polemiche
Pubblicato il 23 marzo 2020 | 19:15 Ora più che mai è tempo di unità. È tempo di superare i conflitti tra gli Stati, così come le divisioni interne tra le istituzioni, per garantire una reazione unitaria e definitiva alla pandemia in atto. Tutti devono davvero deporre le armi. Basta con la gara a chi è più bravo. Prendiamo esempio in questo da alcuni europei
Sat, 18 Apr 2020 - 25 - Ora che i miliardi ci sono bisogna salvare subito le aziende
Pubblicato il 16 marzo 2020 | 18:47 Il Governo ha stanziato 25 miliardi freschi per sostenere sanità e famiglie. Poi arriveranno altri 350 miliardi destinati all'economia intera. I fondi ci sono, bisogna sfruttarli presto e bene per sostenere il potere d’acquisto degli italiani e permetterci di ripartire dopo questa forzata fase di quarantena
Sat, 18 Apr 2020 - 24 - Ora serve prudenza: È tempo di schiscetta
Pubblicato il 09 marzo 2020 | 16:05 Prudenza e responsabilità devono essere ora imprescindibili. E non è certo il caso di darsi alla fuga dalle regioni del Nord Italia. Auspichiamo dal governo aiuti economici per la ristorazione e il turismo. Anche i cuochi possono dare una mano, con il delivery o con suggerimenti di ricette da fare a casa
Sat, 18 Apr 2020 - 23 - Crisi da paura, più che da virus, l’uscita dal tunnel col Vinitaly?
Pubblicato il 02 marzo 2020 | 16:45 Un'influenza polmonare che, per come è stata gestita da stampa e istituzioni, ha avuto gli effetti economico-sociali di una bomba atomica. Tra poco più di sette giorni si potrà capire se le misure messe in atto in Italia avranno rallentato l'epidemia. Intanto si spera che il segnale di svolta arrivi col Vinitaly, che ha confermato le date
Sat, 18 Apr 2020 - 22 - Il Coronavirus è una brutta bestia Ma ora è il tempo della razionalità
Preoccuparsi? Certo. Intervenire? Gli italiani in questo sono da sempre bravi, specialmente in situazioni di crisi. Ma questo allarmismo rischia di paralizzare un Paese che rispetto ad altri è già debole economicamente
Thu, 27 Feb 2020 - 21 - Premio IaT, grazie ai professionisti vince tutto il mondo del turismo
Onore ai vincitori del sondaggio forse più combattuto di sempre, ma anche a quei professionisti che non hanno rotto il nastro solo per un’incollatura di pochi voti. Come il festival di Sanremo insegna, si può vincere per lo 0,01% di voti in più, ma poi il vero successo lo si ha con il pubblico di tutti i giorni. E a vincere su tutti in ogni caso è il mondo dell’accoglienza, con tutte le sue specializzazioni e i suoi diversi protagonisti che per 9 settimane sono stati idealmente rappresentati dai candidati in gara. Lo spirito del Premio Italia a Tavola è del resto sempre stato quello di giocare, senza prenderci troppo sul serio, e di offrire ai lettori tanti esempi di professionalità. Non ci è mai interessato tanto chi potesse vincere, perché tutti erano degni di vincere. Ciò che conta è dare luce a tutte le categorie del mondo dell’enogastronomia, della ristorazione e dell’ospitalità, mettendo tutte le professioni sullo stesso piano. Non c’è chi è più bravo o chi è migliore. Cuochi o barman, sommelier o pasticceri, direttori d’hotel o pizzaioli, per noi sono tutte figure uguali per dare valore a un comparto che è poco considerato dalle istituzioni. E la massa enorme di votanti nei 3 turni fornisce da sola una risposta al disinteresse delle istituzioni verso le quali la faremo “pesare” per ottenere l’attenzione che merita un comparto centrale come quello del turismo, soprattutto nella sua declinazione dell’enogastronomia. E lo faremo a partire dalle premiazioni che si svolgeranno il 28 marzo a Gubbio. Da 12 anni il nostro intento è quello di proporre candidati esemplari per ogni categoria per accendere i riflettori sul mondo che rappresentano. Poi lasciamo ad ognuno di loro la scelta di come porsi in gioco rispetto al pubblico per avere delle preferenze. Ci sono candidati che per riservatezza lasciano che i lettori scoprano da soli la loro presenza in lista ed altri che invece puntano su social, mail, interviste sui mezzi d’informazione, appelli al voto da parte delle loro aziende od agenzie. Da questo punto di vista non ci sono norme vincolanti, se non quella del rispetto fra i candidati (e salvo marginali occasioni questo c’è sempre stato). Il sistema di voto del sondaggio non è un sistema controllato tramite registrazione proprio perché volevamo garantire una votazione libera, priva di impegno e immediata. Oltretutto la vittoria di questo sondaggio comporta solo un premio simbolico. Abbiamo sempre dichiarato che controllavamo gli IP, sistema comunque impegnativo e che richiede tempo (votazioni cioè fluide e non concentrate in poco tempo). È però evidente dal numero dei votanti che negli ultimi anni l’interesse per il nostro sondaggio è cresciuto sempre di più. Se questo ci ha reso molto orgogliosi da una parte, dall’altra abbiamo notato che qualche candidato, preso dalla competitività, ha giocato forse troppo pensando di correre i 100 metri invece che fare una maratona. Qualcuno ha magari esagerato con gli sforzi fatti per avere un consenso e questo ha portato a volte a concentrazioni di voti che i nostri sistemi di sicurezza dei server hanno smaltito con difficoltà, generando delle temporanee sospensioni del voto per i necessari controlli. I candidati erano stati avvertiti di non fare sollecitazioni eccessive in pochi momenti, ma qualcuno si è fatto prendere la mano pensando di poter catalizzare consensi solo in chiusura del sondaggio e ciò ha portato ad un blocco temporaneo generale dei server di controllo a poche ore dalla chiusura. Di questo ci dispiace. In primis per noi, per aver perso la trepidazione che ha sempre coinvolto la nostra redazione (l’anno scorso abbiamo annunciato i vincitori in diretta social), e poi per i lettori. E in secondo luogo per chi, magari un po’ troppo coinvolto, si era organizzato per uno sprint finale che non è nella logica del sondaggio e si è in parte scontrato con l’esigenza di controllare tutti i voti con la dovuta attenzione. Hashtag: #premioiat Per leggere l'a(continued)
Tue, 18 Feb 2020 - 20 - Turismo in difficoltà fra coronavirus e aumenti dell’Iva
Altro che incrementi dell’Iva su ristoranti ed hotel. Il politico che ha solo immaginato una simile ipotesi meriterebbe di essere indicato con tanto di nome e cognome, anche a rischio di consegnarlo ad una gogna mediatica che contestiamo da sempre. Ma come è possibile? Il turismo, senza alcun piano strategico del Governo, è uno dei pochi comparti che nonostante tutto regge e garantisce occupazione. Pesa per il 13% sul Pil (ma potrebbe valere molto di più se solo ci fossero investimenti in formazione del personale e in servizi), e qualche furbo in cerca di notorietà ha pensato di metterci qualche gabella in più. Ma dove siamo finiti? Davvero si può pensare che un’auspicata riforma fiscale possa passare da piccoli rammendi sull’Iva giustificati magari dalla demagogia di fare pagare un po’ più di tasse ad una categoria un tempo indicata fra gli evasori? E il tutto, non dimentichiamolo, con l’assurda teoria che alla fine ad essere colpiti sarebbero i turisti stranieri, per i quali pagare qualche euro in più non sarebbe la fine del mondo. Quasi che gli italiani non vadano al bar, al ristorante o non dormano in hotel. Una follia. Davvero un’autentica fesseria che il ministero dell’Economia si è affrettato a smentire, ma il danno ormai era fatto. Senza se e senza ma, va detto che questa è una grande idiozia che rivela ancora una volta l’ignoranza di troppi politici rispetto alla realtà di aziende che da tempo vivono situazioni di difficoltà per il disinteresse delle istituzioni, quando non devono difendersi da provvedimenti che invece di aiutarle le penalizzano. Pensiamo alla cancellazione dei voucher che tanti problemi ha causato nella gestione dei picchi di lavoro, settimanali o stagionali. I pubblici esercizi stanno passando fra l’altro un periodo assai delicato. L’anno scorso la crescita si è di fatto arrestata, o quasi, e le prospettive per quest’anno sono messe quotidianamente a dura prova da più fattori, dal clima fino all’allarme per il coronavirus, che ha già azzerato il turismo cinese e che sta condizionando i comportamenti anche di tanti nostri connazionali in patria. Invece di pensare a qualche balzello in più su bar o alberghi, il Governo dovrebbe preoccuparsi di come evitare che il nostro turismo possa avere contraccolpi negativi dalla chiusura delle frontiere verso tutti coloro che hanno occhi a mandorla. C’è certo una situazione di emergenza per l’epidemia del coronavirus ma dobbiamo ricordarci che l’Italia è la prima meta turistica per i cinesi. Va bene avere le giuste precauzioni, ma alimentare ogni giorno un clima di diffidenza e paura verso persone di origine cinese è quanto di peggio potremmo fare. Anche perché il coronavirus prima o poi passerà, ma la Cina resta.
Mon, 10 Feb 2020 - 19 - Addio ai Beatles e allo Stilton, non prendiamocela col whisky
Chi è cresciuto col mito dei Beatles o ha studiato all’ombra del Big Ben ha provato rammarico, ma anche un po’ di rabbia. Della Regina Elisabetta e della sua imbarazzante famiglia poco ci importa, ma che gli inglesi siano fuori dall’Unione europea è come se si fosse tornati indietro di decenni, a quando la Manica era un confine e zona di guerra. Gli effetti li avremo solo dal prossimo anno, ma ora che Londra si è politicamente ritirata dal continente, illudendosi forse di rinverdire l’asfittico mito del Commonwealth colonialista o godere di chissà quale buon trattamento dagli Stati Uniti, c’è solo da sperare che, dopo lo status quo per (almeno) 11 mesi, si trovi un accordo sul commercio e sul resto. Si spera, nell’interesse di tutti, che si trovi un accordo sul libero scambio con la Gran Bretagna come eccezione rispetto agli altri Paesi terzi. Ma intanto l’Unione è scesa di 66 milioni di cittadini (i sudditi di Sua Maestà britannica) e ha perso per la prima volta anche un po’ di geografia. E se da gennaio 2021 serviranno il passaporto e il visto (elettronico) per andare a Londra, poco male: magari molti europei sceglieranno altri hub per i voli internazionali. Non che l’Europa perda poi molto se l’irrequieto primo ministro Boris Johnson non parteciperà ai Consigli europei e il suo Paese non avrà più voce in capitolo nelle decisioni a cui gli inglesi dovranno comunque adattarsi se vorranno vendere qualcosa in Europa. Anzi, per molti versi, tolta di mezzo l’ambigua figura di frenatori dei premier britannici, l’Ue potrebbe ritrovare un po’ più di sintonia e unità. Infastidisce semmai che al momento l’inglese debba restare con il francese e il tedesco la lingua base di tutti i documenti. Ma parliamoci chiaro: un Paese che in strada viaggia a sinistra e che ha unità di misure in pollici o miglia non ha mai voluto integrarsi col resto dell’Europa. E ora forse è tempo che gli europei si scrollino di dosso un po’ di polvere di quelle brughiere, allontanino la nebbia e lascino andare Albione per la sua strada. Se ci saranno dei dazi cresceranno i costi per l’export di auto, trasporti, tessile e arredamento, oltre all’agroalimentare. Noi italiani sul piano industriale potremmo avere riflessi negativi soprattutto per un calo delle esportazioni tedesche, di cui siamo subfornitori. Il vero danno potrebbe essere sui prodotti alimentari, che il biondo Boris non ama particolarmente. C’è già chi propone di boicottare il whisky, ma danneggeremmo solo gli scozzesi che in Europa ci volevano restare e che proprio per questo potrebbero fare saltare l’unità del Regno di Elisabetta II. Magari si potrebbe colpire lo Stilton, ma non è che di quel formaggio erborinato se ne mangi molto da noi con le ottime alternative che abbiamo. In verità sarebbe meglio evitare guerre commerciali ed evitare che i turisti inglesi scelgano altre destinazioni.
Mon, 03 Feb 2020 - 18 - Economia e relazioni sociali compromesse dal coronavirus
Il coronavirus che sta preoccupando il mondo è una realtà che per settimane, o forse mesi, sarà sotto l’attenzione di tutti. Non abbiamo titoli per parlare dello stato di pericolosità o meno di questa epidemia, né delle possibilità di contagio. Come tutti non possiamo non essere allarmati dalla quarantena imposta ad una regione della Cina che potrebbe contenere quasi tutti gli italiani. Uno scenario quasi da fantascienza per il quale ci rimettiamo però agli esperti. Possiamo solo tentare di fare qualche valutazione sulle più immediate conseguenze di questa situazione che rischia di aggravare i già difficili equilibri economici nel mondo. Un dato per tutti. Ci sono importatori italiani che sapendo che le merci cinesi possono impiegare anche settimane o mesi per arrivare da noi, si chiedono ora se magari al momento dello sdoganamento potrebbero essere bloccate, causando la perdita del bene. Molti potrebbero rinviare gli ordini, e questo, a cascata, porterebbe ad una crisi internazionale. E tutto perché c’è la remota possibilità che un virus di cui al momento si sa poco potrebbe anche sopravvivere fuori da organismi viventi, almeno per qualche periodo. Una remota possibilità, che potrebbe diventare invece concreta quando a viaggiare sono le persone. Tanto che non a caso il governo di Pechino ha bloccato i movimenti interni e all’estero, nonostante i milioni di viaggi già programmati per il Capodanno cinese. Meno cinesi escono dai confini nazionali, più facilmente si potrebbe contenere e controllare in fretta il contagio. Speriamo. Con però tutte le conseguenze del caso, a partire dagli effetti negativi a cascata per chi si occupa ad esempio di ospitalità d’affari o di turismo. Da qui la preoccupazione espressa da Confindustria Alberghi che già segnala cancellazioni di prenotazioni da migliaia di cinesi che a causa dall’epidemia del coronavirus sono costretti a casa. Solo la settimana scorsa delegazioni italiane e cinesi di operatori del settore e istituzioni si erano incontrate a Roma per annunciare grandi aspettative per il 2020 quale anno della cultura e del turismo. In quell’occasione era stato annunciato un fitto calendario di iniziative, manifestazioni e attività di promozione volte a stimolare e potenziare lo scambio turistico tra i due Paesi. E in questo senso va osservato che per l’Italia il mercato cinese è tra i più importanti per dimensione e capacità di spesa, mentre la paura legata alla propagazione del virus rischia di generare una serie di ripercussioni economiche su tutto l’indotto. Il Belpaese è tra le mete preferite dai turisti del Dragone, tanto che l’anno scorso le presenze erano aumentate del 16% e in tutta Italia dalla Cina avevamo prenotazioni almeno fino a Carnevale, mentre le previsioni su base annua erano di aumenti, a seconda delle zone, fra il 20 e il 50%. Ora tutto questo rischia di saltare nel breve periodo. Ma c’è forse un pericolo ancora più grave che traspare in qualche assurda preoccupazione della gente. Sarà per il clima un po’ troppo teso e sospettoso creatosi in Italia nei confronti dei “diversi”, ma fa impressione la telefonata ad una radio di una mamma che si dice preoccupata perché la figlia aveva per compagna di banco una bambina italiana di origini cinesi. Se dovesse passare un clima da caccia agli untori, oltre a giocarci la dignità e la civiltà metteremmo in discussione il futuro dei rapporti con un grande Paese che ci mette al primo posto come destinazione estera. Non dimentichiamolo. Il coronavirus prima o poi verrà sconfitto, ma la Cina resterà.
Tue, 28 Jan 2020 - 17 - Gli autogol della Guida Michelin su cucina francese e Bocuse d’or
Sa di tattica da calcio piazzato la querelle sulla perdita di una stella Michelin del locale che fu di Paul Bocuse, il padre fondatore della moderna cucina francese (e internazionale), ma rischia di essere un doppio autogol. Il mix fra diritto di critica, responsabilità, ricerca di pubblicità ad effetto e non ultimo la ricerca di una nuova verginità fuori dalla Francia dopo l’alleanza con TripAdvisor, hanno portato ad una strategia che potrebbe essere deleteria per la guida “Rossa” e per la grandeur dei cuochi francesi, vissuti per decenni sotto il prestigio della toque di Bocuse e la promozione nazionalistica del colosso dei pneumatici. Una cosa è certa e la vogliamo chiarire subito: la Michelin ha il diritto di giudicare chi vuole e come vuole. Lo abbiamo sempre detto e lo sosterremo fino alla fine. Ciò non significa però che sia eticamente corretto quello che fa. Anzi. Più è alta la sua rivendicazione di una libertà di recensione, più questa dovrebbe essere esercitata con senso di responsabilità verso i consumatori e i ristoranti giudicati, che sono aziende con dipendenti ed impegni economici. Ma la Rossa oggi fa l’esatto opposto. Forte di una posizione quasi monopolistica a livello internazionale, la Guida ha innescato meccanismi assai pericolosi che stressano gli equilibri di cuochi e aziende, condizionandone obiettivi, tecniche e gusto. E quando ritiene che il vento sia mutato, non si dà cura di scaricare nella polvere chi fino a ieri era invece sugli altari. Quasi che nella costola editoriale del produttore di pneumatici risiedesse tutta la saggezza, la conoscenza e la professionalità del settore... Il caso del ristorante lionese di Paul Bocuse, una sorta di tempio laico della cucina francese, ne è un esempio. Finché il mito del fondatore serviva alle strategie della Guida, andava celebrato. Morto Paul e alle prese con una perdita di credibilità generale, la Michelin ha orchestrato un colpo mediatico fin troppo banale per riprendere terreno rispetto alla concorrenza, a cominciare da quella del web. È un po’ come aver tagliato la testa di Luigi XVI, o meglio quella di Robespierre. Ormai persa anche la regola della riservatezza che impediva notizie sui contenuti della Guida fino alla presentazione, il nuovo corso è la ricerca di colpi di teatro per cercare di recuperare credibilità in un mondo dove tutti si sentono critici. TripAdvisor insegna. Togliere stelle a personaggi importanti serve a fare finta di dimostrarsi moderni e democratici... In realtà è un po’ come essere un imperatore romano nell’arena che grazia o meno un gladiatore. È una sorta di delirio di onnipotenza. Che qui però si scontra con la realtà che la Cucina di Paul Bocuse va oltre la critica quotidiana, è patrimonio culturale dell’umanità e non è nel tempo breve che si può pensare di archiviarla solo per fare notizia... Nel suo piccolo è la stessa porcheria fatta con Gianfranco Vissani che, caratteraccio a parte, è un pilastro e un maestro della Cucina italiana che la Michelin ha colpito solo per far parlare di sé. La vicenda in sé potrebbe finire qui, ma in realtà si aprono molti scenari. Il primo è che se Bocuse non è più il re o l’eroe, il mito della cucina francese (burro, panna e vino) potrebbe scricchiolare. Se la cucina del Maestro non è più degna di essere glorificata, molti dei suoi discepoli pluristellati potrebbero essere messi in discussione. Per non parlare di una seconda conseguenza, che riguarda uno dei meccanismi internazionali costruiti nel nome del grande cuoco per celebrare proprio le tecniche francesi: il Bocuse d’or. Che credibilità possono avere ora le regole del concorso internazionale di cucina più importante e ambito al mondo? Che senso ha gareggiare con le regole di una Fondazione che si basa su un’eredità che la “Bibbia” rossa non riconosce più come valida? Un quesito che giriamo a chi in Italia si ostina a vedere in quel concorso un’occasione importante, salvo poi farsi male edizione dopo edizione. Ma quest(continued)
Mon, 20 Jan 2020 - 16 - Bambini maleducati al ristorante, troppe polemiche sul nullaMon, 13 Jan 2020
- 15 - Il turismo può e deve crescere, non solo a Firenze, Roma o VeneziaWed, 08 Jan 2020
- 14 - Troppi imbrogli e troppi morti. Rispettiamo le regoleWed, 08 Jan 2020
- 13 - Dazi Usa, il Parmigiano Reggiano si allea per vendere di più e meglioSun, 29 Dec 2019
- 12 - Col Sondaggio di Italia a Tavola in risalto accoglienza e turismoSun, 29 Dec 2019
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- 8 - Via della seta e Dop italiane, la politica aiuta l’agroalimentareSun, 29 Dec 2019
- 7 - Plastica ed evasione fiscale Il Governo partorisce un topolinoTue, 29 Oct 2019
- 6 - Forme rilancia i formaggi Un’opportunità per il turismoThu, 24 Oct 2019
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