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- 72 - 25 aprile, la festa più insensata e ridicola
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25 APRILE, LA FESTA PIU' INSENSATA E RIDICOLA di Massimo Viglione
È fin troppo facile far notare che il 25 aprile è la festa più insensata e ridicola che sia mai esistita nella storia, visto che di fatto si festeggia una sconfitta miliare di un popolo distrutto e caduto nella guerra civile e nell'odio ideologizzato. E che è ancora più insensata perché si continua a festeggiarla dopo settant'anni! Una tipica follia democratica.
Naturalmente diciamo questo non certo per nostalgismo pro sconfitti, né perché riteniamo che qualora la guerra fosse stata vinta dal nazional-socialismo noi italiani ce la saremmo passata meglio. Forse nei primissimi anni della vittoria; ma, personalmente ritengo che, specie alla lunga – e questo al di là delle follie razziste dell'hitlerismo – sempre servi saremmo stati, e sempre del Paese che oggi domina l'Europa non con le armi e la Gestapo ma con la finanza e le banche.
Occorre riflettere bene ormai, dopo settant'anni, sul perché di questa stupida festa nazionale. Se essa è stata inventata e continua ad essere imposta ogni anno, nonostante ormai da lungo tempo molti intellettuali – spesso ex-marxisti – stiano oggettivamente invitando all'eliminazione di questo solco di sangue che ancora bagna l'identità italiana – è perché essa è il marchio stesso della Repubblica Italiana. Ne è il sigillo nazionale. Un sigillo troppo pesante perché possa essere tolto e possa divenire pubblico ciò che nasconde.
Per decenni si è taciuto sulle stragi comuniste dei titini in Istria e sulle stragi comuniste dei partigiani in Emilia Romagna e altrove. Per decenni il 25 aprile serviva a occultare nella festa "di tutti" (come Pertini, il presidente di tutti, ricordate?) il sangue innocente (donne, vecchi, seminaristi, sacerdoti, uomini che si erano arresi, ecc.) offerto in tributo all'altare del sol dell'avvenire che sembrava stesse per sorgere in quei tragici giorni.
Soprattutto doveva però nascondere anche l'idea stessa che in Italia vi fosse stata una guerra civile. Tutti noi che siamo stati studenti nella Prima Repubblica, sappiamo bene che la guerra civile fra partigiani e fascisti non è mai esistita: è esistita invece la guerra di "liberazione" – termine che dimenticava, come se nulla fosse, il fatto che se dietro i fascisti vi era un invasore, dietro i partigiani ve ne erano due (o di più, forse). "Liberazione": ecco la parola magica inventata, mentre Mussolini pendeva a Piazzale Loreto e il sangue scorreva a litri nel triangolo rosso della morte e in Istria, per occultare sia la sconfitta militare che l'idea stessa di una guerra civile. Al punto tale che – e il cinema ha lavorato molto in tal senso – il "fascista" non era più neanche italiano, ma era il male in sé, inevitabilmente cattivo perché antitesi dell'inevitabilmente buono, ovvero dell'italiano partigiano.
Ma perché occorreva – e occorre ancora dopo settant'anni – nascondere la sconfitta e la guerra civile? Su questo nodo focale ormai la letteratura è vasta (Galli della Loggia, Emilio Gentile, Paolo Mieli, Marcello Veneziani, solo per citare alcuni fra gli autori più noti): la ragione vera risiede nella storia precedente, vale a dire nel Risorgimento italiano.
Il processo di unificazione nazionale è stato – al di là del mero risultato territoriale amministrativo – un assoluto fallimento. L'"italietta" nata dal blitz di Cavour e Garibaldi era più "espressione geografica" dell'Italia dei giorni di Metternich. Niente univa il siciliano e il piemontese, il salentino e il lombardo, il fiorentino e il calabrese. Economicamente era un disastro, più o meno come oggi. Moralmente screditati e corrotti. Militarmente ridicoli e incapaci (nemmeno gli africani ci rispettavano). Per non parlare della questione meridionale, della mafia, della...Thu, 01 May 2014 - 71 - Marta Sordi, addio alla grande storica
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MARTA SORDI, ADDIO ALLA GRANDE STORICA di Alfredo Valvo
Marta Sordi lascia un vuoto incolmabile nel campo degli studi di storia antica, che ha dominato per decenni, e fra gli amici – allievi e colleghi – che l'hanno conosciuta e stimata. Nata a Livorno nel 1925 e laureatasi in Lettere all'Università degli studi di Milano con Alfredo Passerini, Marta Sordi intraprese subito dopo la laurea la sua attività di ricerca. Presso l'Istituto italiano per la Storia antica, a Roma, per un quinquennio fu allieva di Silvio Accame, maestro e amico. Dal 1962 all'Università di Messina Marta Sordi formò una prima Scuola, attiva ancor oggi.
Alcuni anni più tardi, nel 1967, passò a Bologna, dove ha lasciato una traccia incancellabile, e infine approdò due anni dopo all'Università Cattolica di Milano, dove insegnò Storia greca e Storia romana fino alla fine della sua lunga carriera accademica, nel 2001. Il numero delle sue pubblicazioni è difficilmente calcolabile. Non vi è problema aperto nel campo degli studi di storia antica nel quale Marta Sordi non sia autorevolmente intervenuta lasciando comunque, sempre, un'impronta di originalità e fornendo risposte almeno degne di considerazione, il più delle volte risolutive. Dominava senza difficoltà tutta la storia antica – il mondo etrusco, greco e romano, il cristianesimo dei primi secoli – sostenuta da una intelligenza vivacissima, una memoria prodigiosa e una capacità di cogliere sempre il nocciolo delle questioni.
Tra le sue opere si ricordano La Lega tessala fino ad Alessandro Magno (1958), I rapporti romano-ceriti e l'origine della civitas sine suffragio (1960), Il cristianesimo e Roma (1965), Roma e i Sanniti nel IV secolo a.C. (1969), Il mito troiano e l'eredità etrusca di Roma (1989), ; La 'dynasteia' in Occidente: studi su Dionigi I (1992), Prospettive di storia etrusca (1995), I cristiani e l'Impero romano (2004). Nel 2002 sono usciti due volumi che raccolgono i suoi scritti minori: Scritti di Storia greca e Scritti di Storia romana, ai quali sono da aggiungere Impero romano e cristianesimo. Scritti scelti (2006), e Sant'Ambrogio e la tradizione di Roma (Roma 2008). Ma molti altri sono i contributi pubblicati successivamente. Resta indicativa della sua originalità e della sua personalità una delle sue principali caratteristiche nell'affronto di ogni problema storico, che è stata anche una lezione per le generazioni di studenti che l'hanno avuta per maestra: l'interpretazione delle fonti, siano esse letterarie epigrafiche o di qualsiasi altra natura, non può essere condizionata da pregiudizi, di qualsiasi genere. La conoscenza vastissima, per non dire totale, dei documenti utili per la ricostruzione storica e una capacità di sintesi talvolta prossima alla divinazione, oltre naturalmente all'intelligenza storica, consentivano alla Sordi di dominare il campo del dibattito con assoluta libertà, cioè in piena indipendenza dalle tante opinioni, apparentemente consolidate, che costituiscono la communis opinio. (...)
Curò e diresse la collana dei «Contributi dell'Istituto di storia antica», uscita con cadenza annuale dal 1972 in poi presso Vita e pensiero; negli ultimi dieci anni aveva coordinato con energia e rigore i convegni annuali della fondazione Canussio di Cividale del Friuli, della quale ha presieduto il comitato scientifico. Marta Sordi ricevette prestigiosi riconoscimenti della sua attività, tra i quali la Medaille de la Ville de Paris, nel 1997, la Medaglia d'oro per i Benemeriti della cultura, nel 1999, e la Rosa Camuna per la Regione Lombardia, nel 2002. L'entità e l'importanza dell'opera scientifica di Marta Sordi si commentano da sole.
Chi ne ha condiviso un lungo tratto della vita ha ricevuto da lei una lezione di fermezza e di coraggio, di ideali e principi affermati...Wed, 10 Apr 2024 - 70 - La Pasqua delle tre enclicliche di PIo XI contro nazismo, comunismo e massoneria
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LA PASQUA DELLE TRE ENCICLICHE DI PIO XI CONTRO NAZISMO, COMUNISMO E MASSONERIA di Roberto de Mattei
Il titolo "La Pasqua delle tre encicliche" vuole ricordare tre importanti documenti emanati da papa Pio XI a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro nel marzo del 1937. Tre Encicliche che si rivolgevano a tutti i cattolici del mondo e che mantengono ancora oggi la loro attualità.
Pio XI, ottantenne e convalescente dopo una lunga malattia che lo aveva immobilizzato per mesi, affrontava tre gravi sfide poste alla Chiesa dalle ideologie anticristiane del suo tempo: il neopaganesimo della Germania hitleriana, con la Mit brennender Sorge;il comunismo della Russia sovietica, con la Divini Redemptoris; l'anticristianesimo del Messico laicista e massonico, con la Firmissimam constantiam. L'uscita di queste tre encicliche nel giro di due settimane fu un fatto unico nella storia della Chiesa.
IL NEOPAGANESIMO DELLA GERMANIA HITLERIANA
La prima enciclica, la Mit brennender Sorge, era datata la Domenica di Passione il 14 marzo 1937. Pio XI affermava: «Se è vero che la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell'ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; tuttavia chi li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi e, divinizzandoli con culto idolatrico, perverte e falsifica l'ordine, da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme. (...) Sulla fede in Dio genuina e pura si fonda la moralità del genere umano. Tutti i tentativi di staccare la dottrina dell'ordine morale dalla base granitica della fede, per ricostruirla sulla sabbia mobile di norme umane, portano, tosto o tardi, individui e nazioni al decadimento morale. Lo stolto, che dice nel suo cuore: "non c'è Dio", si avvierà alla corruzione morale. E questi stolti, che presumono di separare la morale dalla religione, sono oggi divenuti legione».
IL COMUNISMO DELLA RUSSIA SOVIETICA
La seconda enciclica, la Divini Redemptoris, fu pubblicata il 19 marzo 1937, festa di S. Giuseppe, patrono della Chiesa e dei lavoratori cristiani. Denunciando il comunismo mondiale e ateo che dalla Russia si diffondeva nel mondo, Pio XI diceva: «Per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta, e accuratamente preparata dell'uomo contro "tutto ciò che è divino" (...) Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per primi come vittime del loro errore, e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l'antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l'odio dei "senza Dio».
Pio XI lanciava un «appello a quanti credono in Dio»: «Ma a questa lotta impegnata dal «potere delle tenebre» contro l'idea stessa della Divinità, Ci è caro sperare che, oltre tutti quelli che si gloriano del nome di Cristo, si oppongano pure validamente quanti (e sono la stragrande maggioranza dell'umanità) credono ancora in Dio e lo adorano. Rinnoviamo quindi l'appello che già lanciammo cinque anni or sono nella Nostra Enciclica Caritate in Christi affinché essi pure lealmente e cordialmente concorrano da parte loro "per allontanare dall'umanità il grande pericolo che minaccia tutti". Poiché - come allora dicevamo, - siccome "il credere in Dio è il fondamento incrollabile...Tue, 09 Apr 2024 - 68 - La sedia gestatoria dei papi? Sfatiamo un mito
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LA SEDIA GESTATORIA DEI PAPI? SFATIAMO UN MITO di Vittorio Messori
Ha scritto Vittorio Feltri in un articolo su Il Giornale di settembre, a proposito di papa Francesco e del suo rapporto con l'antica tradizione della Chiesa: "Che dire della sedia gestatoria, in voga sino a qualche anno fa? Il Capo della cristianità si faceva portare in giro su un cadreghino con le stanghe, rette da poveracci, sostituti di cavalli o asini." Feltri ribadisce all'inizio dell'articolo di non essere credente, meno che mai cattolico, e, dunque, di sapere ben poco di "cose di Chiesa". Ci permettiamo allora - ad uso suo e dei lettori - di chiarire come, storicamente, stiano le cose. Il tema è solo apparentemente secondario, visto che sin dal Settecento è un luogo comune della polemica anticlericale (vi accenna persino Voltaire) come esempio della violenza sull'uomo da parte di coloro che osano dirsi rappresentanti del Cristo in terra. L'uso della sedia gestatoria da parte dei papi non era il residuo di crudeltà schiavistiche da faraone egizio o da imperatore del Basso Impero romano. Era, al contrario, un "servizio" prezioso reso ai devoti che si accalcavano alle cerimonie pontificie e si lagnavano di non poter vedere il papa che passava benedicendo. Non a caso l'impiego della sedia era limitato all'interno delle grandi basiliche, a cominciare da San Pietro e dal Laterano, o a liturgie solenni all'aperto che attiravano le folle. Insomma, qualcosa di equivalente ai maxischermi sulle piazze attuali. Non dimentichiamo che colonne di pellegrini giungevano di continuo a Roma dai luoghi più lontani, ut videre Petrum, per vedere Pietro; e grande sarebbe stata la loro delusione se, stretti nella calca, non avessero potuto contemplare il suo volto e la sua mano benedicente. Paolo VI disse all'amico Jean Guitton che stare su quella sedia era "assai incomodo", visti gli ondeggiamenti, ma di sopportare volentieri il disagio per una questione di equità: tutti coloro che lo desideravano - e non solo coloro che godevano di privilegi e di precedenze - potevano vedere il Santo Padre ed essere visti da lui. Anche per questo Giovanni XXIII ne fece grande uso. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI non vollero tornare alla sedia gestatoria (soprattutto per evitare equivoci come quello di cui testimonia ora Vittorio Feltri) ma la pedana mobile di cui si servirono non aveva solo funzioni "ortopediche", ma anche di migliore visibilità da parte dei fedeli. In ogni caso, portare sulle spalle il Santo Padre era un grande onore che si disputavano le grandi famiglie dell'Urbe. Ancora oggi, del resto, c'è viva competizione in antiche e nobili città come Viterbo e Gubbio per far parte del gruppo di eletti che hanno il privilegio di portare ogni anno la pesantissima "macchina di santa Rosa" e i "ceri", essi pure di peso non lieve. Per stare al Vaticano, abbiamo, tra l'altro, l'ordinanza con cui Pio IV, alla metà del Cinquecento, regolamenta il servizio alla sedia, riservandolo soltanto ai "cavalieri romani". Col tempo, l'impiego si fece più professionale e i Sediari Pontifici (questo il nome ufficiale) si unirono ad un'altra categoria ambita ed onorata, quella dei Palafrenieri del papa e dei cardinali, e crearono una confraternita che ebbe l'onore di una chiesa in Vaticano, accanto alla porta di Sant'Anna. Solo una minima parte del lavoro dei Sediari consisteva nel trasporto a spalle del pontefice: come dicevo, si ricorreva a quel seggio elevato solo in certe occasioni. Vestiti di una elegante livrea, con sul petto lo stemma papale ricamato, facevano parte della "Famiglia del Santo Padre" ed erano dunque tra quelli in maggiore intimità con lui. Accudivano e intrattenevano gli ospiti nelle anticamere e uno di loro aveva l'onore di dormire nella camera adiacente a quella papale, alla quale...Fri, 04 Apr 2014 - 66 - Heinrich Himmler: comandante delle SS e della polizia nazista
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HEINRICH HIMMLER: COMANDANTE DELLE SS E DELLA POLIZIA NAZISTA CON IL COMPITO DI REALIZZARE IL PIU' SPAVENTOSO MASSACRO DELLA STORIA di Giulio Meotti
"Sei un ebreo?", chiede Heinrich Himmler a un prigioniero durante una visita nel fronte orientale del 1941. "Sì". "Entrambi i genitori sono ebrei?". "Sì", continua il ragazzo. "Hai antenati che non fossero ebrei?". "No". "Allora non posso aiutarti". Il giovane viene fucilato sotto gli occhi del gerarca nazista. Questo era Heinrich Himmler.
Di Hitler si dice che fosse "magnetico". Di Göring che fosse un valoroso pilota. Di Goebbels che fosse un demagogo straordinario. Di Heydrich che fosse un provetto schermidore, un eccellente pilota e un ottimo musicista. Nessuno è mai riuscito a trovare niente di speciale in Himmler, non un solo momento di carisma e umanità in tutta la sua esistenza.
Fra i grandi capi nazisti è il più efferato e il più anonimo. L'uomo che vanta un curriculum di delitti senza precedenti non mostra segni caratteristici. Basso, flaccido, calvo, grassoccio, occhi acquosi, mento sfuggente, stretta di mano molle, Himmler era uno come tanti, monotono e pedante. Solo che il suo ufficio era il comando delle SS e della polizia nazista, il suo compito realizzare il più spaventoso massacro della storia.
I suoi lineamenti sono talmente banali che nel maggio del 1945 non viene identificato dai sovietici che lo fanno prigioniero e dagli inglesi che lo prendono in custodia. Non si è nemmeno camuffato: a Himmler è bastato togliersi i pince-nez. Senza quelli, non è più lui. Come in una gag, Himmler era i suoi occhiali. Dietro non c'è nulla. Fino a oggi.
"Vado ad Auschwitz. Baci, il tuo Heini", scrive Himmler alla moglie Margaret. E ancora: "Nei prossimi giorni sarò a Lublino, Zamosch, Auschwitz, Lemberg e poi nella nuova sede. Sono curioso di vedere se e come funzionerà il telefono. Saluti e baci! Il tuo Pappi". Pochi giorni dopo parte per un sopralluogo di due giorni ad Auschwitz per vedere con i suoi occhi che cosa accade a un trasporto di ebrei sottoposti all'azione del pesticida Zyklon B. I cadaveri gonfi che si colorano di blu, i forni crematori. Himmler dà il via libera alla distruzione su vasta scala del popolo ebraico.
Queste sono soltanto due delle straordinarie lettere ritrovate in Israele e pubblicate in questi giorni dal quotidiano tedesco Die Welt. Documenti, corrispondenza e fotografie dell'architetto dell'Olocausto. Leggendo queste lettere, vedendo queste immagini, i giornali hanno sottolineato la "normalità" del boia del Terzo Reich, il capo delle SS, del programma eutanasia e dell'annientamento del popolo ebraico.
Le lettere ci rivelano un Himmler attento alle spese personali, che vive senza lussi, a differenza di quasi tutti gli altri gerarchi, specie Göring. Dalle lettere ne esce un Himmler "sobrio esecutore di una visione del mondo", come dice lo storico Michael Wildt. Ai suoi occhi l'omicidio di massa era un passo necessario per compiere la missione del Terzo Reich. "Sarò in un centro di esecuzioni per testare nuovi e interessanti metodi di fucilazione", scrive il gerarca alla moglie. Come commenta lo Spiegel, "Himmler non aveva nulla di banale, era intelligente, possedeva una energia radiante, e una fantasia capace di attuare l'ideologia del nazionalsocialismo in azione".
Le lettere confermano che Himmler non era un mostro, non aveva nulla di demoniaco, né di sadico, non traeva piacere nella sofferenza altrui (si sentì spesso male di fronte alle carneficine). Aveva una missione, invece, e una ideologia ben precisa. Pagana, salutista, eugenetica, ecologista, darwiniana, ultra moderna e iper illuministica.
Queste ultime scoperte ci parlano di un uomo che concepiva se stesso, nelle parole di Joachim Fest, "non come un...Fri, 14 Mar 2014 - 65 - Martin Luther King il lato oscuro del leader nero che aveva un sogno
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MARTIN LUTHER KING: IL ''LATO OSCURO'' DEL LEADER NERO CHE ''AVEVA UN SOGNO'' di Giuseppe Brienza
Martin Luther King, nato "Michael King", ad Atlanta il 15 gennaio 1929, è morto a soli 39 anni a Memphis, il 4 aprile 1968. Politico, attivista e pastore protestante (battista) statunitense, è stato nel 1964 il più giovane Premio Nobel per la pace del mondo.
IL "MITO SVELATO": GARROW ED IL GRUPPO DELLA STANFORD UNIVERSITY
Pochi sanno che, negli anni 1980, i lavori di un gruppo di ricerca istituito alla Stanford University per la pubblicazione dell'Opera omnia di King, sono stati bruscamente interrotti perché l'editore, già pronto da tempo, ha improvvisamente rinunciato alla stampa delle opere annunciate. Dopo i primi giorni di lavoro, infatti, i membri, discepoli e ammiratori fedelissimi del leader nero, si sono detti, testualmente, «increduli, sconvolti, avviliti» da quanto andava profilandosi sotto i loro occhi. Ma cosa era successo?
Ha scritto Vittorio Messori che, i componenti del gruppo di lavoro della Stanford University, hanno «scoperto che buona parte di ciò che King ha lasciato — dai discorsi ai libri era stato copiato da altri autori: spesso, senza citare affatto la fonte; talvolta, limitandosi a una piccola nota che non faceva però sospettare l'imponenza del plagio. David Garrow, vincitore di un Premio Pulitzer per una biografia del pastore dall'impegnativo titolo di Portando la croce, ha dichiarato: "La scoperta è stata per me un forte trauma. Perché l'ha fatto? La cosa è ancor più sconvolgente perché non rientra nell'immagine dell'uomo che ho conosciuto e amato"» (V. Messori, M.L. King, in La sfida della Fede, SugarCo, Milano 2008, p. 488).
IL «MOVIMENTO PER I DIRITTI CIVILI»
Com'è nata la leadership di M. L. King a capo del «Movimento per i diritti civili»? Tutto è partito dal "caso dell'Arkansas", del 1957, che vide l'esclusione, da parte del governatore "sudista", di nove studenti negri dall'High School di Little Rock per evitare incidenti coi circa 2000 studenti bianchi iscritti. Il politico a capo della comunità fra le più conservatrici degli Stati Uniti ricorse alla Guardia nazionale, da lui dipendente, per impedire l'accesso alla scuola da parte dei negri.
Il Presidente Eisenhower non poteva certo permettere che gli ordini del governo federale fossero disattesi da un governo "locale" e, pertanto, inviò un reparto dell'Esercito americano per scortare da casa a scuola gli studenti neri con soldati in pieno assetto di combattimento. Tale imposizione provocò incidenti che portarono appunto Martin Luther King a mettersi a capo di un "Movimento per i diritti civili" che, in primo luogo, avrebbe dovuto tutelare gli "American Negroes".
King, alla maniera di Gandhi, scelse fin da subito di ricorrere a metodi di lotta non violenti come il boicottaggio di autobus, la convocazione di "marce per la pace" di soli negri, sit-in davanti ai ristoranti e ai locali riservati ai bianchi etc. Alla fine del 1957 il Congresso americano si vide quindi costretto ad approvare una legge sui diritti civili che dichiarava illegale la discriminazione dei negri nelle liste elettorali.
MLK fu ucciso da un colpo di fucile di precisione sparatogli alla testa il 4 aprile 1968 mentre stava sul balcone di un Motel a Memphis, Tennessee. Anche nella morte violenta il pensiero politicamente corretto lo accomuna a Malcolm Little (1925-1965), detto Malcolm X, assassinato a New York durante una conferenza.
Quest'ultimo, lungi dall'essere l'eroe che spesso ci si presenta, fu dapprima un delinquente, poi un fondamentalista islamico. In prigione dal 1946 al 1952 per furto, Little studiando da autodidatta fu attratto dai Black Muslims, movimento fondato da Elijha Muhammad, di cui divenne leader per 12 anni,...Fri, 28 Feb 2014 - 64 - Concordato del 1984: quarant'anni di scristianizzazione
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CONCORDATO DEL 1984: QUARANT'ANNI DI SCRISTIANIZZAZIONE di Roberto De Mattei
Quarant'anni fa, il 18 febbraio 1984, il presidente del Consiglio Bettino Craxi ed il cardinale
Segretario di Stato Agostino Casaroli firmarono solennemente a Villa Madama, il Nuovo Concordato tra la Santa Sede lo Stato italiano, che rivedeva profondamente i Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929.
I Patti Lateranensi del 1929, avevano sancito un nuovo rapporto di collaborazione tra Chiesa e Stato in Italia, la cosiddetta "Conciliazione", dopo il lungo dissidio seguito all'occupazione militare dello Stato pontificio e alla presa di Roma del 20 settembre 1870. Essi avevano il loro principio fondamentale nel riconoscimento della Religione cattolica, apostolica e romana, come la sola Religione dello Stato. Da questo principio scaturivano alcune importanti conseguenze, come l'insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole, il riconoscimento giuridico del matrimonio sacramentale, la proclamazione del carattere sacro della città di Roma.
La Costituzione repubblicana del 1948, pur essendo animata da un profondo spirito laicista, nel suo articolo 7, recepì i Patti Lateranensi come fondamento dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia. La novità del "Nuovo Concordato", firmato nel 1984, come spiegò lo stesso Presidente del Consiglio Craxi, consisteva invece nel realizzare la «moderna separazione» tra Stato e Chiesa, affermando il principio della "neutralità" dello Stato in materia di religione. Lo stesso cardinale Casaroli precisò che il «fulcro» del Nuovo Concordato era costituito dall'abolizione del "principio originariamente richiamato dai Patti Lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato». La segreteria di Stato vaticana e la Conferenza episcopale italiana, esprimevano pubblicamente il loro plauso per il nuovo traguardo raggiunto.
IL CENTRO CULTURALE LEPANTO
L'11 febbraio 1984, una settimana prima della firma del Nuovo Concordato, il Centro Culturale Lepanto, che avevo l'onore di presiedere, pubblicò, come inserto pubblicitario, su alcuni quotidiani nazionali un «manifesto» intitolato «Può un cattolico preferire lo Stato ateo?». Scrivevamo tra l'altro: "Non meraviglia che le forze rivoluzionarie e anticristiane, che professano l'ateismo e l'egualitarismo radicale, esprimano la loro sostanziale soddisfazione verso un progetto concordatario in cui vedono affermato il principio dell'uguaglianza delle religioni, e quindi un implicito ateismo di Stato, destinato ad avere enormi conseguenze in seno alla società civile. Ciò che invece è strabiliante è che la stessa intima soddisfazione per questo Concordato venga espressa pubblicamente dai vertici del mondo cattolico, sia laici che ecclesiastici, tanto da considerarlo molto migliore dell'antico e quindi a questo nettamente preferibile. Il Centro Culturale Lepanto - associazione civico-culturale che si ispira all'immutabile dottrina della Chiesa - rivolge a queste autorità del mondo cattolico italiano una domanda, rispettosa ma pressante: Può un cattolico preferire uno Stato "neutrale" in materia di religione, e quindi implicitamente ateo, ad uno Stato ufficialmente cattolico? Questa preferenza non contraddice la dottrina cattolica e lo stesso buon senso? Negli ultimi due secoli, il Magistero della Chiesa, soprattutto per bocca dei Sommi Pontefici, ha sempre condannato il principio anticristiano del laicismo e della neutralità religiosa, affermando per contro il dovere dello Stato di riconoscere pubblicamente e di sostenere efficacemente la vera Religione. Tra le innumerevoli citazioni, ci limitiamo a riportare questa di san Pio X: «È una tesi assolutamente falsa, un errore pericolosissimo, pensare che bisogna separare lo Stato dalla Chiesa. Questa posizione si basa...Tue, 20 Feb 2024 - 63 - Muore Vittorio Emanuele di Savoia, escluso dalla successione per il suo matrimonio
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7702
MUORE VITTORIO EMANUELE DI SAVOIA, ESCLUSO DALLA SUCCESSIONE PER IL SUO MATRIMONIO di Stefano Chiappalone
Con la morte di Vittorio Emanuele di Savoia [...] torna sotto i riflettori il casato che ha cinto la corona d'Italia dal 1861 al 1946, ma - insieme alle non poche controversie che lo hanno coinvolto in vita - anche l'annosa questione di chi sia il “vero” capo di casa Savoia, dopo la morte di Umberto II, l'ultimo re d'Italia deceduto in esilio nel 1983. In sintesi: prosegue il ramo Savoia-Carignano, con Vittorio Emanuele e ora suo figlio Emanuele Filiberto? Oppure, come altri sostengono, sarebbero subentrati i cugini del ramo Savoia-Aosta, con Amedeo (morto nel 2021) e ora suo figlio Aimone? E perché? La questione è apparentemente “di nicchia”, ma tutt'altro che priva di interesse, essendo legata alla storia del nostro Paese e - perché no? - a un ipotetico futuro sovrano, in caso di improbabile ma non impossibile ritorno della monarchia, cui si intreccia anche una profezia attribuita a san Pio da Pietrelcina.
Il “nocciolo” della disputa risale al 1970 per via del matrimonio tra Vittorio Emanuele e Marina Ricolfi Doria: non essendo la sposa di famiglia reale, in mancanza di assenso di Umberto II, lo sposo sarebbe stato escluso dalla successione. Assenso necessario secondo le norme di casa Savoia per ogni matrimonio (diseguale o meno), ma se «contratto con persona di condizione e stato inferiore (...), tanto i contraenti, che i discendenti da tale matrimonio, si intenderanno senz'altro decaduti dal possesso dei beni e dei diritti provenienti dalla Corona e dalla ragione di succedere nei medesimi». Salvo «qualche singolare circostanza» che spingesse il sovrano a dare il beneplacito, come stabilito nel 1780 dalle Regie Patenti di Vittorio Amedeo III, re di Sardegna.
LA SOLENNE AMMONIZIONE
Norme che Umberto II, non più re ma pur sempre capo di casa Savoia, ribadiva in una lettera del 25 gennaio 1960 al figlio, all'epoca fidanzato con l'attrice Dominique Claudel, «in modo che tu sappia con esattezza in quale situazione verresti a trovarti», richiamandosi «alla legge della nostra Casa, vigente da ben 29 generazioni e rispettata dai 43 Capi Famiglia, miei predecessori, succedutisi secondo la legge Salica attraverso matrimoni contratti con famiglie di Sovrani. Tale legge, io 44mo Capo Famiglia, non intendo e non ho diritto di mutare, nonostante l'affetto per te». Umberto era netto sulle conseguenze: «la tua decadenza da qualsiasi diritto di successione come Capo della Casa di Savoia e di pretensione al trono d'Italia, perdendo i tuoi titoli e il tuo rango e riducendoti alla situazione di privato cittadino. Perciò tutti i diritti passerebbero immediatamente a mio nipote Amedeo, Duca d'Aosta». Vittorio Emanuele il 25 aprile 1960 riconosceva «la situazione nella quale verrei a trovarmi se decidessi di rinunciare alle mie prerogative e mi sposassi con una donna - qualunque essa fosse - non di sangue reale» e la relativa situazione anche «sotto l'aspetto strettamente dinastico».
L'ammonimento si ripeté il 18 luglio 1963, quando l'ex sovrano riprese carta e penna dopo aver letto un'intervista al figlio circa le possibili nozze (poi di fatto avvenute) con Marina Doria, vedendosi costretto a «ripeterti, parola per parola, quanto ebbi a scriverti il 23 [sic] gennaio 1960, in una simile circostanza». «L'intervista non rispecchia il mio pensiero», rispose Vittorio Emanuele il 25 agosto in calce alla lettera paterna. Fatto sta che qualche anno dopo quel matrimonio che “non s'aveva da fare” si fece nel 1970 a Las Vegas, con rito civile, all'insaputa del padre. Quello religioso seguì l'anno dopo a Teheran.
LA PROFEZIA DI PADRE PIO
A dirimere la questione nel frattempo insorta fra i due rami fu chiamata nel 2001 la Consulta...Tue, 20 Feb 2024 - 61 - La festa (dimenticata) della libertà dai totalitarismi
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LA FESTA (DIMENTICATA) DELLA LIBERTA' DAI TOTALITARISMI di Valter Lazzari
La legge sul 9 novembre è una delle più brevi del nostro ordinamento, un solo articolo. «Legge 15 aprile 2005, n. 61 Istituzione del "Giorno della libertà". 1° comma. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre "Giorno della libertà", quale ricorrenza dell'abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo. 2° comma. In occasione del "Giorno della libertà", di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti». Stop, finita. Breve ma da conoscere e far conoscere.
Lo scorso anno è balzata alle cronache non già per essere stata onorata, ma per le proteste da parte di presidi, insegnanti, sindacati della Scuola, verso il ministro dell'Istruzione per il solo fatto che, essendo tale legge disattesa, egli esortava ad applicarla. Laddove invece si va diffondendo la pratica di celebrare a scuola una "giornata contro l'omo-bi-trans-eccetera-fobia" nonostante nessuna disposizione la prescriva. Eppure molto sarebbe il materiale, generalmente ignorato, che almeno in questo giorno si potrebbe portare alla discussione.
IL TRENTENNALE DEL 1989
Ricordiamo, quattro anni fa, come è stato celebrato il trentennale del 1989? Liquidato con qualche articolo il solo giorno del 9 novembre, mentre sarebbe stato notiziabile e commercialmente allettante scandire mese per mese tutto il 2019. Una Rai che, per esempio, aveva poco prima minuziosamente ripercorso e vivisezionato la Grande guerra (occasione per blandire pacifisti e nostalgici della rivoluzione d'ottobre), il 1989 lo ha trattato poco e male. Chiediamoci, è casuale questo obnubilamento del 9 novembre e dell'89? È una svista? O non è ancora una volta la manipolazione ideologica della Storia e della storiografia, l'annoso discorso dell'occupazione gramsciana di tutte le casematte culturali (università, editoria, letteratura (e premi letterari!), cinema, teatro, arti figurative, etc. etc.
Il totalitarismo, ci ricorda Hannah Arendt nel suo celebre saggio, non pretende solo la subordinazione politica degli individui, ma invade e controlla anche la loro sfera privata. Questa, una delle principali differenze coi regimi autoritari. Da noi nel ventennio non succedeva che, col pretesto di insegnare norme igieniche, gruppi di "volontari" venissero a ingerire in casa per vedere quali libri, quali simboli religiosi appesi, come invece fanno i "Comités de Defensa de la Revoluciòn" nelle case dei cubani. Da noi non succedeva che a ridosso della Pasqua, si interrogassero capziosamente gli scolaretti delle elementari e dell'asilo, per farsi dire se in casa si dipingevano le uova per la festa. In Albania sì. E successivamente in quelle case faceva irruzione la polizia politica. In Albania per battezzare un bimbo si rischiava la vita: un sacerdote, don Stiefen Kurti, subì la fucilazione per aver battezzato un neonato (20 ottobre 1971). Quegli stessi anni '70 in cui un noto disegnatore satirico recentemente scomparso, in Albania ci passava le settimane estive di volontariato "per l'edificazione del Socialismo" (e non risulta che mai abbia pronunciato ravvedimento). Proprio gli anni in cui Italia e mondo democratico, inscenavano fluviali cortei per la pena capitale eseguita in Spagna su uomini i quali, a prescindere dai loro nobili (?) ideali avevano tuttavia compiuto sanguinari atti di terrorismo con corredo di vittime innocenti. La Spagna non era un regime totalitario, i Paesi del Patto di Varsavia lo...Wed, 22 Nov 2023 - 60 - Il sacerdote che con il suo genio scientifico catalogò oltre 1000 specie di funghi
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IL SACERDOTE CHE CON IL SUO GENIO SCIENTIFICO CATALOGO' OLTRE 1000 SPECIE DI FUNGHI di Barbara Sartori
I colleghi statunitensi lo consideravano un maestro, «the most learned in the world». Richieste di consulenze gli arrivavano da tutta Europa.
Ma, in Italia, al di fuori di una ristretta cerchia di esperti, restava un modesto parroco della Val di Sole.
È un sacerdote trentino vissuto a cavallo tra Otto e Novecento il più grande micologo italiano, l'abate Giacomo Bresadola. La Biblioteca della sede piacentina dell'Università Cattolica - che ne conserva gran parte delle opere, vere rarità editoriali, donate da Giuseppe Fogliani, dal 1960 al '92 docente della Facoltà di Agraria - vuol rendere omaggio al suo genio scientifico. Fino al 28 settembre, nell'atrio d'onore, è possibile ammirare alcuni testi originali e riproduzioni delle tavole dipinte dal Bresadola per illustrare i funghi analizzati in cinquant'anni di ricerche. Si calcola, limitandosi alle sole nuove specie, che ne abbia catalogate ben 1017.
Nato a Ortisé nel 1847, Giacomo Bresadola è indirizzato dal padre alle scuole tecniche a Rovereto, per farne un ingegnere. Lui preferisce il seminario: nel 1870 è sacerdote.
Non dimentica però la passione per le scienze. A Baselga di Piné il giardino della canonica diventa un orto botanico. A Roncegno comincia lo studio delle fanerogame, piante della famiglia dei faggi e degli abeti, sotto la guida Francesco Ambrosi, direttore e bibliotecario del Museo di storia naturale di Trento. È lui a proporgli di occuparsi di muschi e licheni, presentandogli il biologo Venturi. Si deve invece al cappuccino Giovanella da Cembra, se, mentre era curato a Magras, tra il 1878 e l'83, inizia a interessarsi di funghi. Ma i testi su cui lavorare - si accorse il sacerdote - erano imprecisi.
Decise perciò di scrivere ad Andrea Saccardo, docente di botanica all'Università di Padova, chiedendogli di inviargli le sue opere e proponendosi «per la ricerca di qualche fungo o altro che riguarda la Micologia, che specialmente in questi paesi montuosi è ricca, e vergine dalle ricerche degli scienziati». È l'inizio della carriera di micologo. Nel 1881 entra in contatto con gli studiosi nordamericani e pubblica la sua prima opera, Fungi tridentini novi vel nondum delineati, un atlante di 281 specie locali, descritte e illustrate dall'autore.
Seguiranno Mycromicetes tridentini (1889) e la divulgativa Funghi mangerecci e velenosi dell'Europa media , in italiano (pubblicata postuma).
Il rigore dello studio e la finezza del tratto sono la peculiarità del metodo del Bresadola, che non si accontentava di vaghe descrizioni, ma - seguendo l'insegnamento del francese Lucien Quélet - corredava le sue schede con note critiche e minuziosi disegni, frutto di un attento esame al microscopio. Il suo credito crebbe a tal punto che i musei di Londra, Parigi, Uppsala, Liegi, Washington, Kiev gli inviavano da analizzare le loro collezioni più preziose e ancora oggi custodiscono testimonianze del suo infaticabile lavoro. Senza spostarsi da Trento - nel 1884 era stato nominato amministratore all'Ordinariato vescovile e nel 1887 al capitolo della Cattedrale poté revisionare miceti da ogni latitudine, con l'obiettivo di dare ordine alla catalogazione esistente: ottocento specie furono dichiarate non valide.
A dispetto dei riconoscimenti nel 1927 la laurea honoris causa in scienze naturali a Padova, il titolo di socio fondatore conferito dall'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, dalla Società micologica britannica e da varie accademie europee - restò l'umile prete di sempre. Le ristrettezze economiche lo costrinsero a vendere al museo di Stoccolma un erbario con 30mila specie. Alcuni editori stranieri avevano messo gli occhi sulla documentazione...Wed, 25 Oct 2023 - 59 - Norma Cossetto, la ragazza stuprata e infoibata che la sinistra vorrebbe dimenticare
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NORMA COSSETTO, LA RAGAZZA STUPRATA E INFOIBATA CHE LA SINISTRA VUOL DIMENTICARE di Giovanni Terrano
La triste vicenda di Norma Cossetto, uccisa barbaricamente ottant'anni fa tra la notte del 4 ed il 5 ottobre 1943, dai partigiani comunisti, non rientra sicuramente nel "politicamente corretto". Questa storia è stata commemorata unicamente in Parlamento, in un convegno organizzato il 3 ottobre scorso da Alessandro Amorese, Nicole Matteoni, Maurizio Gasparri e Rossano Sasso e ricordata, poi, il 5 ottobre dal vicepresidente della Camera e deputato di Fratelli d'Italia, Fabio Rampelli. La storia delle foibe, si sa, va nascosta perché scomoda per la sinistra italiana in quanto pone in risalto le barbarie e le atrocità poste in essere dai partigiani.
Norma Cossetto, figlia di un dirigente locale istriano del Partito Nazionale Fascista, era una studentessa universitaria di Lettere dell'Università di Padova di 23 anni che stava preparando una tesi di laurea in geografia proprio sul suo territorio, l'Istria Rossa (in quanto ricco di bauxite). Dopo l'armistizio di Cassibile dell'8 settembre 1943, i partigiani depredarono la casa della famiglia di Norma e quest'ultima si rifiutò di entrare a far parte del movimento partigiano, cosa che le comportò l'arresto presso l'ex caserma della Guardia di Finanza di Parenzo. Successivamente, la sorella, Licia Cossetto, ha raccontato che prima che Norma fosse infoibata ed uccisa, la stessa fu sottoposta anche a sevizi e stupri ad opera dei partigiani. Il suo corpo fu trovato e recuperato, privo di vestiti, dopo il 10 dicembre 1943, a seguito dell'occupazione dell'Istria da parte dell'esercito tedesco.
La storia di Norma Cossetto è una delle tante storie di infoibati coinvolti in una razzia storica, di coloro, cioè, che hanno affrontato un'impervia prova senza barattare la propria dignità. Norma è un'eroina, suo malgrado, che ha dimostrato un'accettazione fiera e composta delle barbare violenze dei partigiani, privata, tra l'altro, dei suoi sogni di studentessa universitaria e scaraventata in una realtà di incubi e di morte. Se la realtà partigiana fosse stata realmente giusta, non avrebbe costretto donne come Norma Cossetto a diventare "eroine".
Non va dimenticato che il massacro delle foibe, avvenuto tra il 1943 ed il 1945, è un evento storico molto importante, spesso volutamente dimenticato dalla sinistra, che ha dato spazio ad una politica riduzionista se non addirittura negazionista. È noto che sulla strage delle foibe vi sia una forte divisione sul modo di leggere i fatti storici. E, talvolta, alcuni autori hanno tentato di dare palesemente una chiave di lettura faziosa della storia. Vicende tristi come quella di Norma Cossetto non vengono ricordate perché scomode per una certa area politica, e solo il centrodestra ha ritenuto opportuno commemorare gli ottant'anni di tale triste evento, come già detto.
Ed è ancora più curioso evidenziare come, qualche giorno prima, sia stato data molta risonanza alle Quattro Giornate di Napoli e all'Anpi, e il Comune di Napoli ha addirittura intitolato ad Antonio Amoretti, ritenuto l'ultimo partigiano delle Quattro Giornate e scomparso qualche mese fa, i giardini di Piazza Quattro Giornate del quartiere Vomero di Napoli. Ma ci sarebbe tanto da dire, a cominciare dal fatto che le Quattro Giornate di Napoli - e, se vogliamo, l'intera Resistenza -, rappresentano un clamoroso falso storico. Ma questo è un altro discorso. Limitiamoci, ora, a ricordare gli ottant'anni dal tragico evento di Norma Cossetto causato dai partigiani, evidenziando, purtroppo, che la storia, spesso, viene letta come la si vuol leggere.Tue, 17 Oct 2023 - 58 - Il nobile Cristoforo Colombo, ultimo dei cavalieri medievali
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IL NOBILE CRISTOFORO COLOMBO, ULTIMO DEI CAVALIERI MEDIEVALI di Michelangelo Longo
La vulgata vorrebbe Cristoforo Colombo marinaio genovese, di umili origini che grazie a una felice intuizione scopre "per caso" un nuovo continente. I dati storici ribaltano questa narrazione. I documenti ci regalando uno spaccato del tardo medioevo assai diverso: il self made man non è semplicemente possibile, ma è possibile l'epopea di un nobile cavaliere spinto dallo spirito di avventura e dal desiderio, per noi post moderni incomprensibile, di portare la fede ovunque.
Ma partiamo dalla famiglia. Il cognome per esteso è Colombo di Cuccaro, feudo del marchesato del Monferrato. La famiglia serviva i Marchesi e li seguì fino alla fine della signoria, quando Gian Giacomo Paleologo si dichiarò vassallo dei Savoia per ritornare nel Monferrato dopo l'esilio a Venezia con a seguito i Colombo di Cuccaro. La nobile famiglia dei Colombo si trovò così a servire non più un marchesato nel pieno del suo potere ma un vassallo senza futuro e rendite. A quel punto i Colombo di Cuccaro dovettero trovare altre strade per vivere e una di queste portava al mare...
Colombo fu corsaro, mozzo? È plausibile che come cadetto di una nobile famiglia fosse comandante di qualche vascello, magari anche con la licenza di corsa (corsaro appunto). Il figlio Ferdinando riporta episodi che sembrano figli di battaglie atlantiche tra corsari di diverse nazioni, certo è che il futuro Ammiraglio esplora in lungo e in largo l'Atlantico e il Mediterraneo fino ad incontrare il sorgente impero Ottomano a Chio, poche miglia dall'Asia Minore ormai presa dagli infedeli. Forse proprio lì maturò il desidero di trovare una nuova via per l'Asia.
Proprio la ricerca di una nuova via per l'Asia ha solleticato la fantasia di innumerevoli detrattori del Medioevo e della Chiesa Cattolica. La leggenda nera vuole la Chiesa schierata su posizioni "terra-piattiste", quando in realtà la consapevolezza della forma sferica della terra era nota ed accettata. Inoltre molti episodi conosciuti alle corti della penisola iberica dimostravano che al di là del mare esistevano terre abitate: le indie? L'Asia? Erano popoli da convertire, con cui commerciare? Il punto era comprendere quanto distasse la terra al di là dell'Oceano. Colombo sosteneva che l'intera circonferenza della terra fosse di 20.000 km (sbagliando), portoghesi, spagnoli non ci credevano. Molti fattori ritardarono l'avvallo all'impresa di Colombo: dubbi sulla rotta proposta, i portoghesi che probabilmente stavano cercando di raggiungere l'altra sponda già da tempo per altre vie, gli Spagnoli che erano ancora intenti a cacciare i mori dalle loro terre, non ultime le consistenti richieste di Cristoforo (la decima parte delle scoperte, l'Ammiragliato, la nomina a vice Re del nuovo mondo). L'idea che un popolano potesse attendere così a lungo, perorare la sua causa con continue trattative con le corti spagnola e lusitana, che potesse intrattenersi con i cartografi e studiosi del suo tempo a discutere di una terra non ancora "scoperta" rimane improbabile. Il nobile Colombo attese con frustrazione uno spiraglio che arrivò dopo un decennio di attesa e, quando era ormai intenzionato a rivolgersi altrove, Isabella e Ferdinando di Castiglia decisero: a don Cristoforo Colombo avrebbero concesso titoli e privilegi nel caso di successo, assegnarono le tre caravelle più famose di tutti i tempi. L'avventura era partita.
Quattro viaggi resero Colombo immortale. Dal primo epico e trionfante all'ultimo quasi "normale". Il mondo era entrato in una nuova epoca e i caratteri distintivi dell'Ammiraglio, la testardaggine, la petulanza, l'incapacità al governo, lo resero inviso alle corti del tempo. Morirà lasciando ai posteri un continente e un segno...Tue, 26 Sep 2023 - 57 - Quattro buone ragioni a favore della monarchia
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QUATTRO BUONE RAGIONI A FAVORE DELLA MONARCHIA di Corrado Gnerre
In occasione del 70° anniversario della Repubblica Italiana offro qualche riflessione in merito non alla Repubblica ma alla Monarchia, più specificamente alla Monarchia Cristiana. Prima però mi preme fare due premesse.
La prima è più specifica. Confesso (ma penso sia cosa abbastanza prevedibile) di non nutrire alcuna simpatia per Casa Savoia per una serie di motivazioni, prima fra tutte il fatto che essa ha svolto un ruolo decisivo in quel processo, cosiddetto "Risorgimento", che altro non è stato che una sorta di "piemontizzazione" dell'Italia.
La seconda premessa è più generale. La Dottrina Cattolica tradizionale (quindi non contaminata da derive modernistiche) accetta diverse forme di governo, sempre che non cadano in derive totalitarie. Ricordo che anche la democrazia, non intesa in senso classico, bensì come puro "democraticismo" (pretesa di poter tutto decidere con il criterio del numero anche cosa è oggettivamente bene e cosa è oggettivamente male) cade inevitabilmente nel totalitarismo, come è ben affermato da Giovanni Paolo II nell'enciclica Centesimus Annus al punto 46: "Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia."
Fatte queste due premesse, vengo al dunque. Le buone ragioni della Monarchia sono quattro. La prima è "sociale", la seconda "antropologica", la terza "religiosa" e la quarta "filosofica". Ho utilizzato le virgolette perché il significato di queste aggettivazioni è in senso ampio.
1) RAGIONE SOCIALE
Una delle più precise definizioni di Monarchia è "governo di una famiglia su tante famiglie". Infatti, la Monarchia altro non è che la "centralità politica" della Famiglia. Qui ovviamente il riferimento è alla concezione tradizionale e vera della società. Secondo questa concezione la società non può che avere una dimensione comunitaria. Essa non è un insieme di individui ma di famiglie: è una "famiglia di famiglie". La concezione individualistica della società è invece un prodotto tipicamente "moderno". Ed è proprio la forma repubblicana ad esprimere chiaramente l'impostazione individualistica, cioè il governo di uno su tanti, di un individuo su tanti individui.
Relativamente a questo discorso va detto che la concezione vera della Monarchia -o meglio: la concezione della Monarchia vera- si espresse non a caso nel medioevo cristiano, che fu un periodo tutto all'insegna della dimensione comunitaria e "familiare". Le stesse corporazioni erano strutturate sul modello familiare.
In merito alla famiglia bisogna fare un'altra considerazione. A differenza di altre forme di governo, nella Monarchia Cristiana il Re è tenuto, anche se indirettamente, a render conto di come gestisce la propria famiglia che è parte integrante della sua rappresentatività politica; il tutto nella convinzione che non si può pretendere di governare uno Stato se non si è capaci di saper governare la propria famiglia.
2) RAGIONE ANTROPOLOGICA
Passiamo adesso ad un'altra buona ragione della Monarchia, che possiamo definire "antropologica". Dico subito che qui il discorso si fa molto più "delicato", non solo nel senso che va ben capito, ma anche perché sembrerebbe offrire argomenti un po' troppo "sottili". Ma si tratta ugualmente di una questione importante.
Governare è qualcosa di impegnativo: è un'arte che è difficile improvvisare. Ebbene, nella Monarchia vige il riconoscimento del principio secondo cui sin da piccoli bisogna prepararsi a governare. Può sembrare una sciocchezza, ma non lo è. Lasciamo stare la misteriosa incompetenza di molti politici dei nostri giorni, "misteriosa" perché assume proporzioni tali da sembrare voluta. Spesso mi viene la...Tue, 26 Sep 2023 - 56 - Hitler ne era convinto la principale attività dei preti consisteva nel minare la politica nazista
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HITLER NE ERA CONVINTO: LA PRINCIPALE ATTIVITA' DEI PRETI CONSISTEVA NEL MINARE LA POLITICA NAZISTA di Francesco Agnoli
Il pensiero di Hitler e stato consegnato solo in parte, cioè nella prima fase della sua attività politica, al Mein Kampf. In questo testo confuso e logorroico, i pensieri del futuro dittatore si accavallano l'uno sull'altro, risultando spesso indigeribili. Però, per quanto riguarda il tema che a noi interessa, sono già in parte delineati. Hitler, infatti, afferma più volte due concetti: che la Chiesa cattolica è «in conflitto con le scienze esatte e con l'indagine scientifica», e che il cristianesimo si è imposto grazie ad una «fanatica intolleranza». Intolleranza che è propria degli ebrei in generale: «Oggi il singolo deve constatare con dolore - scrive Hitler - che nel mondo antico, assai più libero del moderno, comparve col cristianesimo il primo terrore spirituale».
Questi pensieri, espressi nel 1923, possono essere meglio compresi alla luce di quanto Hitler ebbe a dire una volta giunto al potere. Per questo risulta indispensabile la lettura delle Conversazioni a tavola di Hitler, da poco ristampato in Italia (dopo ben 50 anni!) dalla Libreria editrice Goriziana. Si tratta dei discorsi tenuti da Hitler con gli invitati che di volta in volta accedevano a lui: furono trascritti a partire dal 5 luglio 1941 per ordine di Martin Bormann, capo della cancelleria del partito e segretario del Führer.
Ebbene, in queste conversazioni a ruota libera, Hitler rivela molto chiaramente il suo pensiero rispetto al cristianesimo, dimostrando che era una delle tematiche che più gli stava a cuore. Nelle quasi 700 pagine in cui discorre di guerra, russi, ebrei, diete, nazismo ecc., i riferimenti al cristianesimo e alla Chiesa cattolica, pur minoritaria all'interno del paese di cui era l'incontrastato leader, sono continui, insistenti e ripetitivi.
Anzitutto Hitler ritiene che il cristianesimo sia una delle manifestazioni della perfidia ebraica: parla quindi esplicitamente di «cristianesimo ebraico». «Il cristianesimo - afferma la notte del 20 febbraio 1942 - costituisce il peggiore del regressi che l'umanità abbia mai potuto subire, ed è stato I'Ebreo, grazie a questa invenzione diabolica, a ricacciarla quindici secoli indietro». Cristo, in verità, per Hitler, non era un ebreo, ma un ariano che «attaccò il capitalismo ebraico» e per questo venne ucciso: «Non è escluso che sua madre fosse ebrea»: ma certo non lo fu il padre.
La «falsificazione della dottrina di Gesù» fu quindi opera dell'ebreo san Paolo: a lui si deve la creazione della religione cristiana, cioè di una forma di bolscevismo ante litteram. Il cristianesimo infatti si è posto alla testa dei più miserabili, degli schiavi, dei malriusciti, con le sue teorie «egualitarie» nate per «conquistare un'enorme massa di gente priva di radici»; «ha mobilitato la feccia», per «organizzare cosi un pre-bolscevismo».
Per Hitler all'equazione ebraismo-cristianesimo, si affianca quella cristianesimo-bolscevismo: l'ebreo Saul e l'ebreo Marx sono i creatori di due ideologie di morte equivalenti tra di loro!
«Il colpo più duro che l'umanità abbia ricevuto - dichiara - è l'avvento del cristianesimo. Il bolscevismo è figlio illegittimo del cristianesimo. L'uno e l'altro sono una invenzione degli Ebrei. È dal cristianesimo che la menzogna cosciente in fatto di religione è stata introdotta nel mondo. Si tratta di una menzogna della stessa natura di quella che pratica il bolscevismo quando pretende di apportare la libertà agli uomini, mentre in realtà vuol far di loro solo degli schiavi». Ancora: «L'Ebreo che fraudolentemente introdusse il cristianesimo nel mondo antico, allo scopo di perderlo, ha oggi riaperto questa breccia prendendo, questa volta, il pretesto...Tue, 29 Aug 2023 - 55 - L'Italia riconosce l'Holodomor come genocidio
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L'ITALIA RICONOSCE L'HOLODOMOR COME GENOCIDIO di Stefano Magni
A 90 anni di distanza, anche il Parlamento italiano ha votato per il riconoscimento dell'Holodomor quale genocidio degli ucraini, commesso da Stalin dal 1932 al 1933. Il Senato ha approvato la mozione con 130 voti a favore e 4 astenuti (e tutti gli altri assenti). I 4 astenuti sono senatori di Verdi-Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle.
Sull'Holodomor (in ucraino: "morte per fame") è stato fatto negazionismo (vero) da parte del regime sovietico e ancora oggi il dibattito è difficile da affrontare. È innegabilmente un crimine di massa figlio dell'ideologia comunista. Nel 1928 Stalin impose le sue riforme economiche radicali, dopo aver introdotto il primo Piano Quinquennale. L'agricoltura, che era la principale risorsa per l'Ucraina, come per la Russia meridionale, venne considerata come un settore ausiliario dell'industria. Nutrire gli operai: questo doveva essere il compito dei contadini. Poi la grandezza dell'Urss sarebbe arrivata grazie al programma di industrializzazione. L'Ucraina, nei primi anni sovietici, dopo la guerra civile (che l'aveva devastata, con una prima carestia) aveva ottenuto una certa autonomia, per lo meno il permesso di usare la propria lingua e di studiare la propria cultura nazionale. Gli anni '20 furono un periodo di "ucrainizzazione". Stalin, con la sua furia centralizzatrice, volle distruggere l'identità ucraina che lui stesso, da ex ministro delle Nazionalità, aveva concesso. L'Ucraina era un nemico nazionale: con la sua identità rischiava di minare l'unità dell'Urss. Era anche un nemico di classe, dove la Nuova Politica Economica aveva fatto fiorire più che altrove una classe di intraprendenti contadini proprietari, i "kulaki" come venivano chiamati spregiativamente.
SI AIZZARONO LE LOTTE DI CLASSE
L'ira lucida di Stalin si abbatté sui kulaki. Considerati nemici di classe, vennero aizzate contro di loro le masse contadine. Con processi sommari e linciaggi veri e propri, furono poi tutti deportati in Siberia, in Asia centrale e al Circolo polare. La campagna di "de-kulakizzazione" fece sparire quasi 2 milioni di ucraini e fu devastante per l'economia. Arrivati al 1931, le autorità sovietiche accelerarono la collettivizzazione. La resa dei terreni crollò. Le autorità sovietiche, più che "esperti" di agricoltura mandarono brigate di agit prop. Le stazioni dei trattori e delle macchine agricole erano centri di propaganda, più che fornitori di servizi ai contadini. La collettivizzazione fu una grande ubriacatura ideologica e causò la fine di una società agricola, in quello che era sempre stato il "granaio d'Europa".
Ma al Cremlino non ammisero mai alcun errore, il modello doveva funzionare. Quindi alla comparsa delle prime statistiche che dimostravano raccolti molto inferiori alle quote prefissate dal piano, Stalin reagì punendo in massa i contadini. Chiunque era sospetto di nascondere il grano. La polizia politica entrava casa per casa, con pertiche di ferro con cui ispezionava (e distruggeva) le misere capanne di legno dei contadini, sequestrando ogni singolo chicco di grano. Ai contadini stessi non veniva lasciato nulla. Nessuno poteva fuggire. Venne reintrodotto un sistema rigidissimo di passaporti interni. Nessuno poteva neppure raggiungere le città. In tempi di carestia naturale, le città fanno la fame, i contadini hanno sempre qualcosa da mangiare. In una carestia artificiale, come quella provocata da Stalin in Ucraina, le campagne morivano, le città ricevevano provviste dalle autorità centrali, a sufficienza da sfamare operai e funzionari. Chi provava a entrare nelle città, alla ricerca di un po' di cibo, veniva cacciato o arrestato, oppure bastonato e lasciato morire. I casi di cannibalismo si moltiplicarono. La fame...Tue, 15 Aug 2023 - 54 - Gli inglesi che preferirono la morte pur di rimanere cattolici
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GLI INGLESI CHE PREFERIRONO LA MORTE PUR DI RIMANERE CATTOLICI di Roberto de Mattei
Mi sono trovato in Inghilterra il 29 giugno e mi ha molto colpito l'attaccamento che ancora oggi i cattolici inglesi hanno verso il Papa e verso la Chiesa di Roma. Questo attaccamento ha le sue radici nel doloroso scisma che si consumò nel XVI secolo, strappando l'Inghilterra alla vera fede. L'autore di questo scisma fu il re Enrico VIII, che in preda a una diabolica passione per una damigella di Corte, Anna Bolena, divorziò dalla moglie Caterina d'Aragona e, contro il divieto papale, la sposò nel 1533. Papa Clemente VII non riconobbe il matrimonio e l'anno successivo Enrico VIII fece votare dal Parlamento l'Atto di Supremazia con cui il Regno si separava dalla religione cattolica romana e costituiva una chiesa nazionale, detta poi anglicana, di cui il Re era il capo supremo. Il popolo inglese era cattolico ma furono pochi gli ecclesiastici, i dignitari e gli aristocratici, che osarono mettersi contro il sovrano, sfidando la prigione e la morte che li aspettava.
SCISMA E GRANDI SANTI
I primi tra questi furono un eminente laico Tommaso Moro, Cancelliere del Regno, e un vescovo Giovanni Fisher, creato cardinale dal Papa prima del supplizio. Si aprì un periodo di contrastate lotte politiche e religiose, in cui il papa san Pio V scomunicò la regina Elisabetta I, figlia illegittima di Enrico VIII, e il re di Spagna Filippo II tentò di conquistare il Regno d'Inghilterra, ma la Provvidenza aveva disposto altrimenti. Per oltre due secoli la fedeltà a Roma fu testimoniata dall'epopea di una legione di santi, pronti ad affrontare la peggiore delle morti, in difesa della fede cattolica.
Il condannato, condotto su un carretto al luogo dell'esecuzione, veniva squartato e orrendamente mutilato, ancora vivo e cosciente. Il carnefice dopo aver castrato il suppliziato, gli praticava un taglio nel ventre estraendone gli intestini, che venivano bruciati in un braciere davanti ai suoi occhi. Poi il carnefice gli tagliava la testa e procedeva allo squartamento del corpo. Con un'ascia lo divideva in quattro parti, prima tagliandolo verticalmente poi, orizzontalmente, quindi in altre due metà. I quarti del suo corpo venivano appesi in diversi angoli della città. Sant'Oliviero Plunkett fu l'ultimo martire cattolico inglese, squartato a Londra nel 1681, in seguito al Complotto papista (Popish Plot), una fittizia cospirazione gesuita per assassinare il re Carlo II di Inghilterra, ma in realtà inventata dal fanatico anglicano Titus Oates, per accreditarsi di fronte al sovrano.
Degli innumerevoli martiri cattolici inglesi, Margarete Pole e quaranta compagni furono beatificati da Leone XIII nel 1886, e altri nove nel 1895. Thomas Hereford e altri centosei martiri vennero beatificati da Pio XI il 15 dicembre 1929. Il 25 ottobre 1970 vennero canonizzati da Paolo VI quaranta martiri, undici dei quali appartenevano al gruppo dei beati del 1886 e ventinove a quello del 1929. Il 22 novembre 1987, infine, Georg Haydock e ottantaquattro cattolici di Inghilterra, Scozia e Irlanda, sventrati a Tyburn, sono stati beatificati da Giovanni Paolo II.
A Tyburn, proprio accanto al luogo in cui avvenivano le esecuzioni, che si affaccia su Hyde Park, è stato costruito un piccolo convento, dove si prega e si chiede l'intercessione di questi martiri. Vi aleggia lo stesso profumo soprannaturale che si respira in tante cappelle, chiese, santuari e monasteri cattolici del Regno Unito, da Londra fino alle brume della Scozia e alle coste della Cornovaglia
SANTI PIETRO E PAOLO, FESTA NAZIONALE INGLESE
La festa dei Santi Pietro e Paolo che, il 29 giugno in Italia è di precetto solo per la diocesi di Roma, in Inghilterra è festa obbligatoria sul suolo nazionale e quel...Tue, 18 Jul 2023 - 52 - Quando le Williams persero dal tennista maschio numero 203
VIDEO: Martina Navratilova - Jimmy Connors ➜ https://www.youtube.com/watch?v=jGRIf7e6fP0
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7462
QUANDO LE WILLIAMS PERSERO DAL TENNISTA MASCHIO NUMERO 203 di Riccardo Bisti
Fosse successo oggi, non li avrebbero collocati sul campo 17 di Melbourne Park. Ci sarebbe stata la diretta TV, migliaia di persone si sarebbero ammassate in tribuna e l'hashtag avrebbe fatto tendenza. Per ricordare l'improvvisata Battaglia dei Sessi di Melbourne, invece, bisogna affidarsi all'antico strumento dei testimoni oculari. Neanche le riviste specializzate dell'epoca - pensate un po' - diedero grande risalto alla lezione che Karsten Braasch rifilò a Serena e Venus Williams, allora giovani rampanti del tour. 23 anni dopo sono diventate star planetarie e ricordano malvolentieri quel pomeriggio del 27 gennaio 1998. Se possono, evitano del tutto. Venus aveva già raggiunto la finale allo Us Open (persa contro Martina Hingis), mentre papà Richard (inascoltato) diceva che la sorella minore sarebbe stata ancora più forte. Le due si affrontarono al secondo turno nel primo episodio di una saga infinita. Ma nessuno immaginava cosa sarebbe successo pochi giorni dopo.
Durante una conferenza stampa, alcuni giornalisti confrontarono lo stile aggressivo delle sorelle con quello del tennis maschile. La 16enne Serena rispose a gamba tesa: "Durante il torneo mi sono allenata spesso con gli uomini e li ho visti lavorare. Onestamente credo di poter battere un uomo fuori dai primi 200 ATP". Un tour manager particolarmente arguto pensò che sarebbe stato divertente organizzare la sfida. Diede un'occhiata alla classifica mondiale, la confrontò con i giocatori ancora presenti a Melbourne e si accorse che al numero 203 (qualche settimana prima era stato esattamente n.200) si trovava Karsten Braasch, 31 anni, tedesco. Era stato eliminato al primo turno dopo aver superato le qualificazioni ed era il profilo giusto: ex n.38, in declino, personalità particolare, vizio del fumo, occhiali da vista e un servizio dal movimento stranissimo, imparato chissà dove. Per la sua personalità, in Germania dicevano che era il Mario Basler del tennis. "Mi accennarono la possibilità di questa sfida, pensando che fossi il candidato perfetto - racconta Braasch - non c'è voluto molto per convincermi, mi sembrava divertente".
LA SFIDA E LA MANCATA RIVINCITA
L'avvicinamento al match non fu semplice, poiché le Williams erano già popolarissime e la sfida fu rinviata un paio di volte a causa dei loro impegni. "In questi casi è importante rimanere rilassati e non prenderla troppo sul serio - dice Braasch, soprannominato "Katze", gatto - la mia preparazione è stata una partita di golf al mattino, poi ho bevuto qualcosa e fumato le mie immancabili sigarette. Mi sono presentato sufficientemente rilassato". Il match si è giocato sul Campo 17, davanti a uno sparuto gruppo di spettatori e un paio di giornalisti. Come era accaduto qualche anno prima a Jimmy Connors contro Martina Navratilova, il tedesco ha rinunciato alla seconda di servizio. Nonostante il vantaggio, per Serena è stato un incubo. In pochi minuti è piombata sullo 0-5: temeva il cappotto, ma ha raccolto il game della bandiera. Non è dato sapere se Braasch gliel'abbia concesso o meno. Sul finire della partita, è arrivata Venus. Aveva appena terminato la conferenza stampa dopo la sconfitta contro Lindsay Davenport. In un atto di solidarietà familiare, ha sfidato Braasch per vendicare la sorella. Risultato? 6-2 per il mancino di Marl, cresciuto nella Germania operosa della Ruhr.
"Entrambe colpiscono la palla molto bene - dice Braasch - ma se hai frequentato il circuito ATP possiedi alcune armi che le metteranno in difficoltà. Le rotazioni, per esempio: noi siamo in grado di dare effetti che non sono abituate a fronteggiare. E poi...Tue, 11 Jul 2023 - 50 - Sette verità dimenticate sul Natale
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4981
SETTE VERITA' DIMENTICATE SUL NATALE di Matteo Carletti
1) GESÙ NON ERA UN ARABO
Gesù non era un arabo, come viene sostenuto da più parti, né tanto meno un "palestinese" ma più semplicemente un ebreo avente, per di più, una ascendenza regale (Re Davide).
2) MARIA E GIUSEPPE ERANO REGOLARMENTE SPOSATI
Maria e Giuseppe erano regolarmente sposati e non una "coppia particolare" come spesso alcuni riferiscono.
3) A BETLEMME NON ERANO PROFUGHI
Maria e Giuseppe non erano profughi. [...] Si dovettero spostare da Nazareth a Betlemme (circa 130 km, un po' come andare da Roma a L'Aquila) per via del censimento indetto dall'imperatore romano Cesare Augusto.
4) IN EGITTO NON ERANO CLANDESTINI
Maria e Giuseppe non erano clandestini. [...] Anche quando si trasferirono in Egitto per sfuggire alla cattura di Re Erode si trovarono sempre dentro l'Impero Romano, nel quale la circolazione fra le varie province era libera. Un po' come se noi dall'Italia ci trasferissimo per tre anni, all'interno della stessa Comunità Europea, a Vienna o a Parigi.
5) NON ERANO SENZA FISSA DIMORA
Maria e Giuseppe non erano "senza fissa dimora". Avevano una casa a Nazareth dove Giuseppe svolgeva un regolare lavoro.
6) NON ERANO POVERI
Giuseppe e Maria non erano poveri. Giuseppe, carpentiere e uomo saggio, faceva parte, per usare un'espressione moderna, del ceto medio. Arrivato con Maria a Betlemme cercò un albergo dove far riposare la sua sposa avendo con sé il denaro sufficiente per pagarlo. Purtroppo non vi trovò posto per via della moltitudine di persone che si erano spostate a causa censimento.
7) MARIA E GIUSEPPE NON DISPREZZARONO I SOLDI E L'ORO
Maria e Giuseppe non schifarono l'oro ritenendolo "sterco del demonio", ma lo accettarono insieme agli altri preziosissimi doni portati a Betlemme dai nobili sacerdoti orientali.
Nota di BastaBugie: Camillo Langone nell'articolo sottostante dal titolo "Da consumista a buonista... Il Natale peggiore" parla significato del Natale.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su Il Giornale il 24 dicembre 2017:
Natale lussuosista o Natale pauperista? Chiaramente, dovendo scegliere, io opterei per il primo, e pazienza per l'overdose di traffico e pacchetti: perfino san Francesco, il Povero per eccellenza, esortava ogni cristiano a essere in questa occasione «largo e munifico», mettendo in tavola i cibi più preziosi e più rari proprio per solennizzare la nascita del Salvatore.
Del resto i Re Magi portarono in dono al Bambin Gesù oro, incenso e mirra, non strofinacci equo-solidali... Il Natale pauperista lo lascio molto volentieri agli emuli di Giuda: guarda caso è proprio l'apostolo traditore a mettersi a tuonare contro gli sprechi (per chi non frequenta abitualmente il Vangelo ecco il riferimento: Giovanni 12,4).
E a tutti coloro che si meritano 4 in economia perché ignorano come il lusso sia un formidabile volano occupazionale: il cosiddetto superfluo è indispensabile a tanti lavoratori, smettere di regalare cravatte, guanti, orecchini e borsette significherebbe far crollare comparti produttivi a forte impiego di manodopera specializzata. E poi di cosa vivrebbero costoro? Di prediche moralistiche?
Dunque, dovendo scegliere, preferirei il Natale lussuosista, consumista e sprecone, ma potendo non scegliere rinuncerei anche a questi aggettivi che in effetti, deve ammetterlo perfino un collezionista di cravatte come me, un certo oscuramento del messaggio originale lo segnalano: gli uomini sono fatti così, il benessere li distrae da Dio a cui invece ritornano nel momento del bisogno. Un Natale che sia semplicemente natalizio è possibile? Un Natale senza aggettivi perché Natale è di per sé un aggettivo (il giorno natale, il giorno della...Wed, 27 Dec 2017 - 49 - Per Mattarella l'Italia è figlia dell'antifascismo e della resistenza
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7398
PER MATTARELLA L'ITALIA E' FIGLIA DELL'ANTIFASCISMO E DELLA RESISTENZA di Roberto De Mattei
Negli ultimi giorni, in Italia, si è discusso molto di antifascismo e di resistenza. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlando a Cuneo, ha affermato che il 25 aprile è la festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo. L'Italia è figlia dell'antifascismo e della resistenza, ha aggiunto, e le parole del giurista Piero Calamandrei "Ora e sempre resistenza", costituiscono un programma ideale.
Osserviamo che il ventesimo secolo è stato il secolo dei totalitarismi e delle dittature: comunismo, nazionalsocialismo, fascismo. Tra il 1939 e il 1945 si è combattuta una guerra mondiale in cui le democrazie occidentali, alleate al comunismo sovietico, hanno vinto il nazismo e il fascismo. Nella seconda metà del Novecento, scomparsi dalla scena nazismo e fascismo, sono rimaste, l'una di fronte all'altra, divise dalla Cortina di Ferro, le democrazie liberali e la Russia comunista, con i suoi paesi satelliti. Il crollo del muro di Berlino, nel 1989, e l'autodissoluzione dell'Unione Sovietica, nel 1991, hanno segnato la fine dell'anticomunismo, ma non quella del comunismo. Lo prova il fatto che oggi mentre tutti si dicono antifascisti, in assenza di fascismo, nessuno si dice anticomunista, in presenza di regimi politici che si richiamano esplicitamente al comunismo, come la Cina, di Xjnping, ma anche la Russia di Putin, che ancora inneggia a Stalin, come ad un eroe nazionale. La storiografia condanna in blocco come male assoluto il fascismo, ma per quanto riguarda il comunismo scompone il blocco tra l'ideale comunista e la sua realizzazione pratica e tra i diversi comunismi che si sono realizzati.
IL FANTASMA DELL'ANTIFASCISMO
Il filosofo Augusto Del Noce, scomparso nel 1989, ci offriva oltre cinquant'anni fa, una chiave di interpretazione di questa concezione della storia. Ciò che allora accadeva, e che ancora oggi accade, è che i comunisti utilizzavano il fantasma dell'antifascismo e della resistenza, per combattere non il fascismo, ma una concezione della società che con il fascismo non ha niente a che fare, ma al comunismo direttamente si oppone: quella visione tradizionale del mondo, fondata sul trinomio "Dio, patria e famiglia", che il comunismo vuole estirpare nel suo progetto di secolarizzazione della società Per compiere quest'operazione culturale, gli intellettuali progressisti elevano la resistenza da fatto storico quale essa fu a mito ideale, assumendola come spartiacque tra due ere della storia, l'oscura, legata ai valori tradizionali e la progressiva, fondata sull'abbandono di questi valori e sulla mitologia di un uomo nuovo, emancipato da ogni legge naturale e divina.
La resistenza, affermava Augusto Del Noce fu un momento della seconda guerra mondiale, ed è in rapporto a essa che, sul piano internazionale, dev'essere intesa. Essa svolse un ruolo storico, ma in Italia si pose in continuità e non in discontinuità con il fascismo, di cui accolse proprio il concetto di "fascio", cioè di coalizione ideale tra forze divergenti per un progetto comune. Il "fascio" di Mussolini in seguito alla sconfitta nella seconda guerra mondiale si frantumò nelle varie forme che unificava e nacque un nuovo "fascio" antifascista, per cui i fascisti di tendenza liberale raggiunsero i liberali antifascisti, i fascisti cattolici si unirono ai cattolici antifascisti, i fascisti di sinistra io socialisti, agli azionisti ai comunisti; e così via. Al momento della caduta di un regime in cui monarchia e fascismo erano unificati, divampò una guerra civile, in cui, sotto l'aspetto ideologico, spesso le due parti, che erano formate da fascisti, antifascisti ed ex-fascisti, si confondevano; e come accade nelle guerre,...Wed, 03 May 2023 - 48 - Nessuno attendeva la fine del mondo per l'anno mille...
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7337
NESSUNO ATTENDEVA LA FINE DEL MONDO PER L'ANNO MILLE di Marco Di Matteo
Un mito storiografico ci presenta la società europea al termine del X secolo come paralizzata, per colpa di una superstizione cristiana, dal terrore della prossima fine del mondo, che si credeva coincidente con il compimento del millesimo anno dalla nascita di Cristo. Per prepararsi adeguatamente alla mezzanotte di S. Silvestro del 999, gli uomini del tempo avrebbero abbandonato ogni attività e si sarebbero dedicati solo alle opere di preghiera e di penitenza; essi inoltre sarebbero accorsi ad offrire ai monasteri i propri beni e tesori, per ottenere il perdono delle colpe. Vedendo poi spuntare l'alba del nuovo millennio, avrebbero tirato un sospiro di sollievo e si sarebbero impegnati con gioia e rinnovata alacrità in tutti i campi della vita.
UN MITO STORIOGRAFICO
In realtà questa ricostruzione è puramente immaginaria e si basa su leggende inventate circa cinquecento anni dopo tali presunti eventi, che compaiono per la prima volta negli Annales del monaco benedettino occultista Giovanni Tritemio (1462-1517).
Nel Settecento anche alcuni ecclesiastici, soprattutto benedettini, animati dall'intento di purificare la devozione religiosa da ogni elemento superstizioso, hanno accreditato la leggenda dei terrori dell'anno Mille, che essi intendevano condannare alla stregua di tutte le altre manifestazioni di barbarie del passato. Poi, le immagini di queste presunte paure e superstizioni collettive furono riprese prima e durante la Rivoluzione Francese da philosophes e pamphletisti anticlericali, che accusavano la Chiesa non solo di aver diffuso credenze irrazionali tra il popolo, ma di averle sfruttate ingannevolmente per incitare nobili, borghesi e contadini a donare i loro beni ai conventi e alla Chiesa. Sulla base di tale arbitraria ricostruzione, in Francia, nel 1791, si giustificò la confisca dei beni del clero, che fu presentata come una doverosa restituzione al popolo di ricchezze sottratte con sotterfugi nei "secoli bui".
In età romantica diversi storiografi, in primis Jules Michelet, bramosi di scene tragiche e apocalittiche, diedero pieno credito a tali leggende, raccontando in termini melodrammatici le angosce del popolo cristiano alla vigilia del Millennio. Nel 1876 Le Dictionnaire Universel Larousse conferì un'ulteriore consacrazione a questo mito storiografico, contribuendo a diffonderlo nei manuali scolastici. In Italia soprattutto Giosuè Carducci accreditò tali fantasie nei suoi Discorsi sullo svolgimento della letteratura nazionale.
LA VERITÀ STORICA
Se questa è la leggenda, che cosa in realtà ci raccontano le fonti coeve o di poco posteriori al Mille?
Cominciamo col dire che anche questa, come tutte le menzogne, parte da un nucleo di verità: da un lato l'attesa escatologica, biblicamente fondata, della seconda venuta di Cristo, che ha sempre accompagnato la storia della cristianità, soprattutto medievale (alimentando talvolta tendenze millenaristiche poi condannate dalla Chiesa); dall'altro, l'evidente fioritura demografica, economica, artistica ed intellettuale che ha caratterizzato l'Europa dopo il Mille.
Tutto questo però non avalla la tesi dei terrori dell'anno Mille, perché dalle fonti non risulta alcun indizio del fatto che l'umanità, al volgere del X secolo, fosse triste e inerte nell'attesa della fine. Al contrario, tutti i documenti ci presentano un'umanità che vive come sempre, lavorando e progettando per il futuro, come se avesse davanti a sé tutto l'avvenire. Le centocinquanta bolle papali pubblicate dal 970 al 1000 non fanno menzione della fine del mondo. I venti concili svoltisi dal 990 al 1000 non accennano a questa drammatica scadenza, al contrario legiferano per gli anni successivi al Mille, a...Tue, 07 Mar 2023 - 47 - La favola inventata dell'8marzo
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1410
LA FAVOLA INVENTATA DELL'8 MARZO di Alessandra Nucci
La festa dell'8 marzo, che in Italia si tramanda di anno in anno con l'immutabilità delle leggende, narra della lotta di classe, dello sfruttamento capitalista, del diritto al lavoro e, immancabilmente, dell'iniquità della società americana. Si tratta però di una mitologia indotta, un misto di fatti veri e meno veri ricostruiti con fantasia dal movimento sindacale, in piena Guerra Fredda, per dare corpo all'ideologia marxista e incanalare le donne il più possibile verso rivendicazioni di stampo comunista. La storia vera infatti è molto più articolata della sola iniziativa che si vuole lanciata da Clara Zetkin a Copenhagen nel 1910. L'incendio della Triangle Shirtwaist Factory di New York fu tragedia vera e immane, ma non fu riconducibile né a scioperi né a serrate, fece vittime anche fra gli uomini e oltretutto avvenne nel 1911, un anno dopo il supposto "proclama". Nella minuziosa ricostruzione storica offerta dal libro "8 marzo. Storie, miti, riti della giornata internazionale della donna" di Tilde Capomazza e Marisa Ombra (ed. Utopia, Roma, 1991), si scopre che la data dell'8 marzo fu stabilita a Mosca nel 1921, durante la "Seconda conferenza delle donne comuniste". Svoltasi all'interno della III Internazionale comunista, la conferenza decise di stabilire quella data come "Giornata internazionale dell'operaia" in onore della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo. La "Festa della donna" fu istituita quindi nel quadro ideologico e politico che vedeva i paesi comunisti di tutto il mondo uniti per la rivoluzione del proletariato, sotto la guida dell'Unione Sovietica. Perché allora questo fatto non viene tramandato ogni 8 marzo? Per capirlo bisogna andare alle radici del femminismo, che non nasce dalle lotte del proletariato ma dalle donne del ceto medio, che già dalla metà dell'800 avevano cominciato a mobilitarsi per il diritto di voto. Quando poi, al volgere del XX secolo, venne fondato il Partito Socialista internazionale, le sue donne si divisero fra quelle disposte ad allearsi con le femministe "borghesi", e quelle che invece ritenevano che, come scrisse nel 1910 «L'Avanti!», "il proletariato femminile non può schierarsi col femminismo delle donne borghesi [...] per ottenere quelle riforme civili e giuridiche che le tolgano alla tutela e alla dipendenza dall'uomo. Questa emancipazione di sesso non scuote e può piuttosto rafforzare i cardini della presente società economica: proprietà privata e sfruttamento di classe". In poche parole le donne di sinistra accusavano le borghesi di "non attaccare a fondo l'istituto familiare, luogo privilegiato di oppressione della donna". Questa divisione può spiegare la ricostruzione dell'8 marzo come iniziativa di protesta per il terribile incendio di New York, il cui taglio anti-americano risultava tanto più efficace quanto più ne rimaneva nascosta la radice sovietica. Questa versione fu riportata infatti per la prima volta in Italia dal settimanale «La lotta», edito dalla sezione bolognese del Partito Comunista Italiano. Era il 1952, e quell'anno l'Unione Donne Italiane, settore femminile della Cgil, distribuì alle sue iscritte una valanga di librettini minuscoli, 4 cm x 6, da attaccare agli abiti insieme a una mimosa. Nel libretto c'era un resoconto dell'incendio di New York. Due anni dopo, il settimanale della Cgil, «Il lavoro», perfezionò il racconto con un fotomontaggio che ritrae un signore arcigno in bombetta dal nome inventato che si fa largo fra masse di donne tenute indietro dalla polizia. Così la data dell'8 marzo si è diffusa a tappe alterne, soprattutto in Europa. In alcuni paesi è salita alla ribalta solo da pochi anni. Negli Stati Uniti, dove le manifestazioni delle donne hanno sempre incluso le più svariate associazioni femminili, le donne socialiste tenevano già una "Festa della donna" nel 1908, che però non...Fri, 14 Mar 2008 - 46 - Giordano Bruno, il folle che fu scomunicato non solo dalla Chiesa Cattolica, ma anche da calvinisti e luterani
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5563
GIORDANO BRUNO, IL FOLLE CHE FU SCOMUNICATO NON SOLO DALLA CHIESA CATTOLICA, MA ANCHE DA CALVINISTI E LUTERANI di Giovanni Tortelli
Giordano Bruno visse esattamente il ruolo che si era imposto, quello dell'intellettuale puro ma scaltro, trasfigurato dallo studio della filosofia e delle scienze ma maudit fino in fondo, fino al punto di rifiutare il crocifisso sul rogo che l'avrebbe consumato all'alba del 17 febbraio 1600 in Campo de' Fiori.
Gesto coerente con lo spirito antireligioso che lo aveva animato per tutta la vita. Ebbe certamente l'intelligenza, l'erudizione, la prodigiosa memoria e la sete per un sapere che non conosceva limiti nemmeno morali, ebbe la passione e la forza di carattere, ma non fu mai un uomo di fede nonostante l'abito domenicano rivestito da quando aveva quindici anni e il sacerdozio conseguito con tutti i crismi.
Nato a Nola nel 1548, già al tempo del noviziato a Napoli era stato denunciato per aver difeso l'arianesimo, per aver dubitato che Padre e Figlio nella SS. Trinità avessero la medesima natura, per aver confuso lo Spirito Santo con l'«anima dell'universo» e quindi con le filosofie pitagoriche, e per esser uso a disprezzare le immagini dei santi.
Nel 1576 fuggì a Roma ma anche da lì dovette ben presto allontanarsi perché raggiunto dalla denuncia di aver occultato delle opere di san Giovanni Crisostomo e di san Girolamo perché annotate con le glosse proibite di Erasmo da Rotterdam, e forse anche perché coinvolto in qualche modo nell'omicidio di un confratello (V. Spampanato, Documenti della vita di Giordano Bruno, Olschki 1933, pp. 125-126).
Fu a questo punto che lasciò l'abito domenicano. Si diresse quindi a Genova dove visse impartendo lezioni di grammatica e di astronomia. In quest'epoca Bruno manifestò anche il passaggio al materialismo filosofico, e in astronomia all'eliocentrismo copernicano. Ma le peregrinazioni dell'ex domenicano erano solo agli inizi: sempre nel 1576, da Genova si spostò in varie città, per raggiungere infine Ginevra, dove trovò l'aiuto del marchese de Vico che là aveva radunato una piccola comunità di napoletani passati al protestantesimo.
Giunto a Ginevra nel 1578, Bruno si fece subito calvinista, si iscrisse alla "chiesa protestante italiana" e si immatricolò come studente di teologia. Anche se egli vedeva ormai la religione non come mezzo di manifestazione di verità ma solo come strumento uniformante e repressivo della società, si rendeva conto che senza un'appartenenza religiosa non era possibile convivere in alcun consesso sociale. In breve tempo però riuscì a mettersi nei guai anche coi calvinisti, cioè con la quasi totalità della popolazione ginevrina: arrestato per diffamazione nel 1579, fu processato e scomunicato e obbligato alla ritrattazione.
MORDI E FUGGI EUROPEO
Lasciata Ginevra passò da Lione per poi stabilirsi per due anni a Tolosa, città cattolica, sede di un'importante università, presso la quale fu lettore del De anima di Aristotele. Ma dopo essersi attirato l'ostilità degli aristotelici per la sua adesione all'ars combinatoria di Lullo, nel 1581 passò a Parigi dove insegnò con profitto e la sua fama giunse fino al re Enrico III di Valois che lo fece "lettore straordinario e provisionato", cioè stipendiato. A Parigi scrisse il Candelaio, commedia che descrive un mondo assurdo, violento e corrotto, i cui protagonisti sono la magia e l'alchimia, l'amore infedele e la beffa.
Nell'aprile 1583 giunse a Londra come accompagnatore dell'ambasciatore francese de Castelnau. A Londra, Bruno pubblicò tre opere in latino che avevano come oggetto la memoria e la disposizione di tutte le arti e scienze (ars combinatoria, cabala) in formule che assicurassero un sapere sempre più illimitato e i Dialoghi italiani, dedicati alla metafisica del sapere, attraversati da quell'amarezza già evocata nel celebre ossimoro del Candelaio: "In...Wed, 13 Mar 2019 - 45 - Il medioevo, un'epoca di straordinaria luce
VIDEO: George Lemaître e il Big Bang ➜ https://www.youtube.com/watch?v=q1MUSvVb41A&list=PLolpIV2TSebWIWP-3gYxkN2LbjB79Fu2F
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IL MEDIOEVO, UN'EPOCA DI STRAORDINARIA LUCE di Francesco Agnoli
Da dove nasce l'espressione, oggi così spesso impiegata, del «buio Medioevo»? Semplice: dagli "illuministi". È noto che mentre Socrate afferma di «sapere di non sapere», Agostino d'Ippona e Nicola Cusano definiscono l'uomo un «dotto ignorante» e Isaac Newton si paragona a un bambino, pieno di curiosità e d'ignoranza insieme, gli illuministi si considerano invece "adulti" pienamente razionali, avviati verso le «magnifiche sorti e progressive» tanto derise da Giacomo Leopardi. Il marchese di Condorcet, nel suo Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, descrive infatti la storia umana come un'arrestabile ascesa verso la felicità. Per costui, dopo i secoli medievali, oscuri e tetri, la storia ha ormai preso una piega differente. «Lo stato attuale dei lumi», scrive, «ci dice che essa [l'epoca ventura, ndr] sarà felice...» perché sta per giungere «il momento in cui il Sole non illuminerà più sulla terra che uomini liberi che non riconoscano altra guida che la ragione: in cui i tiranni e gli schiavi, i preti e i loro sciocchi o ipocriti strumenti non esisteranno più che nella storia o nei teatri». La pensa così anche il più agguerrito polemista del Settecento, quel Voltaire che bolla i secoli più segnati dal cristianesimo come «tenebrosi e intolleranti» e vede nel Rinascimento l'annuncio della luce piena, giunta, finalmente, con l'Illuminismo (e con lui stesso). A ben vedere tutto il Settecento è segnato da questa convinzione, che sarà ereditata dai secoli successivi: il passato da buttare, il presente e il futuro forieri di una vera e propria salvezza e redenzione terrena, di un regnum hominis capace di svelare l'onnipotenza della ragione umana. Poco importa che poi la luce della ragione trionfi solo nella fantasia e che lo stesso Condorcet finisca condannato a morte da quei giacobini che tagliano teste a ritmo continuo per eliminare "fanatici" e oscurantisti, compreso quell'Antoine-Laurent de Lavoisier, padre della chimica moderna, ucciso nel "radioso" 1794.
MARX E MUSSOLINI
Oggi sappiamo bene che la marcia trionfale dell'uomo illuminista si schianta sulla ghigliottina e sui 23 anni di guerra scatenati dai giacobini... eppure quel sogno continuerà a vivere anche dopo. «Civette del Medioevo» è l'insulto con cui il leader socialista Benito Mussolini apostrofa i sacerdoti cattolici, mentre ripete con Marx che «la religione è l'oppio dei popoli» e annuncia un radioso futuro: «Dietro di noi, quindi, un passato di tenebre; davanti, un avvenire di luce». [...] Non possiamo qui soffermarci sulla luce irradiata dal terrore dei giacobini e dei loro epigoni (in primis i comunisti), ma solo chiederci cosa ci sia di vero nella descrizione del Medioevo cui si è accennato, ricordando, per brevità, che accanto al Medioevo vero e proprio esiste un fanta-Medioevo, zeppo di torturatori, terrapiattisti e cinture di castità, esistito soltanto nella penna dei romanzieri e dei falsari dell'Ottocento, desiderosi di venire incontro al gusto diffuso per il macabro e il gotico. La realtà storica però fu diversa. In estrema sintesi, ricordiamo anzitutto che il Medioevo è diviso in due: l'alto Medioevo, dal 476 al 1000, e il basso Medioevo, dal 1000 al 1492. Ebbene, la prima parte è sicuramente la più cupa: l'Impero romano è crollato, le invasioni barbariche e islamiche rendono la vita dell'Europa piuttosto grama. Eppure questo buio è come quello del grembo materno: annuncia una nascita, un venire alla...Tue, 31 Jan 2023 - 44 - Smentita ancora una volta la leggenda nera dell'evangelizzazione dell'America
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7287
SMENTITA ANCORA UNA VOLTA LA LEGGENDA NERA DELL'EVANGELIZZAZIONE DELL'AMERICA
I missionari spagnoli nelle Americhe furono una benedizione del Signore con buona pace dell'ideologia woke e dell'attivismo stile Black Lives Matter
di Mauro Faverzani
Il ruolo svolto dai missionari spagnoli nelle Americhe? Una benedizione del Signore con buona pace dell'ideologia woke, delle sue teorie false e fuorvianti e dell'attivismo stile Black Lives Matter.
È quanto emerso con chiarezza dalla tavola rotonda sul tema «La prima globalizzazione a partire dal Vangelo», svolta nei giorni scorsi dalla facoltà di Teologia dell'Università ecclesiastica «San Damaso» di Madrid. Il prof. Andrés Martínez, docente di Storia della Chiesa presso lo stesso ateneo, non ha dubbi: non si è trattato di «conquista», bensì di opera di «evangelizzazione» di quei territori d'Oltreoceano. Benché dubbi siano stati sollevati circa la genuinità delle intenzioni di re Ferdinando II detto «il Cattolico», mosso, secondo alcuni storici, più da motivi economici che religiosi, «sappiamo con certezza - ha proseguito il docente - come, nella mente di Isabella la Cattolica, vi fosse un progetto sicuramente di evangelizzazione», come si evince da quanto scritto nel suo testamento, dove riconosce pari dignità ai suoi sudditi dalla parte opposta del mondo, nonché dalla bolla di papa Alessandro VI, che dava ai monarchi cattolici diritto di conquista a condizione che evangelizzassero.
L'EVANGELIZZAZIONE ERA IL MOTIVO PRINCIPALE
«C'è stato chi ha detto che l'evangelizzazione fosse solo una scusa», ha dichiarato la professoressa Maria Saavedra, docente di Storia presso l'Università CEU San Paolo di Madrid, ma non fu così e, francamente, si è detta anche un po' «annoiata» da questa sorta di "leggenda nera", fugata, pur tra luci e ombre, dai buoni e positivi frutti ottenuti proprio grazie alla presenza missionaria spagnola. Quali frutti? I numeri parlano chiaro: mille ospedali, trenta università, un numero incalcolabile di scuole e molte confraternite sono le cifre incontestabili di autentiche e concrete opere di misericordia quotidiana. Secondo la professoressa Saavedra, di fatto, «i sovrani cattolici avviarono per la prima volta nella Storia una vera politica indigenista», riconoscendo subito agli indios lo status di sudditi della Corona di Castiglia. Si stima che, all'epoca, 20 mila missionari spagnoli, tra sacerdoti secolari e religiosi, fecero di tutto per annunciare Cristo ovunque, rispettando sempre la popolazione locale, le sue tradizioni ed il suo patrimonio linguistico e culturale, mai eliminato ma sempre documentato e, ad oggi, conservato proprio grazie al materiale prezioso raccolto dagli uomini di Chiesa, il che ha consentito il sorgere e lo svilupparsi della scienza etnografica. «Non vi fu alcun etnocidio - ha proseguito la professoressa Saavedra - in quanto le realtà culturali non sono state cancellate. Si è verificato un processo di transculturazione, durante il quale i cattolici hanno accettato e valorizzato il buono di quelle culture, rifiutando solo quanto risultasse incompatibile col Vangelo, come il cannibalismo o la magia» oppure i sacrifici umani. Non a caso l'America plasmata dagli spagnoli è la sola area del Continente a vantare ancora oggi una popolazione a maggioranza indigena o meticcia, altro che sterminio!
L'IDEOLOGIA WOKE E I MOVIMENTI INDIGENISTI
La professoressa Pilar Gordillo, storica dell'arte e delegata per fede e cultura dell'Arcidiocesi di Toledo, ha evidenziato come l'ideologia Woke si opponga per principio a tutto quanto sia stato fatto dalla "cultura bianca", diffamandola ed accusandola persino di aver distrutto le culture indigene, il che è totalmente falso, come mostrano i documenti originali dell'epoca, che comprovano come i...Tue, 24 Jan 2023 - 43 - Il battesimo di Clodoveo nel 496 cambia la storia d'Europa
VIDEO: Clodoveo ➜ https://www.youtube.com/watch?v=qB293nyWv88
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IL BATTESIMO DI CLODOVEO NEL 496 CAMBIA LA STORIA D'EUROPA
Oltre a convertire i barbari, la Chiesa doveva renderli capaci di sviluppare una grande civiltà. Tale era il piano divino e a questo scopo Essa aveva bisogno di un potente aiuto, di una spada che prendesse le sue difese, di un guardiano che preservasse i suoi diritti dalle aggressioni, di un potere secolare che fosse garante della sua indipendenza e le assicurasse, nel nuovo ordine di cose, una certa sovranità temporale diventatale più indispensabile che mai. Insomma, per assecondare l'azione della Chiesa, era necessario un popolo che unisse la rettitudine dell'animo, il carattere energico, il potere delle armi, un alto spirito di proselitismo e un ardore cavalleresco e cristiano per la causa della religione.
Questo popolo stava per comparire e inaugurare una missione che per 14 secoli sarebbe stata consacrata dalla famosa formula: "Gesta Dei per francos". I franchi, uno dei popoli barbari, avrebbero avuto questa missione provvidenziale.
Al contrario della maggioranza dei germani, che aveva abbracciato l'arianesimo, i franchi erano ancora pagani. Dall'anno 481 era alla loro testa un grande guerriero, Clodoveo, che nel 493 aveva sposato una nipote del Re dei burgundi, la principessa Clotilde. Il Re dei burgundi aveva assassinato tutta la famiglia di Clotilde (rimanendo così solo a governare), odiata dalla sua coscienza e dalla sua fede, che erano ariane come tutta la corte dei burgundi. Clotilde, infatti, era cattolica fervente e aveva sofferto la persecuzione degli ariani fanatici, temprando così le virtù che la dovevano sostenere nella sua grande missione.
Divenuta sposa di Clodoveo, ella seppe presto conquistare il cuore del barbaro per mezzo della sua dolcezza e santità e, a poco a poco, riuscì a moderare le feroci abitudini di Clodoveo. Ella gli parlava spesso della inutilità degli idoli e della grandezza e soavità della religione cristiana, così come della speranza nell'eternità ad essa congiunta.
Clodoveo, per quanto abbagliato, non voleva darsi per vinto. L'influenza di Clotilde era comunque tale che egli permise il battesimo del suo figlio primogenito; la creatura però morì e Clodoveo rimproverò aspramente la sua sposa attribuendo la morte del bambino alla collera degli dei. Tuttavia l'amore per Clotilde fece sì che ella riuscisse a far battezzare anche il secondo figlio. Ma quando, come il primo, anche questo bambino cadde gravemente malato, la collera del Re esplose in modo terribile. Iddio, che voleva mettere alla prova per l'ultima volta la fede della sposa, guarì miracolosamente la creaturina per le preghiere della madre: Clodoveo rimase profondamente impressionato da questo fatto.
Poco dopo, nel 496, un altro popolo barbaro, quello degli alemanni, attraversò il Reno. Clodoveo ingaggiò battaglia contro esso vicino a Colonia, nella pianura di Tolbiac. Nel cuore della battaglia l'esercito di Clodoveo sbanda, la vittoria gli sfugge ed egli stesso è sul punto di cadere in potere dei suoi nemici; in quel momento gli tornano alla memoria gli insegnamenti di Clotilde. "Dio di Clotilde - grida a tutto petto - dammi la vittoria e non avrò altro Dio all'infuori di te!"; pochi istanti dopo l'esito della battaglia si rovescia, gli alemanni sono presi dal terrore, retrocedono, fuggono e quelli che non vengono uccisi si arrendono.
Clodoveo mantenne il suo giuramento di rozzo, ma forte e lealissimo uomo naturale. Dopo Tolbiac, egli accettò di essere istruito nella fede da due santi vescovi (uno dei quali era il famoso S. Remigio, vescovo di Reims).
Un episodio, avvenuto nel corso...Wed, 21 Dec 2022 - 42 - Cinquant'anni fa le martellate sulla Pietà di Michelangelo
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CINQUANT'ANNI FA LE MARTELLATE SULLA PIETA' DI MICHELANGELO di Valerio Pece
Alle undici e mezza del mattino del 21 maggio 1972, un uomo si fa largo tra la folla di pellegrini, schiva cinque guardie, si arrampica sulla balaustra e al grido di «sono Gesù Cristo!» e sferra dodici colpi di martello sulla Pietà di Michelangelo. Il suo nome è Laszlo Toth, geologo australiano di origini ungheresi. I colpi mandano totalmente in frantumi il braccio sinistro della Vergine e scheggiano gravemente il naso, l'occhio sinistro e il velo.
Quel giorno di 50 anni fa il mondo puntò gli occhi sul gruppo scultoreo posto all'inizio della navata destra della basilica di San Pietro. Prima di essere ricoperta da un drappo, poco dopo le 14, la Pietà venne visitata da Papa Paolo VI. Dal New York Times si legge che il Pontefice bresciano «apparve nella Cappella della Pietà per ispezionare i danni. Si inginocchiò brevemente per pregare davanti alla scultura vandalizzata. Poi indossò gli occhiali mormorando con un'espressione più seria del solito: "Sono gravissimi anche i danni morali"». Le cronache raccontano che dopo aver benedetto in silenzio la folla radunata davanti alla cappella, Paolo VI fece collocare davanti alla Pietà il mazzo di rose bianche e gialle che gli era stato donato quella mattina, domenica di Pentecoste.
UN RESTAURO PERFETTO
Il restauro della scultura realizzata a ridosso del giubileo del 1500 - quando il cardinale Jean Bilhères commissionò al giovane Buonarroti «una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio» - diede risultati insperati. I timori iniziali degli esperti erano più che fondati: le martellate inferte avevano fatto cadere una cinquantina di frammenti più o meno grandi, alcuni completamente polverizzati, come quelli della palpebra sinistra. L'asso nella manica, per quella che all'epoca molti consideravano un'impresa impossibile, fu il calco di gesso dell'opera, realizzata nel 1933 e conservato nei Musei Vaticani. Fu grazie all'utilizzo di quella copia dimenticata che l'équipe di restauratori (tutti italiani) poté ottenere le matrici per realizzare le parti mancanti. Sebbene a distanza ravvicinata può intravedersi un leggerissimo ingiallimento rispetto al marmo dell'opera (il timore era che, con l'invecchiamento naturale del marmo, le protesi sarebbero saltate all'occhio in maniera molto più evidente), a distanza di 50 anni il restauro continua a regalare all'opera un aspetto assolutamente omogeneo.
Laszlo Toth, capelli lunghi e barba rossiccia, dopo di versi minuti di violenza inaudita, fu prima bloccato da un vigile del fuoco, quindi immediatamente arrestato. Sandro Barbagallo, curatore delle collezioni storiche dei Musei Vaticani, per spiegare il ritardo con cui l'autore del gesto fu fermato, ha riferito con candido realismo che «i fedeli erano sotto shock, tanto che nessuno capì realmente cosa stesse succedendo». L'entità dei crimini commessi avrebbe dovuto portare ad una reclusione di nove anni. I giudici, però, ritennero Toth infermo di mente, così, dopo due anni passati in un manicomio italiano, il geologo con brama d'artista fu trasferito in Australia. Da allora se ne sono perse le tracce.
Il suo nome, però, sopravvive ancora, specie in certi ambienti artistici di area radicale, in cui Toth viene evocato come un innovatore. Donald Novello, attore e regista italo-americano (noto per aver creato la figura di padre Guido Sarducci, uno dei personaggi più longevi del Saturday Night Live) ha intitolato un suo libro Le lettere di Laszlo. Ken Friedman, compositore americano, ha scritto un oratorio musicale in onore di Laszlo Toth. Esiste perfino una Scuola d'arte, la Laszlo Toth School of Art, che elogia «l'artista del martello», il quale - si legge sul sito - «ha modellato alcune sculture popolari di Michelangelo a una...Tue, 21 Jun 2022 - 40 - Il vero motivo dell'affondamento del Titanic furono le bestemmie sullo scafo
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IL VERO MOTIVO DELL'AFFONDAMENTO DEL TITANIC FURONO LE BESTEMMIE SULLO SCAFO
Tra le centinaia di operai che lavoravano alla costruzione di quel colosso, alcuni, per dispetto ai loro compagni cattolici, avevano scritto sulla carcassa della nave bestemmie e scherzi sacrileghi, ad esempio: Nemmeno Cristo potrà farti colare a picco
da I Tre Sentieri
Il 10 aprile 1912 il grande e lussuoso transatlantico Titanic partiva da Southampton alla volta di New York. Aveva a bordo 2201 passeggeri più l'equipaggio. Era il primo e ultimo viaggio.
La Domenica in Albis, nella notte tra il 14 e il 15 aprile, mentre si trovava a 300 miglia (555 km) a sud-est di terranova e a metà della traversata, urtò improvvisamente contro un iceberg. Erano le 23,40. L'urto non risvegliò neppure i viaggiatori addormentati, ma la nave era colpita a morte. In dieci secondi l'iceberg aprì una breccia di 100 metri (un terzo della lunghezza totale al di sotto della linea di immersione). Si lanciarono l'S.O.S. e dei razzi mentre l'orchestra di bordo continuava a suonare musica da ballo.
L'acqua montava raggiungendo le caldaie e la stiva. Si decise di mettere in acqua i 16 canotti di salvataggio e le 4 zattere. All'una di notte la prua si inabissava. Poco dopo tutta la parte anteriore veniva sommersa. Seicentosessanta persone presero opposto nelle imbarcazioni di salvataggio. Scene terribili di spavento e di follia si verificarono.
Millecinquecento passeggeri rimasero a bordo. Si pensò di invocare l'Onnipotente. L'orchestra accompagnò il canto, divenuto poi celebre in tutto il mondo: "Più vicino a Te, mio Dio... Più vicino a Te". Altri passeggeri in ginocchio sul ponte inclinato pregavano con fervore. Poi fu l'oscurità completa. La prima ciminiera si spezzava e rotolava in mare trascinando parecchi naufraghi. Dopo due minuti (ore 2,20) l'enorme transatlantico, orgoglio della marina mercantile britannica, colava a picco. Le vittime furono 1750, i superstiti 711.
Ed ecco alcuni precedenti venuti alla luce quando si faceva l'inchiesta. Tra le centinaia di operai che lavoravano alla costruzione di quel colosso, alcuni, per dispetto ai loro compagni cattolici, avevano scritto sulla carcassa della nave bestemmie e scherzi sacrileghi: "Nemmeno Cristo potrà farti colare a picco". Al di sopra della linea di immersione in lettere enormi si leggeva: "No God, no pope" (Né Dio, né Papa) e dall'altra parte: "Né la terra né il cielo possono inghiottirci".
Benché fossero state coperte dalla vernice, parecchie di queste iscrizioni non tardarono a riapparire, anzi un impiegato cattolico del Titanic, che le aveva viste, scrisse ai suoi parenti di Dublino in una lettera che essi conservarono come reliquia: "Sono persuaso che la nave non arriverà in America a causa delle scritte blasfeme che ricoprono i suoi fianchi." Le parole "No God, no pope" furono letteralmente tagliate a metà dall'iceberg che attaccò la linea di immersione dove erano scritte. Queste medesime affermazioni blasfeme furono poi ripetute dal comandante della nave Smith durante l'ultimo pranzo. Poco dopo egli stesso pagava con la vita la sua empia temerarietà.
È stato osservato che la bestemmia è più diffusa tra i popoli che hanno più vivo il senso religioso: fenomeno piscologico spiegabile. Quando nella vita domina il pensiero della Divinità che tutto governa, è spontaneo nel momento che le cose vanno male, dapprima lamentarsi con Dio, poi arrivare ad ingiuriarlo come se Egli fosse la causa dei nostri mali. Il bestemmiatore faccia appello al vero buon senso, risvegli la sua fede sopita e la liberi dalle incrostazioni dell'errore.
Allora non troverà difficile sostituire l'espressione blasfema, l'imprecazione a Dio, che equivale ad una invocazione di maledizione su di sé, con l'invocazione filiale per la ricerca di aiuto...Tue, 12 Apr 2022 - 39 - La storia dei dittatori maniaci e pervertiti
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DITTATORI MANIACI E PERVERTITI: MUSSOLINI, HITLER, STALIN...
Mussolini donnaiolo maniacale, Togliatti doppio anche nei tradimenti e negli aborti, Hitler bisessuale e sadomasochista, Stalin pedofilo per carnose minorenni
di Francesco Agnoli
Riscuote sempre più interesse la vita privata dei grandi personaggi storici, in particolare dei dittatori del XX secolo. Le loro vite sono state indagate in lungo e in largo, quanto al pensiero, le scelte politiche ecc. Da tempo godono di notevole successo anche le indagini sulla vita privata ed affettiva, in particolare di Mussolini ed Hitler (meno "fortunato", invece, Stalin).
MUSSOLINI DONNAIOLO
La nostra Italia è stata segnata per molti anni dall'attività politica di Benito Mussolini, prima leader socialista, acclamato a sinistra per il suo anticlericalismo e zelo rivoluzionario, e poi fascista.
La vita sentimentale di Mussolini è abbastanza nota: da giovane è un teorico del "libero amore", contrario al matrimonio ed ai figli (traduce un opuscolo neomalthusiano dal titolo Meno figli, meno schiavi), vicino al femminismo di sinistra. Prima di essere il duce, frequenta bordelli, gestisce anche 3 o 4 relazioni contemporaneamente, disinteressandosi dei figli che ne nascono: per loro c'è il manicomio, come per il figlio avuto da Ida Dalser, l'abbandono, oppure ancora il ricorso all'aborto, come nel caso di uno dei due figli avuti dalla giovanissima Bianca Ceccato, sua giovanissima segretaria personale al Popolo d'Italia.
Storici come Mimmo Franzinelli, autore de Il duce e le donne. Avventure e passioni extraconiugali di Mussolini (Mondadori, Milano, 2013), ed Antonio Spinosa, che ha scritto I figli del duce (Rizzoli, Milano, 1983), hanno indagato la storia di alcune delle amanti del duce, dalle ebree socialiste Angelica Balabanoff e Margherita Sarfatti a Ida Dalser, Leda Rafanelli (esperta di cartomanzia e Corano), Giulia Mattavelli... sino, per brevità, a Claretta Petacci.
Roberto Festorazzi riassume così il tutto: "la consumazione vorace di carne femminile fu una costante della sua vita", insieme all'uso di droghe, "in funzione di stimolante sessuale" (Roberto Festorazzi, Margherita Sarfatti. La donna che inventò Mussolini, Colla editore, Vicenza, 2010). La frequentazione giovanile dei bordelli porta Mussolini a considerare il sesso la sua "ossessione" (teme anche, a lungo, di aver contratto la sifilide), tanto che il medico Pierluigi Baima Bollone non esita a descrivere il duce come un "maniaco sessuale" (Pierluigi Baima Bollone, La psicologia di Mussolini).
Sappiamo che il duce del fascismo - che si inseriva in un filone libertario che andava dal "libero amore" della sinistra all'esaltazione, a destra, dei rapporti "rapidi e disinvolti" dei futuristi, della "coppia aperta" e dell'omosessualità dei fiumani e di Gabriele D'Annunzio- avrebbe anche voluto introdurre il divorzio, ma si fermò per evitare un'ulteriore occasione di scontro con la Chiesa cattolica.
All'indomani della consultazione referendaria sul divorzio del 1974, l'ex ministro degli Esteri e Guardasigilli fascista Dino Grandi esprimerà al giornalista Benny Lai la sua soddisfazione per l'esito, spiegandogli che si era giunti finalmente a quello che anche lui e Mussolini avrebbero voluto, tanti anni prima: "Mussolini pretendeva che la Santa Sede, la quale aveva rafforzato la sua stretta neutralità dopo l'intervento dell'Italia in guerra, si schierasse a favore delle potenze dell'Asse. A sua volta Hitler insisteva, con la sua nota stupidità, che l'Italia rompesse con la Santa Sede. A quel tempo... toccava a me provvedere alla redazione del nuovo codice civile. Ebbene, ricevetti ordini perentori da Mussolini di stendere gli articoli relativi al matrimonio in modo che fossero in contrasto all'articolo 34 del...Tue, 21 Sep 2021 - 38 - La Spagna torna al terribile clima che causò la guerra civile nel 1936-1939
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6701
LA SPAGNA TORNA AL TERRIBILE CLIMA CHE CAUSO' LA GUERRA CIVILE DEL 1936-1939 di José Miguel Oriol
Negli ultimi anni del regime di Francisco Franco divenne sempre più chiaro che i ministri e i deputati delle Cortes franchiste favorevoli all'evoluzione verso un sistema democratico si sarebbero imposti su quelli che propugnavano un'impossibile continuazione del regime uscito dalla Guerra civile del 1936-1939. Morto Franco nel novembre 1975, dodici mesi più tardi l'immensa maggioranza del popolo spagnolo (il 94,17 per cento) approvò per via referendaria la riforma politica proposta dai governanti per stabilire una nuova legalità a partire da quella precedente: «de la Ley a la Ley» fu lo slogan della cosiddetta Transizione.
Uno dei fattori fondamentali di quest'ultima fu la restaurazione della monarchia costituzionale nella persona di Juan Carlos I, nipote di Alfonso XIII, il re deposto nel 1931. La costituzione della Spagna come monarchia, dopo la parentesi aperta dalla Seconda Repubblica, fu una decisione del regime franchista nel 1947. E nel 1969 Franco designò il principe Juan Carlos come suo successore dopo la sua morte.
Elemento essenziale del processo di transizione fra i due regimi fu la ley de Amnistia dell'ottobre 1977, promulgata per spianare la strada alla riconciliazione nazionale attraverso la cancellazione di tutti i delitti di natura politica commessi dai giorni della Guerra civile fino a quel momento, inclusi i crimini più recenti compiuti dall'Eta e da altre formazioni terroristiche di minore importanza.
UNA TRANQUILLITÀ SOLO APPARENTE
Così trascorsero tranquillamente tre decenni dal punto di vista giuridico, mentre al contrario dal punto di vista ideologico e culturale la sinistra non cessò la sua campagna di demonizzazione della fazione nazionalista. In forza di ciò si procedette a una graduale eliminazione di monumenti e riferimenti pubblici a persone e fatti connessi a tale fazione, mentre nello stesso tempo si rendeva omaggio alla fazione repubblicana.
Il Partito popolare, sempre timoroso di essere accusato di filo-franchismo, non si è mai opposto a questi provvedimenti che hanno finito per minare lo spirito della Transizione e della Costituzione del 1978. Anzi, ha collaborato ad essi: un caso di particolare importanza è stata la mozione di condanna dell'insurrezione del 18 luglio 1936 (l'"alzamiento" di Franco, ndt) approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati il 20 novembre 2002, quando governava con la maggioranza assoluta José María Aznar. Quella delegittimazione del regime franchista non è stata accompagnata, tuttavia, né da una parallela delegittimazione del colpo di Stato socialista dell'ottobre 1934, antecedente fondamentale della Guerra civile, né da quella della deriva bolscevica del regime repubblicano, che affogò la Spagna nel caos a partire dalle elezioni vinte coi brogli dal Fronte popolare nel febbraio 1936.
Con l'arrivo al potere del socialista José Luis Rodríguez Zapatero nel marzo del 2004, dopo i sanguinosi attentati jihadisti di Madrid, il processo ha subìto un'accelerazione: una delle sue prime decisioni al riguardo è stata la demolizione della statua equestre di Franco che si trovava insieme a quelle dei dirigenti socialisti Indalecio Prieto e Francisco Largo Caballero presso Nuevos Ministerios, complesso di edifici governativi a Madrid. Le statue dei due leader socialisti rimangono invece in piedi, nonostante siano stati dei golpisti come Franco in forza del sanguinoso tentativo rivoluzionario del 1934.
IL CAUDILLO NON ERA IL FÜHRER
L'ossessione della sinistra spagnola per le statue di Franco e per altri riferimenti al suo regime è stata giustificata attraverso il paragone con la Germania e con l'Italia. Il ragionamento è il seguente: se ogni ricordo dei regimi di...Tue, 07 Sep 2021 - 37 - I musei della tortura contengono solo dei falsi (che l'inquisizione non ha mai usato)
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6679
I MUSEI DELLA TORTURA CONTENGONO SOLO DEI FALSI (CHE L'INQUISIZIONE NON HA MAI USATO) di Gabriele Campagnano
In Italia, e nel mondo, esistono numerosi musei della tortura. Spesso fanno gioco sulle leggende nere che riguardano il medioevo e l'inquisizione (che in realtà è un fenomeno fortemente rinascimentale). Questi musei, che in Italia sono un franchising di proprietà della "Inquisizione srl" (non è uno scherzo), mostrano ai turisti un innumerevole numero di "strumenti di tortura". Peccato nessuno di questi sopravviva a una valutazione storica. Essenzialmente, esclusi gli strumenti di condanna capitale, gli altri sono tutti falsi storici del XVII e XIX secolo. Alcuni sono famosissimi come la "Vergine di ferro" o "Vergine di Norimberga" da cui prende il nome il gruppo "Iron Maiden", altri sono meno conosciuti ma altrettanto falsi.
Gli strumenti di tortura medievale, specie quelli attribuiti all'Inquisizione - senza neanche specificare di quale Inquisizione si tratti - suscitano da sempre un interesse profondo, a volte morboso, da parte del grande pubblico. Molti di voi hanno visitato i musei della tortura e ci hanno chiesto quale sia la veridicità o verosimiglianza storica degli oggetti esposti. La risposta è abbastanza semplice: si tratta di oggetti senza alcun valore storico che appestano diverse città italiane e, incredibile dictu, riescono a ottenere patrocini regionali, del FAI e addirittura di ONG piuttosto famose. Un'affermazione tranciante, ma pienamente giustificata alla luce di quanto leggerete qui sotto.
Il primo dato che accende sincera meraviglia è l'assoluta mancanza di testimonianze archeologiche o documentali sui mezzi di tortura che vediamo esposti nei numerosissimi "musei della tortura". Quasi tutti hanno didascalie che ne spiegano l'uso da parte dell'Inquisizione Romana o di altri tribunali inquisitori, quindi ci si aspetterebbe, ad esempio, di trovare almeno una menzione della Vergine di Norimberga o della Forcella dell'Eretico nel "Philippi a Limborch Historia inquisitionis" [...] scritto da Philippus van Limborch nel 1692, un teologo protestante fortemente critico della Chiesa. Oppure di scoprire, tra le pagine di A history of the Inquisition of the Middle Ages, redatto dallo storico statunitense Henry Charles Lea e pubblicato a partire dal 1887, una breve trattazione della Pear of Anguish. E invece niente, [...] così come in altre decine di volumi da noi visionati, non c'è traccia di questi strumenti. Si rende quindi necessaria un'analisi dei singoli strumenti.
1) LA VERGINE DI NORIMBERGA
La Vergine di Norimberga ha suscitato le più sfrenate fantasie della cultura di massa, ancora di più della Pear of Anguish, ed è presente in qualsiasi museo della tortura in Italia e all'estero. Spacciata come strumento medievale, è stata in realtà creata solo nel XIX secolo, realizzata su commissione di gentiluomini europei con il gusto per il "finto medioevo gotico", fatto di inquisitori con il cappuccio, streghe formose e un enorme quantitativo di violenza e atrocità gratuite. Il castello di Otranto, di Horace Walpole, pubblicato nel 1764, è stato forse il romanzo che più di ogni altro ha dato una spinta a questo gusto, protrattosi fino all'epoca vittoriana.
Tornando alla Vergine, il franchise "Museo della Tortura" la descrive così: "La storia della tortura ricorda molti congegni che operavano col principio del sarcofago antropomorfo a due ante e con aculei all'interno che penetravano, con la chiusura delle ante, nel corpo della vittima. L'esempio più famoso è la cosiddetta "Vergine di Ferro" [die eiserne Jungfrau] del castello di Norimberga, distrutta dai bombardamenti del 1944".
In realtà, anche quella andata distrutta nel 1944 era una contraffazione ottocentesca, probabilmente del 1830-40. Ma andiamo con ordine.Wed, 11 Aug 2021 - 36 - La Prima Guerra Mondiale fu il suicidio dell'Europa
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6660
LA PRIMA GUERRA MONDIALE FU IL SUICIDIO DELL'EUROPA di Roberto de Mattei
Nella storia dei conflitti che hanno sempre accompagnato le vicende umane, la Prima Guerra Mondiale occupa un posto centrale, non solo per l'estensione planetaria e il numero spaventoso delle vittime, ben nove milioni, ma soprattutto per la novità e l'intensità dell'odio tra i popoli che essa accumulò nelle trincee contrapposte. Lo storico francese Jean de Viguerie (Les deux patries. Essai historique sur l'idée de patrie en France, Parigi 1998) mostra come alla dottrina tradizionale della "guerra giusta", per sua natura difensiva, si sostituisce nel '14-'18, una nuova concezione della guerra, offensiva, totale, incessante, che ha le sue radici nella Rivoluzione Francese. Il primo conflitto mondiale fu, in questo senso, una continuazione dell'appello alle armi lanciato l'11 luglio 1792, quando l'Assemblea Nazionale dichiarò "la Patria in pericolo".
È con la Rivoluzione Francese che nasce la parola d'ordine di "annientare il nemico", interno ed esterno, come avvenne con le "colonne infernali" che tra il 1793 e il 1794 sterminarono gli insorti della Vandea. Al concetto tradizionale di "Patria", radicato in un luogo concreto e in una precisa memoria storica, se ne sovrappone, nel XVIII secolo, uno nuovo, associato all'idea dei diritti dell'uomo. La "patria filosofica" degli illuministi è divinizzata fino a divenire un Moloch che autorizza qualsiasi sacrificio.
La continuità ideologica tra la Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione Francese fu teorizzata dagli interventisti, che presentarono il conflitto come una rivoluzione tesa ad instaurare in Europa la "democrazia universale". La "grande guerra" fu - secondo un altro grande storico, l'ungherese François Fejtö - un conflitto ideologico di massa, che ebbe lo scopo di «repubblicanizzare e de-cattolicizzare l'Europa» e compiere, a livello nazionale e internazionale, l'opera interrotta della Rivoluzione Francese (Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico, tr. it. Mondadori, Milano 1994, pagg. 316-333).
L'Austria-Ungheria, da cui ancora emanavano i bagliori del Sacro Romano Impero medioevale, rappresentava il principale ostacolo al progresso dell'umanità. Attraverso la distruzione dell'Impero austriaco, l'obiettivo di un circolo ristretto di uomini politici affiliati alla Massoneria fu, sottolinea Fejtö, quello «di estirpare dall'Europa le ultime vestigia del clericalismo e del monarchismo». Abbeverandosi a queste fonti ideologiche, l'interventismo rivoluzionario vedeva nella guerra il compimento della modernità ossia l'ultima fase di un processo culturale che avrebbe definitivamente liberato l'Europa dagli ultimi residui dell'oscurantismo.
L'esito della guerra del ‘14-'18 fu, di fatto, la "repubblicanizzazione" dell'Europa. Lo storico inglese Niall Ferguson, autore di un'altra opera capitale sul conflitto, ricorda che alla vigilia della guerra discendenti e altri parenti della Regina Vittoria erano seduti sui Troni non solo di Gran Bretagna e Irlanda, ma anche di Austria-Ungheria, Russia, Germania, Belgio, Romania, Grecia e Bulgaria. In Europa solo Svizzera, Francia e Portogallo erano già Repubbliche. «Nonostante le rivalità imperiali della diplomazia prebellica, i rapporti personali tra gli stessi Monarchi erano rimasti cordiali, persino amichevoli: la corrispondenza tra "George", "Willy" e "Nicky", testimonia il protrarsi dell'esistenza di un'élite reale cosmopolita e poliglotta con un certo senso dell'interesse comune» (La Verità taciuta. La prima guerra mondiale: il più grande errore della storia moderna, tr. it. Milano 2002, pag. 559).
La carta postbellica dell'Europa vide l'emergere di Repubbliche in Russia, Germania, Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia e nei tre Stati baltici,...Tue, 27 Jul 2021 - 35 - Sai perchè in Francia i rivoluzionari volevano distruggere gli orologi?
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SAI PERCHE' IN FRANCIA I RIVOLUZIONARI VOLEVANO DISTRUGGERE GLI OROLOGI? di Roberto de Mattei
"Santificare il momento presente". È quanto ci invita a fare il canonico Pierre Feige (1857-1947) nel trattato spirituale appena pubblicato dalle Edizioni Fiducia. "Santificare il momento presente - spiega questo autore - è concentrare sopra questo momento, il solo che ci appartiene, tutta la nostra attività, tutta la nostra buona volontà, per passarlo il più santamente possibile, senza preoccuparci inutilmente del passato che non esiste più, né del futuro che non è nostro."
Questo prezioso consiglio spirituale ci spinge ad una riflessione di carattere filosofico sul concetto di tempo, perché è sulla linea del tempo che si situa il momento presente, tra un passato che non c'è più e un futuro che non c'è ancora.
Sant'Agostino, nelle Confessioni, con la penetrazione psicologica che gli è propria, ha spiegato che delle tre fasi in cui si divide il tempo: passato, presente e futuro, l'unica di cui si può dire che esiste è il presente, perché il passato, non è più e il futuro non è ancora. Passato e futuro posseggono la loro esistenza solo grazie al presente, che conserva il passato e anticipa il futuro. Ciò avviene grazie alle facoltà conoscitive dell'uomo: la memoria, che trattiene il passato e la previsione che anticipa il futuro. Pertanto il tempo non esiste al di fuori dell'uomo, bensì soltanto nell'uomo: "È nella nostra mente che si trovano in qualche modo questi tre tempi, mentre altrove non li vedo: il presente del passato vale a dire la memoria, il presente del presente vale a dire l'intuizione, e il presente del futuro vale a dire l'attesa" (Confessioni, 11, 20).
San Tommaso condivide la tesi di sant'Agostino, ma aggiunge che oltre al tempo soggettivo, che esiste nella nostra coscienza, esiste un tempo oggettivo, radicato nel divenire delle cose. Dio infatti, quando ha creato l'universo, ha anche creato il tempo e lo spazio. Se ci fosse un universo senza tempo e senza spazio che lo limiti, questo universo illimitato coinciderebbe con Dio stesso e si cadrebbe nel panteismo. Il panteismo caratterizza chi nega Dio, ma attribuisce alla materia creata i caratteri della divinità, trasformandola, ad esempio, nella dea Gaia degli ecologi.
Il tempo e lo spazio hanno dunque una loro esistenza oggettiva: sono i limiti di ogni essere creato. E il tempo, come già aveva compreso Aristotele, è la durata delle cose mutevoli, la misura del divenire, secondo il prima e il dopo (Fisica, 219 b 1). Il tempo, conferma san Tommaso, è una proprietà di tutte le realtà corporee, le quali sono necessariamente soggette al cambiamento, alla generazione e alla corruzione. Gli eventi sono nel tempo come i corpi fisici sono nello spazio. Il tempo esiste perché esiste il divenire e il divenire delle cose esiste perché esiste Dio.
Il demonio e suoi seguaci, che odiano Dio e vogliono disfare la creazione per riportare l'universo all'abisso del nulla da cui Dio lo ha tratto, vorrebbero distruggere, se possibile, il tempo e lo spazio. La "società aperta" di George Soros è una società senza tempo, cioè senza memoria e senza spazio, cioè senza frontiere fisiche e geografiche: una società liquida, un ammasso caotico in cui tutto si confonde, tutto diviene e nulla è.
È in questa prospettiva che possiamo spiegare un gesto apparentemente folle che suscitò l'interesse del filosofo tedesco Walter Benjamin: la distruzione degli orologi nelle due rivoluzioni di Parigi del 1830 e del 1871: la Rivoluzione di luglio e quella della cosiddetta Comune.
Una distruzione che è un gesto più radicale ancora di quello stravolgimento del tempo che fu il calendario rivoluzionario in vigore in Francia dal 1793 al 1806.
Nel 1793 si cercò di creare un "tempo nuovo", nel 1830 e nel 1871...Wed, 21 Jul 2021 - 34 - Per capire la donazione di Costantino va conosciuta la donazione di Sutri
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PER CAPIRE LA (FALSA) DONAZIONE DI COSTANTINO VA CONOSCIUTA LA (VERA) DONAZIONE DI SUTRI
Per Donazione di Sutri si intende la cessione effettuata nel 728 dal sovrano longobardo Liutprando a papa Gregorio II, di alcuni castelli del Ducato romano importanti per la difesa di Roma, il maggiore dei quali era quello di Sutri. Fu la prima delle due restituzioni per donationis titulo effettuate da Liutprando alla Chiesa di Roma. La seconda si ebbe nel 743.
Dopo essere stato eletto re dei Longobardi (712), Liutprando, re di un popolo divenuto ormai cattolico, si trovò a fronteggiare una serie di problemi quali il forte potere delle principali famiglie dell'aristocrazia e la minaccia di secessione di alcuni grandi ducati; tra questi in particolare i ducati di Spoleto e di Benevento, costituenti la Langobardia Minor, di fatto autonomi dal potere centrale e separati dal resto del regno dal Corridoio bizantino, che attraversava tutta l'Italia centrale dal Tirreno (Roma) all'Adriatico (Ravenna).
A tal proposito iniziò dunque una politica di rafforzamento del potere centrale. Mentre, in una prima fase, cercò l'appoggio di parte del mondo ecclesiastico e romano, in seguito, una volta scoppiata la disputa iconoclasta si volse contro l'impero bizantino, tentando la conquista di quei territori che dividevano in due tronconi il regno. Liutprando seppe cogliere il momento propizio quando nei territori italiani governati dai bizantini si diffuse lo sdegno per l'appoggio dell'imperatore Leone III Isaurico al movimento iconoclasta. La sua campagna militare iniziò appunto da quei territori che dividevano in due la Langobardia, cioè l'area del Ducato romano.
Quando il papa capì le intenzioni dei Longobardi - i quali erano probabilmente decisi a conquistare la stessa Roma - si sentì direttamente in pericolo, in quanto da molti anni l'impero bizantino aveva cessato di intervenire militarmente in favore di Roma, spendendo le proprie energie per difendere la sola Ravenna, capitale dell'Esarcato. Il corso degli eventi prese una direzione diversa da quella annunciata (la possibile presa di Roma) quando, nel 728, i Longobardi conquistarono la fortezza di Narni, centro strategico lungo la via Flaminia. Persa la via Flaminia, i bizantini concentrarono tutte le loro difese sulla via Amerina, unica altra strada romana che, partendo da Roma, attraversa l'Umbria e il Piceno.
A presidiare la via Amerina vi erano le fortezze di Todi, Amelia ed Orte. Più a sud, i castra di Bomarzo, Sutri e Blera erano a salvaguardia della via Cassia. Papa Gregorio II (715-731) si rivolse direttamente a re Liutprando chiedendogli di rinunciare ai territori già conquistati e di restituirli all'esarca bizantino cioè al legittimo possessore. Liutprando, che nel frattempo era riuscito ad ottenere la sottomissione dei duchi "ribelli" di Spoleto e Benevento, invece donò il castrum di Sutri al pontefice, con un gesto di grande significato simbolico.
IL SIGNIFICATO POLITICO DELLA DONAZIONE
A partire almeno dal VI secolo, con papa Gregorio I (romano di nascita) la Chiesa era stata costretta suo malgrado a sostituirsi all'amministrazione bizantina provvedendo al vettovagliamento della popolazione dell'Urbe e dei dintorni. La popolazione era stata colpita da carestie e pestilenze, che si succedettero ripetutamente in quel periodo. In effetti già papa Leone I nel V secolo dovette sopperire con le istituzioni caritatevoli alla sensibile diminuzione delle pubbliche elargizioni seguite alle occupazioni dei Barbari. Dovendo far fronte all'assenza dell'intervento dell'Imperatore di Costantinopoli, legittimo sovrano, e dell'Esarca di Ravenna, ai quali ripetutamente e invano aveva fatto ricorso per ottenere aiuti, il pontefice amministrò sotto la sua responsabilità l'Annona civile e militare, attingendo...Tue, 06 Jul 2021 - 33 - Il cristianesimo feconda la società, senza compromessi col potere politico
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IL CRISTIANESIMO FECONDA LA SOCIETA', SENZA COMPROMESSI CON IL POTERE POLITICO di Corrado Gnerre
Il 13 giugno del 313 venne promulgato l'Editto di Milano. Costantino I il Grande (imperatore dal 306 al 337) adottò verso il Cristianesimo una politica negli anni sempre più favorevole. In una lettera agli orientali del 324 arrivò al punto di esortare i sudditi ad abbracciare il Cristianesimo. Fu particolarmente preoccupato di preservare l'unità della Chiesa, come dimostrano i suoi interventi nella controversia sul donatismo nel 312 e, soprattutto, la convocazione del Concilio di Nicea nel 325 per condannare l'arianesimo. Ovvero quella eresia che negava la natura divina, accanto a quella umana, di Gesù. La stessa fondazione di Costantinopoli, nel sito dell'antica Bisanzio, avvenuta nel 326, si spiega, oltre che per ragioni strategiche, con l'intenzione da parte di Costantino di disporre di una capitale sottratta ad ogni tradizione pagana.
Una delle accuse più frequenti che si fanno al Cattolicesimo è quella di essersi nei secoli troppo compromesso con il potere politico. E il punto discriminante sarebbe proprio Costantino. Si dice - soprattutto da parte protestante, ma non solo - che fino a Costantino la Chiesa fu, bene o male, fedele al suo mandato, ma poi sarebbe divenuta una sorta di instrumentum regni, cioè un vero e proprio strumento del potere politico. Davvero le cose sono andate in questo modo? Tutt'altro. In realtà Costantino non fu altro che uno strumento della Provvidenza, uno strumento che ebbe il merito di capire l'essenza vera del Cristianesimo.
Il Cristianesimo non è affatto alternativo al mondo in quanto realtà creata da governare ed organizzare. Certo, il "mondo", insieme al "diavolo" e alla "carne" sono i tre nemici del cristiano, ma in questo caso il "mondo" deve intendersi non come realtà creata, che di per sé è "cosa buona" (Genesi 1), quanto come ambizione di potere e tentativo di trovare la propria realizzazione e la propria felicità unicamente su questa terra.
Ci sono almeno quattro motivi alla base di questa "attenzione" del Cristianesimo nei confronti della società:
1) La fede nel peccato originale.
2) La concezione cristiana dell'uomo.
3) Il Mistero dell'Incarnazione.
4) La libertà di giudizio come esito dell'autonomia politica ed economica.
1) LA FEDE NEL PECCATO ORIGINALE
Prima di tutto la fede nel peccato originale. Questa fede è stata da sempre l'antidoto ad ogni deriva utopistica del Cristianesimo stesso. Ragioniamo. Se Adamo ed Eva, pur vivendo nella società migliore possibile (il paradiso terrestre), peccarono, vuol dire che l'uomo è sempre chiamato nella sua libertà a decidere di essere buono o cattivo. Certo, un'influenza della società c'è. Non si può negare che da una famiglia moralmente sana più facilmente usciranno dei figli bravi, così da una società virtuosa che riconosce ciò che è bene e condanna ciò che è male, più facilmente si potrà conquistare il paradiso. D'altronde Pio XII ebbe a dire: "Dalla santità delle strutture politiche dipende la salvezza degli uomini." Ma non c'è nessun determinismo, ogni uomo singolarmente è chiamato ad essere buono o cattivo. Ebbene, proprio il rifiuto costitutivo di ogni utopia, fa sì che il Cristianesimo, realisticamente, ponga attenzione alla società, non con la pretesa di crearne una perfetta, ma con la convinzione della necessità che essa sia orientata verso il bene, che sappia salvaguardare il bene comune, che possa difendere chi non ha la possibilità di difendersi... ciò perché il male non potrà mai essere eliminato dalla terra se non alla fine dei tempi.
2) LA CONCEZIONE CRISTIANA DELL'UOMO
Il secondo motivo è la concezione cristiana dell'uomo (l'antropologia cristiana). Il Cristianesimo dice che l'uomo è formato da...Tue, 22 Jun 2021 - 32 - Il cristianesimo non può che essere romano
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IL CRISTIANESIMO NON PUO' CHE ESSERE ROMANO
La romanità è un giudizio culturale e un criterio di civiltà che è stato (ed è ancora) importantissimo.
Attenzione, importantissimo non solo per la civiltà occidentale in genere, ma anche per il Cristianesimo stesso, per la sua diffusione e quindi per il suo essere fondamento della civiltà occidentale.
San Francesco Saverio è un santo straordinario: da solo partì per le Indie per portare il Vangelo. Partì senza nulla, solo con la ricchezza della propria Grazia e della propria Fede. Un vero gigante della santità. Eppure quali sono stati i risultati della sua missione? Certamente tante conversioni, certamente il grandissimo suo esempio che ammiriamo e che ci edifica ancora adesso... ma l'Oriente e l'Estremo Oriente, purtroppo, sono rimasti culturalmente e numericamente non cristiani.
Quali invece sono stati i risultati dei vari san Patrizio, san Bonifacio, san Colombano che hanno evangelizzato il Nord Europa? Di fatto quelle terre sono diventate sia culturalmente sia numericamente cristiane.
Possiamo, pertanto, concludere che san Patrizio, san Bonifacio e san Colombano erano più santi di san Francesco Saverio? Ovviamente no. E allora dov'è la spiegazione? È nel fatto che mentre san Francesco Saverio trovò un "terreno" poco predisposto ad accogliere il Vangelo, non fu così per coloro che evangelizzarono le terre del Nord Europa.
San Francesco Saverio trovò delle terre in cui era pressoché assente la dimensione della libertà individuale e quindi la stessa consapevolezza dell'alterità tra l'individuo e il tutto. D'altronde il fondamento filosofico della religiosità orientale ed estremo-orientale è il monismo panteistico in cui non c'è spazio per la realtà individuale.
Chi invece evangelizzò l'Europa trovò un "terreno" già predisposto per l'annuncio evangelico, un "terreno" già dissodato. Da cosa? Dal diritto romano.
Certamente, nel mondo antico ancora non vi era un vero e proprio concetto di persona, ma è indubbio come nel diritto romano già vi fosse la dimensione dell'alterità tra individuo e istituzione statuale, che servirà non poco a far accettare il Cristianesimo con il suo costitutivo riconoscimento della sostanza ontologica della persona umana, della sua individualità e dei suoi inalienabili diritti.
Dante Alighieri, che con la sua Commedia sintetizza tutto il pensiero medievale, lo dice: è vero che l'Impero romano ha perseguitato i primi cristiani, ma è pur vero che esso non solo è stato criterio di civiltà, ma ha svolto anche un ruolo provvidenziale per la diffusione del Cristianesimo stesso.
Si pensi a quanto gli apostoli e i loro successori si siano avvantaggiati di un'unificazione politica, culturale e linguistica, date appunto dalla romanità.
Ma Dante giustamente va oltre il dato storico del ruolo provvidenziale che la romanità e poi l'Impero romano avrebbero avuto per il raggiungimento della civiltà cristiana, dice anche che il futuro della cristianità non può che essere nella conservazione anche della sua romanità. In Paradiso Dante dialoga con una grande aquila formata da tante anime beate.
D'altronde fu questo il senso provvidenziale di quella fatidica notte del Natale dell'anno 800 in cui proprio a Roma, per volere del Papa e di un grande re come Carlo Magno, nacque quello che non a caso si chiamò il Sacro Romano Impero.
Sacro Romano Impero voluto appunto dalla Provvidenza.
Per chi crede che la storia non è solo un succedersi di avvenimenti senza significato o di fatti che casualmente si succedono, bensì l'azione della volontà di Dio che si serve della libera collaborazione dell'uomo, allora anche certe coincidenze non possono non avere un significato.
Come mai l'Impero Romano inizia con un Romolo e finisce con un altro Romolo (Romolo...Tue, 01 Jun 2021 - 31 - Storia dell'infinita guerra arabo-israeliana
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STORIA DELLA INFINITA GUERRA ARABO-ISRAELIANA di Luca Della Torre Uno dei rischi più gravi che minano le relazioni internazionali politiche di questo avvio di millennio è l'opera di dis-informazione e mistificazione dei fatti della Storia che, come nella Fattoria degli animali di George Orwell, mira ad instaurare un sistema di pensiero unico totalitario in nome di un'ipocrita distorsione dei concetti di libertà e di democrazia.
La guerra arabo-israeliana ce ne offre un esempio ed è necessario ripristinare i recinti di una verità storica e di una interpretazione storiografica che non si lasci appannare la mente dai tentacoli ideologici che i mass-media propinano al lettore con doloso opportunismo.
I violenti scontri armati che divampano in tutto Israele e nelle Striscia di Gaza sono nati per il minacciato sfratto di famiglie palestinesi da parte dei proprietari ebraici di abitazioni nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, il cui suolo fu acquistato già nel lontano 1870 da sudditi ebrei dell'Impero ottomano. La propaganda ideologico-religiosa di tutto il mondo arabo ed islamico - perennemente litigioso ed in conflitto nel proprio seno tra fedi sunnita e sciita, arabi ed iraniani, organizzazioni terroristiche istituzionalizzate come Hamas e Hezbollah, monarchie assolute e populismi totalitari della Fratellanza Musulmana - si è immediatamente ricompattata in un refrain che a livello di cancellerie internazionali, UE ed ONU, è tristemente noto: Israele è uno Stato che si macchia di crimini contro l'umanità e deve essere sottoposto alla macchina della giustizia penale internazionale.
Dalla striscia di Gaza, sotto il governo del movimento terroristico di Hamas (si consideri che la stessa mitissima Unione europea ha da anni riconosciuto come terrorista l'organizzazione politica palestinese che amministra Gaza) piovono migliaia di razzi - più di millecinquecento ad oggi - sul territorio di Israele; il leader turco Erdogan, autentica palla al piede della diplomazia NATO in quanto promotore della aggressiva strategia politica neo-ottomana pan-turanista e pan-islamica, definisce pubblicamente gli Ebrei «terroristi senza pietà»; la Guida Suprema del regime teocratico sciita iraniano Khamenei dichiara che Israele non è un Paese, ma un rifiuto della storia, e come tale va eliminato dalla faccia della terra. In sostanza, l'intera Jihad islamica - quel filone di pensiero politico religioso da cui sono sorte tutte le cellule terroristiche che hanno seminato il sangue in Europa in questi anni - si è ricompattata e mobilitata contro il diritto di Israele ad essere riconosciuto e tutelato nella sua esistenza ed integrità territoriale come previsto dai pilastri giuridici del diritto internazionale, artt.2, 42, 51, 55 dello Statuto dell'ONU.
ALCUNI PUNTI FERMI
Alla luce di questo quadro drammatico, è bene che alcuni punti fermi - sotto il profilo storico-giuridico del diritto e delle relazioni internazionali - siano rammentati e puntualizzati.
Nel 1948, dopo che l'Onu stabilisce concordemente con la Risoluzione 181 la partizione della Palestina - per secoli parte del territorio dell'Impero ottomano - in due Stati sovrani (con l'assenso unanime sia degli USA che dell'URSS, sia dei Paesi occidentali che di quelli della Cortina di Ferro, dell'Africa e del Sud America, con la sola eccezione dei membri della Lega Araba), gli Stati arabi violano il patto internazionale ONU, e attaccano le forze ebraiche, che nonostante l'inferiorità numerica salvano i territori assegnati al popolo ebraico e costituiscono lo Stato di Israele. Nel corso di quel primo conflitto gli Arabi si resero responsabili di crimini perseguibili dal Diritto Internazionale umanitario e dei conflitti armati: gli storici ben conoscono le vicende della deportazione dei cittadini ebrei...Tue, 25 May 2021 - 30 - L'epidemia raccontata nei Promessi Sposi
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L'EPIDEMIA RACCONTATA NEI PROMESSI SPOSI di Domenico Lalli
Negli anni in cui furono ambientati I Promessi Sposi, il capolavoro di Alessandro Manzoni, l'Europa e l'Italia furono flagellate da un'epidemia inarrestabile, nota come peste bubbonica, un triste e tragico tributo pagato alla Guerra dei Trent'anni. Il protofisico (una sorta di ministro della Sanità) Lodovico Settala, che ne sapeva qualcosa per aver curato gli appestati nella precedente epidemia del 1576, fu il primo a dare l'allarme.
Nel 1630 sembra sia stata portata a Milano da un soldato italiano al servizio della Spagna. Colpì varie zone del Settentrione, il Granducato di Toscana, la Repubblica di Lucca e la Svizzera, con oltre un milione di morti. Si propagò e flagellò la popolazione in maniera virulenta e spietata, forse anche perché vi furono inizialmente errori e negligenze, a partire dal governatore Ambrogio Spinola - che non se ne preoccupò affatto, preso in faccende di guerra -, da molti medici, così come dalle varie classi sociali quali nobili, mercanti e plebei, che, con toni beffardi, increduli e, a volta violenti, si scagliarono contro i provvedimenti presi dal tribunale della Sanità (bruciar robe, mandar famiglie al lazzeretto, ecc.), considerando i due medici, che ne facevano parte, impostori e nemici della patria.
Ma quando il male cominciò a propagarsi senza pietà, mietendo migliaia di morti, non si negò più il contagio, ma lo si attribuì ad arti venefiche e ad operazioni diaboliche, come fosse opera di una congiura: «Cominciarono a farsi frequenti le malattie, le morti con accedenti strani, di spasimi, di palpitazioni, di letargo, di delirio, con quelle insegne funeste di lividi e di bubboni, morti per lo più celeri, violente, repentine, senza alcun indizio antecedente di malattia», come si legge nel cap. XXXI de I promessi sposi. Panico ed isteria, insieme a pregiudizi, cominciarono a serpeggiare sempre più diffusamente. Vennero aggrediti molti innocenti per sfogare dolore e disperazione, da menti ormai ottenebrate dall'ignoranza: «Era il povero senno umano - spiega ancora Manzoni - che cozzava co' i fantasmi creati da sé». Sfilano davanti al lettore tanti personaggi di questo piccolo mondo.
Una povera infelice viene torturata e bruciata come strega, dietro un «deplorevole consulto» del protofisico Settala; un vecchio, più che ottantenne, massacrato dalla folla perché scambiato per untore; i monatti, incaricati della raccolta dei malati e dei morti, reclutati tra la peggior feccia cittadina, cinici, volgari, maledetti, che diventano arbitri di ogni cosa; brindano e ridono sguaiatamente sui carri che trasportano i cadaveri.[...]
Una sequela di scene raccapriccianti di dolore, di morte: ovunque fetore di cadaveri, desolazione, case serrate e strade deserte, in un progressivo imbarbarimento delle menti e dei costumi. In un parossismo senza fine si arrivava a sospettare degli stessi familiari, tanto che Manzoni scrisse, in maniera lapidaria e con sottile ironia, una verità che vale in ogni tempo e per ogni circostanza: «Il buon senso c'è, ma se ne sta nascosto, per paura del senso comune»!
La peste non fece sconti nemmeno ad un signorotto mosso da scellerata prepotenza quale don Rodrigo, immoto su un materasso, con occhi spalancati ma senza sguardo, abbandonato anche dal «fedel Griso»; forse solo negli ultimi istanti, capì ch'era un flagello permesso da Dio per richiamare gli uomini, ed anche lui, al pensiero dell'altra vita. È il prologo del dramma. Negli anni immediatamente successivi al contagio vennero costruiti diversi edifici religiosi per celebrarne la fine: cappelle votive e, fra le chiese, la più nota fu certamente la Basilica di Santa Maria della Salute a Venezia.
È proprio dall'intreccio di avvenimenti realmente accaduti e di trame romanzesche,...Tue, 25 May 2021 - 29 - Finalmente gli Stati Uniti riconoscono il genocidio degli armeni
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FINALMENTE GLI STATI UNITI RICONOSCONO IL GENOCIDIO ARMENO di Luca Della Torre
Lo scorso 24 aprile, il governo degli USA ha finalmente riconosciuto ufficialmente il genocidio del popolo armeno costato la vita a un milione e mezzo di cristiani sterminati con un piano normativo studiato a tavolino e realizzato con criminale determinazione dal governo ottomano musulmano turco tra il 1915 ed il 1917.
Gli Stati Uniti si uniscono così ai 29 Paesi che nel mondo riconoscono che le efferate persecuzioni perpetrate con ferocia dalla Turchia durante la Prima Guerra Mondiale contro l'intero popolo di fede cristiana ed etnia armena rientrino a pieno titolo nella fattispecie di crimine penale internazionale di genocidio, come previsto dalla Convenzione ONU del 1948: 29 Stati sono ancora molto pochi in verità, rispetto ai 194 Stati membri dell'ONU.
La decisione degli USA avrà ovviamente una ricaduta storica, politica e giuridica di portata internazionale nei confronti del tanto discusso alleato NATO, il regime islamico-nazionalista turco di Recep Taiyp Erdogan, che viene inchiodato alle sue precise responsabilità in tema di negazionismo sul genocidio armeno cristiano.
Gli elementi storiografici che hanno portato a maturazione i processi per il riconoscimento di questo tragico capitolo nella storia della persecuzione alla fede cristiana sono dati dalla scoperta e pubblicazione nelle università USA del carteggio istituzionale di uno dei tre membri del Triumvirato che governò la Turchia ottomana durante la Prima Guerra Mondiale, il ministro Talat Pasha. In questi documenti si individuano le prove dei decreti, ordinanze, provvedimenti amministrativi finalizzati al massacro degli armeni.
LA STRAGE DI UN MILIONE E MEZZO DI ARMENI
A partire dall'aprile del 1915, il governo del Sultano turco in guerra contro le potenze alleate, pianifica a livello legale, militare un programma mirato alla eliminazione totale dal territorio ottomano della popolazione armena - cittadini turchi a tutti gli effetti ma di fede religiosa cristiana e non islamica e di gruppo etnico non turcomanno - attraverso arresti, massacri, stupri, deportazioni di massa, tra cui le celebri "marce della morte" verso i deserti della Mesopotamia. Le famiglie vengono smembrate, separando i genitori dai figli che vengono affidati in schiavitù a tribù curde dell'Impero ottomano; la legge di sicurezza per la deportazione ed espropriazione dispone la liquidazione dei beni dei cittadini armeni per miliardi di Euro attuali.
Il frutto tragico di questa strategia porterà alla eliminazione fisica intenzionale di più di un milione e mezzo di armeni, alla luce dei più attendibili dati scientificamente assunti dalla comunità scientifica internazionale.
La repressione dei cristiani armeni nell'Impero ottomano era cominciata in verità diversi anni prima. Già alla fine dell'Ottocento, nel momento in cui all'interno dell'Impero ottomano la vivace intraprendente minoranza cristiana si era organizzata per ribellarsi alle condizioni anacronistiche di "dimmithudine" (la sottomissione giuridica a discriminazioni dei diritti di libertà, politici, economici, praticate dai sistemi politici islamici verso le minoranze religiose cristiane in Medio Oriente da secoli) l'esercito turco si era già mobilitato.
Gli storici armeni di quel periodo evidenziano che i militari di Costantinopoli uccisero con ferocia, nei quindici anni compresi fra il 1894 e il 1909, circa 200 mila persone. Uno sterminio, dunque, partito già dagli ultimi sultani, in particolare da Adbul Hamid II, che governò fino al 1909, e poi dal governo dei Giovani Turchi.
Oggi la battaglia sul riconoscimento del genocidio riguarda più aspetti nell'ambito delle relazioni internazionali e della geopolitica: almeno tre.
In primo luogo la...Wed, 05 May 2021 - 28 - I francescani che hanno combattuto per Cristo
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I FRANCESCANI CHE HANNO COMBATTUTO PER CRISTO di Roberto de Mattei
I serafini sono il primo coro della gerarchia angelica, gli angeli più vicini al trono divino, dove cantano incessantemente la gloria di Dio. Lo spirito serafico è un ardente amore di Dio che si esprime però in quello spirito di pace, tranquillità e letizia che ha caratterizzato soprattutto san Francesco, il "padre serafico" per eccellenza e i suoi discepoli.
Lo spirito serafico che caratterizza la Chiesa trionfante, non è in contrasto con lo spirito guerriero che caratterizza la Chiesa militante. La vita del cristiano infatti è lotta. Il combattimento cristiano, è prima di tutto un atteggiamento spirituale, che comprende la possibilità della guerra giusta e perfino della "guerra santa".
Questi concetti vengono riportati alla luce da un bel volume, di cui consiglio la lettura, che ha per titolo: Guerrieri serafici. [...]
I due autori ricompongono un binomio troppo a lungo separato nell'ultimo mezzo secolo: la guerra e la santità. Si tratta di una raccolta di racconti di pace e di guerra, non fantasiosi, ma autentici. Le storie dei "guerrieri serafici" sono rigorosamente basate sui documenti, anche se presentate nella maniera avvincente che si addice ai romanzi. Alla fine di ogni racconto, il lettore trova una nota bibliografica che gli permette di controllare e approfondire le vicende narrate.
Si parte dall'incontro di san Francesco d'Assisi, con il sultano Al Khamil, durante la Quinta Crociata. I due sacerdoti, basandosi sulle fonti francescane, ricostruiscono il colloquio tra Francesco e il Sultano, che rimase profondamente colpito dal coraggio con cui il santo di Assisi lo invitava alla conversione. La milizia serafica era di ordine spirituale, ma Francesco era un santo dal cuore guerriero e l'impegno costante dei francescani nelle crociate - dal XIII al XVII secolo - si colloca interamente sulla scia dello spirito del Fondatore.
Un cuore altrettanto forte mostrò santa Chiara, che fece fronte all'assalto dei saraceni al convento di San Damiano ad Assisi nel 1239.
Contro i musulmani giganteggiano poi san Giovanni da Capestrano, condottiero a settant'anni dell'esercito cristiano a Belgrado (1456), e il padre Anselmo da Pietramelara, il cappuccino che con forza soprannaturale salvò la nave ammiraglia pontificia a Lepanto (1571). Singolare e affascinante è la figura di padre Angelo di Joyeuse, che uscì dal chiostro per salvare la Francia dagli Ugonotti. Egli era, al secolo, il duca Enrico di Joyeuse, un valoroso gentiluomo della corte di Enrico III, sposato con la virtuosa Catherine de Nogaret de La Valette, figlia del duca di Epernon. Quando la moglie morì prematuramente, Enrico voltò le spalle al mondo ed entrò in un convento di cappuccini, con il nome di padre Angelo. Qualche anno dopo, mentre la Francia era insanguinata dalla guerra religiosa, la Lega cattolica si trovò senza un capo. Ci si rivolse a lui: nessuno, quanto l' ex-duca di Joyeuse, aveva tanta autorità e conoscenza dell'arte di militare e di governo. Un breve del papa Innocenzo IX, che autorizzava il cappuccino ad uscire dal convento, sciolse i suoi ultimi dubbi. Padre Angelo divenne il capo della Lega Cattolica, combatté, vinse, negoziò l'accordo con Enrico IV, fu creato maresciallo e Pari di Francia, e infine, nel 1599, ritornò nel suo convento. Ebbe fama di grande predicatore e direttore spirituale e morì il 28 settembre 1608 a Rivoli.
Grazie a un altro cappuccino, san Lorenzo da Brindisi, nell'ottobre del 1601 la vittoria contro i Turchi arrise alle forze cristiane ad Albareale, città fortificata nella bassa Ungheria, dove erano incoronati i sovrani magiari. Cappuccino fu anche il beato Marco d'Aviano, che animò e guidò i combattenti cristiani nella liberazione di Vienna del 1686.
Meno...Tue, 27 Apr 2021 - 27 - Il medioevo esaltava ovunque la bellezza
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IL MEDIOEVO ESALTAVA OVUNQUE LA BELLEZZA
I medievali non avrebbero mai concepito l'idea del museo perché la bellezza è necessaria e non può essere separata dalla vita reale e quotidiana (DOPPIO VIDEO: Il duomo di Siena e l'importanza della donna)
di Corrado Gnerre
I medievali non solo amavano la bellezza, ma la ritenevano in un certo qual modo necessaria. Pensiamo alle cattedrali gotiche. Le guglie venivano fatte benissimo fino alla cima, adornate di disegni e di decorazioni che nessun uomo avrebbe mai potuto ammirare, ma solo viste da Dio e... dai piccioni.
Un particolare, questo, che solitamente non viene messo in risalto, ma che è di grande importanza per capire come i medievali intendessero la bellezza. Per loro, infatti, la bellezza non era qualcosa che necessitava di esser vista, ma qualcosa che necessitava e basta. Ci spieghiamo meglio. I medievali non pensavano che a dover decidere se la bellezza fosse tale o meno dovesse essere il giudizio dell'uomo, ma che la bellezza fosse tale in quanto bellezza, indipendentemente dall'osservazione e dal giudizio dell'uomo.
Questa mentalità si coglie anche in un altro elemento: i medievali non avrebbero mai concepito l'idea del "museo", che invece, non a caso, nacque con il razionalismo del XVIII secolo. La bellezza - pensava l'uomo medievale - è talmente necessaria che deve essere nella realtà, nella vita, non può essere separata dalla quotidianità, bensì in un certo qual modo deve "informare" (nel senso letterale di "dare forma") l'esistere di ognuno.
Alla base dell'idea moderna di "museo" vi è invece la convinzione che la bellezza sia un prodotto di una particolare elaborazione intellettuale del soggetto, un'elaborazione pensata partendo da un distacco dalla vita, come se il vero artista dovesse necessariamente alienarsi, staccarsi, emanciparsi dal vivere per immergersi in una sorta di delirio dell'immaginazione in cui la costruzione puramente intellettuale svolgerebbe un ruolo non solo protagonistico ma anche esclusivo. Insomma, l'arte staccata dal vivere quotidiano, relegata in una sorta di "riserva" per farsi vedere e sottoporsi ad un giudizio di un'élite.
Insomma, nella cristianità medioevale vi era l'obbligo di fare cose belle; anche le cose utili dovevano essere belle; e la stessa bellezza aveva una sua utilità.
E a proposito di quanto si pretendesse che le cose venissero fatte bene non tanto per gli altri, né tantomeno per se stessi, ma per la bellezza in sé, il poeta Charles Peguy, nel suo Il denaro, ci ha lasciato queste belle parole: "Abbiamo conosciuto un onore del lavoro identico a quello che nel Medio Evo governava le braccia e i cuori. Proprio lo stesso, conservato intatto nell'intimo. Abbiamo conosciuto l'accuratezza spinta sino alla perfezione, compatta nell'insieme, compatta nel più minuto dettaglio... Ho veduto, durante la mia infanzia, impagliare seggiole con lo stesso identico spirito, e col medesimo cuore, con i quali quel popolo aveva scolpito le proprie cattedrali... La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso... Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé in sé nella sua stessa natura." E Van Loon, celebre storico delle idee, scrive nel suo famoso Le arti: "(...) un francese o un italiano del Duecento o del Trecento avrebbe scosso il capo perplesso, se qualcuno avesse espresso seri dubbi circa l'utilità di esser circondati da cose belle." San Tommaso d'Aquino -colui che è il vertice del pensiero medioevale- scrive: "(...) belle sono le cose , anche fatte bene dall'uomo, che, anche soltanto viste e sentite, comunque cognite, danno gioia." E già sant'Agostino aveva sentenziato nel De musica: "Che altro si può amare se non le cose belle?"Thu, 25 Mar 2021 - 26 - I documenti provano che Gesù è nato il 25 dicembre
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I DOCUMENTI PROVANO CHE GESU' E' NATO IL 25 DICEMBRE
di Luca Del Pozzo
Padre Antonio Spadaro, intervenendo sul Fatto quotidiano del 1° dicembre a proposito della Messa di Natale, osserva che ciò che conta a livello simbolico non è «l'orario esatto - che sia la mezzanotte o qualunque altra ora - ma il fatto che si celebri quando non c'è luce, quando è buio. E questo proprio per rendere evidente il senso simbolico della festa. Tuttavia la Messa non è la "Messa di mezzanotte", ma "della notte". Se si comprende il ragionamento, si comprende pure che la celebrazione della notte che dovesse svolgersi quando è buio, ma in un orario precedente alla mezzanotte, non fa di certo "nascere" Gesù in anticipo».
Tutto giusto. A patto però di non ridurre la celebrazione del Natale ad un qualcosa di meramente simbolico. E questo perché con buona pace del "fastidio" di san Clemente Alessandrino citato in apertura da padre Spadaro, oggi possiamo affermare che la festa, anzi la solennità del Natale ha un fondamento storico sicuro. Che poi questo al semplice credente importi poco o nulla ai fini di ciò che il Natale significa, può anche essere. Ma, intanto, è tutto da dimostrare che le cose stiano effettivamente così; inoltre, e cosa più importante, in questa come in altre occasioni bisogna fare attenzione a maneggiare con estrema cura la materia del contendere onde evitare di far passare il messaggio - caro a certa esegesi che fin troppi danni ha fatto avendo voluto distinguere tra il "Gesù della storia" e il "Cristo della fede" - che il cristianesimo sia ultimamente basato sull'aria fritta, che non abbia cioè alcun fondamento storico. Il che, tanto per essere chiari, è falso.
IL CULTO PAGANO DEL NATALIS SOLIS INVICTI
Tornando al Natale, la vulgata - confermata dallo stesso padre Spadaro - vuole che tale festa fosse in origine un culto pagano, quello del Natalis Solis Invicti, che cadendo in coincidenza col solstizio d'inverno celebrava la nascita del nuovo corso solare. Solo in seguito la Chiesa sostituì il culto pagano del sole nascente con la festa della nascita del nuovo sole dell'umanità, cioè Gesù. Questa, ridotta all'osso, la "storia" del Natale che ci è stata insegnata.
In realtà, come documentò per primo il grande liturgista Tommaso Federici che ne scrisse sull'Osservatore Romano alla vigilia di Natale del 1998, le cose stanno diversamente; ed oggi, anche grazie ai documenti di Qumran, è possibile affermare che Gesù nacque realmente un 25 dicembre. La scoperta si deve soprattutto ai lavori di due specialisti, Annie Jaubert e Shemariahu Talmon. In breve: se Gesù è nato il 25 dicembre, il concepimento deve essere avvenuto, ovviamente, nove mesi prima. E non a caso il calendario cristiano pone al 25 marzo l'Annunciazione a Maria. E l'evangelista Luca ci dice anche che giusto sei mesi prima era stato concepito Giovanni Battista, il precursore. Quel concepimento, che non viene ricordato nella Chiesa d'Occidente, le antiche Chiese d'Oriente lo celebrano solennemente tra il 23 e il 25 settembre, appunto sei mesi prima dell'Annunciazione a Maria.
Ci sarebbe dunque una successione di date logica, e in effetti è giusto dal concepimento di Giovanni che bisogna partire. Il Vangelo di Luca si apre con la storia di Zaccaria ed Elisabetta, ormai rassegnata alla sterilità. Sempre da Luca sappiamo che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia, e che quando ebbe l'apparizione «officiava nel turno della sua classe». Ora si ha che i sacerdoti nell'antico Israele erano divisi in ventiquattro classi le quali, dandosi il turno con una cadenza fissa, prestavano servizio liturgico nel tempio per una settimana, due volte l'anno. Si sapeva anche che la classe di Zaccaria, quella di Abia, nell'elenco ufficiale era l'ottava, senza conoscere però quando...Wed, 23 Dec 2020 - 25 - Muore Sean Connery... Si torna a parlare de Il nome della rosa
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MUORE SEAN CONNERY... SI TORNA A PARLARE DE IL NOME DELLA ROSA
Il celebre romanzo di Umberto Eco è ideologico, anticattolico e storicamente falso
di Corrado Gnerre
In occasione della morte del celebre attore Sean Connery, si è tornati a parlare de Il nome della rosa, il celebre romanzo di Umberto Eco. Se ne è tornato a parlare perché la sua traduzione filmica del 1986 vide come interprete del protagonista (fra Guglielmo di Baskerville) proprio il celebre attore scozzese.
Va ricordato che il celebre romanzo di Umberto Eco (1932-2016) non è affatto un romanzo storicamente attendibile, ma solo spudoratamente (consentiteci questo avverbio) "ideologico". Un'ideologia del peggiore, anticattolico, neo-illuminismo.
Il nome della rosa può essere, al limite, considerato un romanzo storico, nel senso che alcuni suoi personaggi sono storicamente esistiti, ma non certo un romanzo storicamente attendibile.
Prima di tutto non lo è per come vengono raccontati certi personaggi realmente vissuti. Per esempio, il domenicano, inquisitore, Bernardo Gui (1261-1331) fu uomo colto, mite e clemente, tutt'altro da come viene descritto nel romanzo e soprattutto nel film del 1986.
Ma veniamo al dunque e vediamo di capire brevemente perché Il nome della rosa è un romanzo ideologico.
LA TRAMA
In un monastero benedettino avvengono degli omicidi. Per risolvere il mistero, l'abate chiama un frate francescano, Gugliemo di Baskerville (Baskerville, dal famoso "giallo" Il mastino di Baskerville della serie di Sherlock Holmes. Eco infatti era un ammiratore di sir Arthur Conan Doyle, il creatore del celebre detective).
Questi scopre che a morire sono monaci che nella biblioteca erano venuti in contatto con un misterioso libro imbevuto di veleno. In realtà, si trattava del secondo libro della Poetica di Aristotele, in cui il celebre filosofo parla positivamente della commedia e quindi dell'allegria.
L'assassino è il bibliotecario, un anziano monaco, chiamato venerabile Jorge, il quale decide di continuare a tenere all'oscuro il libro di Aristotele affinché non si alterasse l'immagine che il medioevo voleva dare del filosofo. Un immagine seriosa e oscurantista, compatibile con una cultura, come quella cattolico-medioevale, che sarebbe stata altrettanto seriosa e oscurantista, ovviamente secondo le convinzioni neo-illuministe.
Ci sono dunque due elementi molto importanti che dimostrano l'inattendibilità del romanzo. Il primo è la presunta avversione medievale verso l'allegria; il secondo l'intento censorio della cultura monastica.
AVVERSIONE VERSO L'ALLEGRIA E CENSURA DEI TESTI SCOMODI
Il medioevo sarebbe stata un'epoca "seriosa", intollerante nei confronti dell'allegria. Grande sciocchezza!
Se c'è stata un'epoca amante dell'allegria questa è stata appunto il medioevo. Ci sono tanti segni che lo dimostrano. Solo alcuni esempi.
I medievali aggiunsero ufficiosamente un ottavo peccato capitale: la tristitia. Avevano ben capito che il cristiano, malgrado le prove della vita, non può mai assecondare la tristezza.
I medievali avevano un atteggiamento positivo nei confronti della vita che dimostravano attraverso varie espressioni artistiche, fra cui anche l'amore per il forte contrasto cromatico che contraddistingueva i dipinti, le vetrate delle cattedrali, l'araldica, il vestiario, le miniature, ecc.
Nel medioevo il suicidio era pressoché inesistente.
Ma poi, a tagliare la testa al toro, come si suol dire, è ciò che scrive san Tommaso d'Aquino (1225-1274), massima espressione della filosofia e teologia di questo periodo, il quale nella II-II, questione 168, della Summa, citando sant'Ambrogio, dice che l'uomo equilibrato deve avere un volto sorridente. Se non è così, questi potrebbe nascondere un vizio.Thu, 05 Nov 2020 - 24 - A 150 anni dalla presa di Roma sono evidenti tutti i disastri del risorgimento
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A 150 ANNI DALLA PRESA DI ROMA SONO EVIDENTI TUTTI I DISASTRI DEL RISORGIMENTO di Angela Pellicciari
Oramai tanto tempo fa, ventidue anni per l'esattezza, pubblicavo Risorgimento da riscrivere, un testo che ha curiosamente avuto molto successo. Curiosamente è l'avverbio esatto. E non perché ritenga che i libri che ho scritto non siano documentati, seri, e quindi meritevoli di attenzione. Ma perché, vivendo in una società pervasa fin nei suoi più piccoli meandri dalle soffocanti maglie del pensiero liberal-massonico, era semplicemente impossibile che un libro sui "fatti" del risorgimento avesse successo.
D'altronde la sua stessa pubblicazione ha avuto del miracoloso: dopo aver bussato a tutte le porte, c'è voluto l'intervento di Padre Pio perché alla fine l'Ares si decidesse a pubblicare quello che è stato uno dei suoi più riusciti best seller.
Lo spiraglio che si è aperto per qualche tempo una ventina di anni fa, si è nel frattempo meticolosamente richiuso e le notizie che ho raccontato in tanti libri, oggi sono in pochi a ricordarsele. E' la vita. Lo stesso Meeting di Rimini, che tanta risonanza ha dato ai miei libri sul risorgimento, da qualche anno non solo ha taciuto ma si è accodato alla versione di sempre. Quella ribadita dallo stesso presidente della Repubblica Napolitano, accolto con molta benevolenza dai vertici del Meeting.
150 anni dalla presa di Roma? Sotto la presidenza Napolitano, all'epoca di Alemanno sindaco, sono stati restaurati sul Gianicolo i tanti busti dei protagonisti della repubblica romana del 1849. Cosa si celebra in quell'evento? L'aver messo la parola fine al potere temporale dei papi. Detto in altri termini, l'aver creduto di aver ucciso la religione cattolica: "Roma, la santa, l'Eterna Roma, ha parlato", scrive Mazzini in Per la proclamazione della Repubblica Romana. Cosa avrebbe detto Roma? "Roma non è dei Romani: Roma è dell'Italia: Roma è nostra perché noi siamo suoi. Roma è del Dovere, della Missione, dell'Avvenire". E quelli che non sono d'accordo? "I Romani che non lo intendono non sono degni del nome".
La libertà portata ai romani da Mazzini e dai carbonari è descritta da Pio IX nell'enciclica Quibus quantisque malorum compsta durante l'esilio di Gaeta, ma è anche raccontata dal futuro primo ministro Luigi Carlo Farini ne Lo stato romano dall'anno 1814 al 1850: "Fra gli inni di libertà, e gli augurii di fratellanza erano violati i domicilii, violate le proprietà; qual cittadino nella persona, qual era nella roba offeso, e le requisizioni dei metalli preziosi divenivano esca a ladronecci, e pretesto a rapinerie".
Se questo è stato l'inizio, il 20 settembre 1870 i massoni hanno continuato l'opera in piena e totale libertà.
Se siamo ancora vivi è perché Pio IX e tutto il popolo cristiano hanno obbedito al Vangelo e hanno alla lettera dato l'altra guancia.
TUTTI I NUMERI DI UN DISASTRO
L'unità d'Italia è stata realizzata dai Savoia in nome della monarchia costituzionale e dello stato liberale.
È successo l'esatto contrario: sono stati violati tutti i principali articoli dello Statuto, a cominciare dal primo che definisce la chiesa apostolica, cattolica, romana, unica religione di Stato:
- sono stati soppressi tutti gli ordini religiosi: a 57.492 persone è stata negata la possibilità di vivere come liberamente avevano scelto di fare;
- sono stati derubati tutti i beni degli ordini religiosi (chiese, conventi, terreni, compresi archivi, biblioteche, oggetti d'arte e di culto, paramenti);
- al momento dell'unificazione più di cento diocesi sono state lasciate senza vescovo;
- non c'è stata nessuna libertà di istruzione;
- non c'è stata nessuna libertà di stampa (è stata persino proibita la pubblicazione delle encicliche del papa);
- è stato infranto il...Tue, 22 Sep 2020 - 23 - Ai mondiali del 2006 l'Italia sconfisse la Francia... ma non era la prima volta
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6228
AI MONDIALI DEL 2006 L'ITALIA SCONFISSE LA FRANCIA... MA NON ERA LA PRIMA VOLTA
Diciamolo francamente i francesi sono cugini fino ad un certo punto. Si, tutto quello che volete: i nostri vicini, la somiglianza, la lingua neolatina, la passione per il vino e i formaggi, una cucina che non è molto differente dalla nostra (si fa per dire!). Sì, c'è tutto questo... ma i francesi sono francesi, e gli italiani sono italiani.
Ci è difficile sopportare quella prosopopea sciovinista con contorno di nasino all'insù. Così come loro non sopportano la nostra superiorità storica e culturale. Questa insopportazione ce l'hanno fino al midollo e l'hanno voluta trasmettere finanche ai più piccoli: la serie di Asterix e Obelix docet.
Calcisticamente non gli è andata sempre bene. Così come per noi. Nella finale degli Europei del 2000 gli azzurri di fatto dominarono, poi vennero beffati con il famoso golden gol di Trezeguet. Ma ci rifacemmo nella finale del Mondiale 2006. Accadde di fatto il contrario: i blues transalpini fecero più possesso palla e, anche senza Zidane (espulso), ce la fecero vedere brutta. Ma andò come andò e Fabio Grosso, di mestiere terzino fluidificante, divenne l'eroe nazionale.
Forse l'unico match in cui il dominio territoriale sortì effetto fu l'ottavo di finale nei Mondiali del Messico del 1986, quando la banda di Platini, Rochteau e Tigana ci dette una lezione non indifferente sul piano del gioco e del risultato: 2-0 senza nessuna attenuante!
Eppure tra le grandi sfide Italia-Francia ve ne è un'altra che arrise a nostro favore. Una bella lezione che va ben oltre la conquista di Cesare delle Gallie e la romanizzazione del Rodano.
Nel basso medioevo la Sorbona era il top del sistema universitario della cristianità. Allora il sistema universitario funzionava in un modo molto libero e poco burocratico. Gli studenti, beneficiando di un'unificazione linguistica accademica (il latino), seguivano i corsi che ritenevano più utili in diverse università dell'Europa. E nello stesso ateneo potevano decidere liberamente di seguire i corsi dei docenti che ritenevano più preparati. Ebbene, nel XIII secolo, alla Sorbona, i corsi più seguiti erano di due italiani, precisamente di un viterbese e di un ciociaro: San Bonaventura da Bagnoregio e san Tommaso d'Aquino... scusate se è poco. Ovvero, il vertice della scuola francescana e il vertice della scuola domenicana.
Costoro raccoglievano una tale quantità di studenti che ci fu chi pensò di farli fuori (accademicamente parlando, s'intende), proponendo che fosse bene per i regolari (cioè per coloro che appartenevano ad ordini religiosi) non insegnare per evitare che si distraessero dalla preghiera. Ma non ci fu nulla da fare, questi due italiani erano diventati troppo famosi e continuarono a "menare la danza" della docenza e ad affascinare filosoficamente. Se volessimo utilizzare un paragone calcistico (speriamo non irriverente) è come se in una stessa squadra vi fossero contemporaneamente un Maradona ed un Pelé.
San Bonaventura e san Tommaso... un bel colpo per lo sciovinismo transalpino!Tue, 04 Aug 2020 - 22 - Il conflitto tra Napoleone e Papa Pio VII
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IL CONFLITTO TRA NAPOLEONE E PAPA PIO VII di Alvaro Real
La Chiesa e i grandi poteri non hanno mai avuto ottimi rapporti. Lo Stato Pontificio è sempre stato un luogo di conflitto. Nel 1797 Pio VI venne arrestato e deportato da alcuni rivoluzionari in Francia, dove morì tre anni dopo. Anche Napoleone ha avuto i suoi conflitti con il Successore di Pietro.
Napoleone voleva estendere il proprio potere in tutta l'Europa, aspirava a creare un impero che non avesse fine e si vedeva come il grande imperatore onnipotente del continente europeo. Tutto doveva essere sotto il suo controllo e il suo potere, anche il nuovo papa, Pio VII.
All'inizio Napoleone voleva essere un alleato di Roma. Non voleva agire come i rivoluzionari, ma giungere a un accordo con lo Stato Pontificio. Venne firmato un concordato, con il quale si pensava di pacificare gli animi. Nonostante questo, Napoleone portò avanti i suoi piani. Per lui il pontificato era una semplice pedina della sua strategia militare.
VOLEVA UMILIARE PAPA PIO VII
La prima cosa che fece fu obbligarlo ad andare a Parigi alla sua incoronazione. [...] Ma perché Napoleone volle obbligare il papa ad assistere alla sua incoronazione? L'idea di Napoleone era trattenere il pontefice in Francia, ma desistette rendendosi conto che se il papa non fosse tornato i cardinali avrebbero pensato che aveva rinunciato e avrebbero eletto un nuovo pontefice. Fu la prima delle tensioni.
Nel 1806 Napoleone minacciò il papa quando la Gran Bretagna chiese al pontefice di astenersi davanti al blocco continentale alla Francia. "Sua Santità è sovrano di Roma, ma io sono l'imperatore; tutti i miei nemici devono essere i suoi", gli scrisse.
Nel 1808 le tensioni aumentarono. Le truppe dell'imperatore entrarono nella Città Eterna, e il papa si ritirò nel Quirinale. Napoleone riuscì ad annettere parte del territorio, ma voleva di più.
Nel 1809 decretò l'annessione del resto dei territori e lasciò che il pontefice restasse nella sua residenza di Roma. Pio VII eseguì la condanna più grave che si può verificare nella Chiesa e scomunicò l'imperatore. Alcuni diranno che non fu una scomunica perché non citava il nome del pontefice, ma non serviva. La bolla Quam memorandum era molto chiara: "scomunicava i ladri del patrimonio di San Pietro".
I rapporti finirono per rompersi, e Napoleone decise di arrestare il papa. Quando le truppe entrarono nel Quirinale, Pio VII non oppose resistenza. In quel momento il papa pronunciò la frase più famosa del suo pontificato. Gli venne chiesto se rinunciava allo Stato Pontificio e se ritirava la scomunica, ma la risposta fu netta: "Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo".
PIO VII, SERVO DI DIO
Venne portato a Savona, in un viaggio disumano con il quale Napoleone voleva continuare a umiliarlo. Cercò di far sì che il papa sostenesse la sua causa, ma Pio VII rifiutò i vescovi designati dall'imperatore e il suo divorzio e successivo matrimonio. Napoleone convocò un concilio a Parigi per umiliare ancor di più il pontefice, ma i vescovi appoggiarono Pio VII.
La tremenda storia di Pio VII non finì qui. Venne trasferito nel palazzo di Napoleone, e nel trasferimento fu sul punto di morire. Sopravvisse a una grave malattia, e l'imperatore pensò che il papa avrebbe potuto essergli più utile se lo avesse liberato. Si sbagliava. Pio VII non si lasciò manipolare, e Napoleone lo arrestò e lo deportò nuovamente. Venne portato da un luogo all'altro, da una città all'altra.
Pio VII sarebbe stato liberato dagli austriaci, e poco dopo Napoleone avrebbe abdicato. Il papa tornò nel luogo dal quale non avrebbe mai dovuto andar via: la sua residenza di Roma.
Pio VII potrebbe arrivare agli altari, e forse presto sarà santo. Benedetto XVI rimase così colpito dalla sua storia,...Tue, 14 Jul 2020 - 21 - Enrico VIII, da difensore della fede cattolica ad eretico e scismatico
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ENRICO VIII, DA DIFENSORE DELLA FEDE CATTOLICA AD ERETICO E SCISMATICO di Elisabetta Sala
Quando, nemmeno diciottenne, Enrico VIII ereditò il trono, l'Inghilterra gioì. Generoso e pio, era anche uno dei principi più colti della Cristianità. Sposò, per amore e non per opportunità politica, Caterina d'Aragona, principessa spagnola decisamente alla sua altezza; insieme aprirono le porte agli umanisti europei e sovvenzionarono generosamente chiese e università.
Ottimo musicista, il re compose, oltre alla ben nota "Greensleeves", anche due Messe in cinque parti; alla nascita del primogenito, il sovrano andò a rendere grazie al santuario di Nostra Signora di Walsingham, una delle sue mete preferite insieme a quella di san Tommaso di Canterbury (due santuari, che avrebbe poi distrutto).
Quando, nel 1511, il re di Francia minacciò il Papa di deposizione, Enrico, scandalizzato, aderì con entusiasmo alla Lega Santa che Giulio II costituì contro il francese. Certo non aspettava altro per riprendere la guerra contro il tradizionale nemico; nel suo discorso al Consiglio Privato, però, lanciò tuoni e fulmini contro l'uomo che aveva osato «lacerare la tunica di Cristo, tessuta senza cuciture». Pochi anni dopo dichiarò al Papa di essere pronto per una Crociata, se il Pontefice ne avesse indetta una.
Intanto, nel 1517 scoppiò la bomba luterana. Enrico si sentì subito chiamato in causa e, lì per lì, buttò giù una bozza in difesa del Papato e delle indulgenze. Quando Lutero pubblicò il "De captivitate babylonica", Enrico si mise d'impegno e, incoraggiato dal card. Wolsey, ampliò quella bozza, redigendo l' "Assertio septem sacramentorum", il primo scritto antiluterano composto da un monarca. Dato alle stampe nel luglio 1521, quando il monaco apostata era già stato scomunicato e dichiarato fuorilegge, il libro ebbe una gran fortuna, con una ventina di edizioni, nel corso del Cinquecento, in tutta Europa. In ottobre un'edizione di lusso fu inviata a Leone X, il quale conferì al re d'Inghilterra il titolo onorifico di Defensor fidei, difensore della fede.
CONTRO LUTERO
Il vasto successo fu dovuto proprio al fatto che fosse un'opera piuttosto convenzionale e divulgativa, priva di finezza teologica, opera in cui si ribadiva con forza l'infallibilità del Papa, l'indissolubilità del matrimonio, la terribile gravità dello scisma. Uno degli argomenti contro Lutero si rivelò piuttosto efficace: come mai Dio avrebbe rivelato la verità solo ora e a quell'oscuro monaco tedesco, dopo aver lasciato che la Chiesa vagasse nelle tenebre per duemila anni?
Lutero gli rispose con l'infamante "Contra Henricum regem Angliae" (1522), in cui, smontando alcune facilonerie di Enrico, lo mise alla berlina davanti all'Europa intera. L'ex-monaco, che certo non è passato alla storia per la raffinatezza dell'eloquio, affermò che quell'incompetente imbrattafogli del re inglese faceva parte dei «porci tomisti» e non era altro che un ipocrita ed un giullare, plebeo e ignorante.
Da questo momento, forse anche più del luteranesimo, Enrico odiò con tutte le sue forze la persona di Lutero. Visto che la questione si faceva seria e intricata, non si abbassò a rispondere all'eresiarca tedesco e delegò il compito ai due migliori apologeti d'Inghilterra, John Fisher e Thomas More, entrambi fini umanisti e suoi amici personali, con i quali s'intratteneva spesso a discettare di teologia, esegesi, astronomia.
L'INCREDIBILE VOLTAFACCIA
Che avrebbe detto il giovane Enrico se qualcuno gli avesse profetizzato gli anni a venire, rivelandogli ch'egli avrebbe insanguinato la propria famiglia, il proprio Paese, quella Chiesa cui era tanto devoto? Che avrebbe rinnegato l'alleanza imperiale, ripudiato l'amata moglie, distrutto tutte le ottocento case religiose d'Inghilterra,...Tue, 30 Jun 2020 - 20 - Esaltazione del vino e di chi lo sa apprezzare
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ESALTAZIONE DEL VINO E DI CHI LO SA APPREZZARE di Mario lannaccone
Il vino è una bevanda difficile, che - si dice spesso - va "capita". È una bevanda che va compresa piano piano, e assaporata; esiste in migliaia di declinazioni, con sapori, aromi e retrogusti diversi. Basta che cambi il terreno, il clima, la maturazione dell'uva, l'invecchiamento; basta che mutino altre variabili e lo stesso vino, prodotto con le stesse uve, nello stesso terreno, si presenta completamente diverso. Il vino è come gli uomini: sempre diverso, esposto al tempo e al caso. Ci porta a ritmi lenti, all'arte dei conoscitori, ai legni e ai profumi; alla difficile arte della vinificazione, tramandata da maestro a discepolo, perché fatta di esperienza, osservazione, intuizione. Ci porta emozione; e, non a caso, la rossa bevanda è costantemente associata alla poesia, alla musica, all'amore sia nei suoi aspetti più sensuali, sia in quelli più platonici, spirituali, mistici. Il vino entra spesso, e nei modi più diversi, nella letteratura. Del resto, il vino si produce da migliaia di anni, con un lavoro paziente, che ha richiesto secoli per affinarsi a partire da una materia prima nobile come il succo d'uva. Esistono altri tipi di bevande prodotte dalla fermentazione di succhi zuccherini (birra, idromele, sidro), ma il vino d'uva è rimasto il più complesso, vario, nobile. Soltanto la birra può avvicinarsi alla complessa civiltà del vino, ma non ha mai assunto quel valore sacro che la civiltà cristiana ha attribuito al vino.
STORIA DI UNA COLTURA
Il vino d'uva cominciò a essere prodotto in molte terre e da molti popoli della Mezzaluna fertile sin dalla scoperta della vite, allora molto diversa e poi costantemente migliorata da incroci di coltura. Il suo consumo era comune fra i sumeri, gli egizi, gli israeliti, gli etruschi, i persiani e soprattutto fra i popoli mediterranei, i greci e i romani. I romani lo producevano molto concentrato e forte, talvolta denso, quasi sempre da mescolarsi all'acqua, per diluirlo. Prodotto costoso, in alcune sue varianti assai raro e molto ambito, assorbì e concentro in sé, nel tempo, simboli profondi. Il produrlo costa all'uomo un elaborato lavoro che inizia dalla cura della terra e della vigna, prosegue nella manipolazione e lavorazione del frutto, nella spremitura, nella prima fermentazione, nella produzione e trattamento del mosto. Poi, l'ultima fase del processo è, in certo senso, segreta, poiché avviene nel buio. S'ignorava perché il mosto iniziasse a fermentare e il suo gusto dolce diventasse pregno d'alcool facendo nascere il vino nuovo che l'invecchiamento migliora: ogni contenitore, ogni botte, ogni diverso legno nel quale il vino può maturare produce effetti diversi, bouquet differenti di aromi. Va conservato in luoghi adatti e curato nel tempo affinché i suoi zuccheri si sublimino, in un processo che gli scrittori di un tempo descrivevano come prodigioso, sacro, misterioso. L'uva viene pestata, quasi umiliata, e produce un succo che somiglia al sangue e che, nel tempo, dopo essere risorto dal buio si presenta affinato nel sapore e nel profumo. Già in questo vediamo l'anticipazione del vino come materia eucaristica. Ma prima di allora, in epoca precristiana, il vino era bevanda degli dei, dell'ebbrezza, della possessione sacra di Bacco o Dioniso. Il mistero che circondava il suo prodursi, la cura che l'uomo doveva dedicargli, l'ebbrezza che produceva, lo legarono a culti diffusi: era usato per riti, sacrifici, libagioni.
NELLA VITA DI GESÙ
Il lavoro della vigna è presente nei Vangeli in diversi contesti, come la Parabola dei lavoratori della vigna (Mc 20,1-16) e la Parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-44; Mc 12,1-12; Lc 20,9-18). Il vino è nominato nel discorso sul digiuno di Marco (Mc 2,18-22), dove si menziona il...Tue, 05 May 2020 - 19 - Breve storia della clessidra
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BREVE STORIA DELLA CLESSIDRA di Domenico Lalli
«Cos'è il tempo? Lo so quando nessuno me lo chiede, ma se qualcuno me lo chiede non lo so più», affermava sant'Agostino. Per sant'Agostino, che ha affrontato la questione nel Libro XI delle Confessioni, esistono tre tempi: il presente del passato (la memoria), il presente del presente (quando intuiamo le cose) e il presente del futuro (l'attesa). Misura del tempo cronologico e del tempo aionico.
Da sant'Agostino in poi, nel pensiero cristiano il tempo è concepito in senso lineare-progressivo e non più circolare-ciclico come nel mondo pagano. Nel Medioevo l'idea dominante era quella proposta da Aristotele: il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi, in una concezione "a spirale", dove il tempo non ritorna mai su se stesso. Aristotele usa il tempo come elemento che definisce ciò che è divino e ciò che è materiale.
A designare il tempo biblico concorrono essenzialmente due termini ambivalenti: in ebraico et (tempo misurato) e olam (tempo nella sua durata) con i corrispettivi termini greci Kronos e Kairos. Kronos è il tempo della storia, la successione arida degli eventi, il "profano" che annienta i vivi; Kairos è il tempo pieno, profondo, intenso, sacro, designato nella sua puntualità, la giusta misura, il momento dell'opportunità, il tempo della grazia nel quale si è inserito Dio per la salvezza dell'uomo.
L'ETERNITÀ ENTRA NEL TEMPO
Con il Cristianesimo, invece, l'eternità è entrata nel tempo. San Paolo elabora l'idea teologica dell'attesa "operosa" dei cristiani, mentre camminano verso il compimento dei tempi. Anche nella sepoltura dei defunti si può riscontrare il diverso concetto sussistente fra paganesimo e Cristianesimo: mentre le necropoli sono città dei morti, il cimitero (coemeterium) è il dormitorio, il luogo dove i defunti si addormentano per risvegliarsi nel Signore.
Insieme alla meridiana, la clessidra a sabbia è il più antico strumento creato dall'uomo per la misurazione del tempo, indipendentemente dalle osservazioni astronomiche. Racchiude in sé l'elemento tempo, la sua concezione, la sua durata, la sua scansione. Le clessidre non consentono di determinare l'ora, misurando tramite il flusso della polvere o sabbia. La sabbia fluisce silenziosa da una fiala all'altra. Si inarca a forma d'imbuto in quella superiore ed a cono in quella inferiore. Ha simboleggiato l'ineluttabile avanzamento della vita ed il suo inevitabile concludersi nella morte. Nel passato, invece, il tempo non veniva misurato, ma solo stimato con molta approssimazione.
È il sole ad imprimere al tempo medievale il suo ritmo: tempo breve, con l'alternarsi del giorno e della notte; tempo lungo, col ritmo ciclico delle stagioni e degli anni. Questa successione immutabile e perfetta, un frammento di eternità, appartiene a Dio, dunque alla Chiesa. Non vi era alcuna attività in cui i monaci non dessero prova di creatività e di uno spirito di ricerca fecondo. Insieme alla preghiera, nei monasteri erano coltivate la cultura con gli scriptorium e praticate le arti manuali.
LA REGOLA DI SAN BENEDETTO
Gli "orologi a sabbia" o clessidre nacquero nelle abbazie benedettine e cistercensi in quanto, organizzando la Regola di san Benedetto minuziosamente la giornata, serviva uno strumento per scandire il tempo della preghiera e della meditazione dei monaci. I monasteri sono stati a lungo non solo centri di spiritualità e di preghiera, ma anche di studio, di creatività operosa, di sperimentazione, sulla scia del motto «ora et labora».
La clessidra si diffuse nel XV e XVI sec. Oltre che nei monasteri se ne fece uso, ma solo successivamente, nei tribunali, durante gli esami e sulle navi, dove si scandivano le ore di guardia. Durante il viaggio di Ferdinando Magellano attorno al globo...Tue, 28 Apr 2020 - 18 - Cosa intendeva san benedetto con "Ora et labora"
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6065
COSA INTENDEVA SAN BENEDETTO CON "ORA ET LABORA"
"L'ozio è nemico dell'anima; e quindi i fratelli devono in alcune determinate ore occuparsi nel lavoro manuale, e in altre ore, anch'esse ben fissate, nello studio delle cose divine"
Così dice san Benedetto da Norcia nella sua Regola (XLIII, 1).
D'altronde questo Santo è ricordato per il famoso ora et labora che si traduce semplicemente con prega e lavora.
È questa, però, una traduzione che traduce sì (scusate il gioco di parole), ma che non rende effettivamente l'idea di cosa volesse davvero dire san Benedetto e soprattutto dell'enorme portata innovativa di questa affermazione.
UNA COSA SCONTATA?
Pregare e lavorare sembra, infatti, una cosa scontata. Chi può sorprendersi del fatto che un santo inviti i propri monaci e, al di là dei monaci, i cristiani a pregare e lavorare?
Invece l'affermazione è totalmente nuova e lo si capisce dalla parola latina labor. Questo, il labor, per i latini non era il semplice lavoro, che loro solitamente definivano negotium da nec-otium, cioè non-ozio, bensì un certo tipo di lavoro, quello manuale, del lavoro fisico; per intenderci: quello che fa sudare.
Ebbene, nel mondo antico questo labor, cioè il lavoro fisico, era destinato solo agli schiavi, perché poco onorevole. San Benedetto, invece, che fa? Non solo dice che il monaco deve lavorare, cioè deve lavorare manualmente, ma va oltre, dice che questo lavoro fisico deve accompagnare la preghiera e che, accompagnando la preghiera, in un certo qual modo si fa esso stesso preghiera.
È per questo che san Benedetto è il padre della civiltà occidentale.
LA DIGNITÀ DEL LAVORO MANUALE
Nel mondo antico il lavoro manuale era considerato poco onorevole. L' "anima" culturale, cioè l'essenza, di questo mondo era di fatto gnostica, ovvero dominava la convinzione che ciò che avesse valore fossero solo realtà spirituali, intellettuali, e basta. L'uomo stesso (si pensi al platonismo) era considerato come spirito e basta, e il corpo una sorta di "pezzo di ricambio", un qualcosa di degradato da cui liberarsi quanto prima.
L'antropologia cristiana ribalta totalmente questa prospettiva affermando che l'uomo è persona in spirito e corpo, che è stato così voluto e creato da Dio, e che l'anima è forma organica del corpo. Se il corpo dovrà morire, non è perché così avesse stabilito Dio, ma in conseguenza del peccato originale. Tanto il corpo è parte integrante della persona umana, che esso verrà restituito alla sua anima con la resurrezione dei corpi.
Dunque, per il Cristianesimo l'uomo deve santificarsi con l'anima, ma anche con il corpo. Ed ecco perché il lavoro manuale, fisico, non solo deve accompagnare la preghiera (in cui rientra anche l'attività intellettuale, cioè lo studio), ma diventa esso stesso un mezzo di santificazione e di glorificazione di Dio, cioè diventa preghiera.
L'ora et labora, insomma, è un vero "manifesto" contro il fatalismo e lo spiritualismo orientali e gnostici.Tue, 24 Mar 2020 - 17 - Cristoforo Colombo aveva ragione
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5991
CRISTOFORO COLOMBO AVEVA RAGIONE di Mauro Faverzani
Gli studi più recenti smentiscono in modo chiaro e netto quanti ritengano pure invenzioni i racconti macabri, redatti dai primi coloni giunti in America Latina e confermano le pratiche antropofaghe delle popolazioni indigene.
Quando Cristoforo Colombo giunse nelle isole oggi chiamate Bahamas, nel corso del suo primo viaggio in America, ebbe la fortuna di incontrare i pacifici Tainos, un popolo ch'egli definì infatti «gentile e semplice». Ma quando si spostò nella vicina isola di Guadalupa, l'accoglienza che ricevette fu decisamente più ostile. Nei suoi racconti e nelle cronache spagnole dell'epoca si descrivono uomini feroci, abili con archi e frecce, abituati a divorare carne dei loro simili. Ne conservavano poi le ossa dentro cesti, mentre teste e gambe ancora sanguinanti venivano appese alle travi dei loro alloggi. Colombo, ancora convinto di trovarsi in Oriente, li chiamò «cannibali», ritenendoli i sudditi asiatici del Gran Khan.
Qualche decennio dopo, però, gli spagnoli corressero la definizione in quella di «caribi», indicando con tale nome gli indios del Continente, della costa del Venezuela, della Colombia e della Guyana. Ad essi fu attribuita la pratica dell'antropofagia, ritenendola dovuta a motivi rituali: erano convinti di potersi "appropriare" così della forza del nemico.
Finora però gli archeologi ritenevano che i «caribi» non fossero mai giunti sino alle Bahamas, trovando le tracce più vicine a quasi 1.600 chilometri a sud: per questo, pensavano che le macabre storie dei coloni spagnoli fossero frutto di pura fantasia. Non è così.
COLOMBO AVEVA RAGIONE
Un nuovo studio morfologico, pubblicato su Scientific Reports e condotto su oltre 100 crani datati 800 a. C.-1542 d.C., appartenuti agli abitanti dei Caraibi, confermano come Colombo abbia detto la verità. L'analisi ha consentito di accertare come i «caribi» avessero invaso la Giamaica, l'Española e le Bahamas: ciò costringe a riscrivere ex novo oltre mezzo secolo di ipotesi, rivelatesi infondate, ridando credito viceversa alle narrazioni dei colonizzatori.
Il prof. William Keegan del Museo di Storia Naturale della Florida, co-autore dell'articolo dal titolo «Dobbiamo reinterpretare tutto quanto credevamo di sapere», ha dichiarato: «Ho passato anni con l'intento di dimostrare che Colombo avesse torto, invece aveva ragione: c'erano caribi anche a nord dei Caraibi, proprio quando lui vi giunse».
Ann Ross, docente di Scienze Biologiche presso l'Università Statale della Carolina del Nord e principale autrice dello studio in oggetto, ha utilizzato «parametri di riferimento» facciali in 3D, come la dimensione delle orbite degli occhi o la lunghezza del naso, sorta di indicatore generico per analizzare i crani utilizzati come campione: «Sappiamo che i caribi praticavano una sorta di appiattimento del cranio, per poter ottenere caratteristiche particolari. Ciò è abbastanza facile da individuare - ha spiegato - Ma, per tracciare veramente una popolazione, bisogna guardare alle caratteristiche ereditabili, cioè ai fattori che vengono trasmessi geneticamente».
INFANTICIDIO E CANNIBALISMO RITUALE IN AMAZZONIA
Come rivelato dal quotidiano spagnolo Abc, l'indagine ha consentito di individuare non solo la presenza di tre diversi gruppi di persone nei Caraibi, bensì anche le loro rotte migratorie. La prima ondata migratoria è stata quella che dallo Yucatan è giunta sino a Cuba ed alle Indie Occidentali, il che conferma quanto già in passato intuito, notando le analogie tra gli strumenti in pietra. La seconda ondata migratoria, quella del gruppo Arawak, che comprendeva anche i già citati Tainos, si è verificata tra l'800 ed il 200 a.C. dalle coste della Colombia e del Venezuela a quelle di Puerto Rico, come...Thu, 23 Jan 2020 - 16 - Come sarebbe la nostra civiltà senza Gesù?
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COME SAREBBE LA NOSTRA CIVILTA' SENZA GESU'?
Le radici della nostra civiltà affondano in Lui e senza di Lui semplicemente non sarebbero. Ecco alcuni esempi in pillole.
OSPEDALI
La fioritura degli ospedali e della cura dei malati nasce dalla fede, dall'identificazione del povero e del malato con Cristo sofferente. Nella sua vita terrena, Gesù è stato guaritore di corpi e di anime e lui stesso sofferente, come dicevano i teologi medievali: "Christus medicus et infirmus". C'è anche un modo di intendere l'uomo nel suo valore intrinseco e di vedere nel corpo non - come credeva Platone - un «involucro, immagine di una prigione» (Cratilo, 400 C), bensì la componente fisica della persona umana, per la prima volta concepita e apprezzata in modo unitario. I numerosi ospedali nati nel Medioevo, in genere presso monasteri, venivano chiamati "Domus Dei", "Casa di Dio". In America Latina, in Asia e in Africa i primi ospedali sono stati fondati dalle missioni cattoliche e protestanti e ancor oggi la sanità delle Chiese cristiane occupa un ruolo importante in non pochi paesi. (Francesco Agnoli)
DIGNITÀ DEI BAMBINI
Con la diffusione del cristianesimo aborto e infanticidio divengono culturalmente inaccettabili e quindi fenomeni più rari e circoscritti. Se nell'Impero romano l'esposizione di neonati non desiderati era diffusa, i cristiani condannavano tale pratica come omicidio. Come ebbe a dire Giustino Martire (100-165 d.C.), «ci è stato insegnato che è malvagio esporre perfino i neonati [...] perché in tal caso saremmo degli assassini» (citato in "Writings of Saints Justin Martyr, Christian Heritage 1948). Le legislazioni, a partire da Costantino, vietano l'infanticidio e aiutano le famiglie bisognose perché non ricorrano alla vendita dei loro figli per motivi economici.
DIGNITÀ DELLA DONNA
Una delle grandi novità storicamente rilevabili apportate dal cristianesimo riguarda la concezione della donna. Sovente secondaria e marginale, almeno in linea di diritto, nel mondo greco; sotto perpetua tutela dell'uomo, padre e marito, nel mondo romano; ostaggio della forza maschile, presso i popoli germanici; passibile di ripudio e giuridicamente inferiore nel mondo ebraico; vittima di infiniti abusi e violenze, compreso l'infanticidio, in Cina e India; forma inferiore di reincarnazione nell'induismo tradizionale; sottoposta alla poligamia, umiliante affermazione della sua inferiorità, nel mondo islamico e animista; vittima presso diverse culture di vere e proprie mutilazioni fisiche; sottoposta al ripudio del maschio, in tutte le culture antiche, la donna diventa col cristianesimo creatura di Dio, al pari dell'uomo. (Francesco Agnoli)
MATRIMONIO
Il matrimonio cristiano è imprescindibilmente monogamico e indissolubile. Esso quindi sottintende e implica anzitutto la pari dignità degli sposi: non è lecito ad un uomo avere più mogli, nel suo gineceo o nel suo harem! Non è lecito, in virtù della sua maggior forza, ripudiare la moglie, come fosse un oggetto, né sostituirla con delle schiave! E neppure, ovviamente, il contrario. Tutta la storia della chiesa, per quanto riguarda la morale coniugale, tende a salvare proprio questa pari dignità: vietando ovviamente ogni antico diritto di vita o di morte dell'uomo sulla donna; tutelando il più possibile il libero consenso degli sposi, già partire dai primi secoli quando Agostino ricorda che "l'intervento dei genitori non è di diritto divino", cioè non è necessario, come per gli antichi, e aggiunge umoristicamente che "altrimenti Adamo avrebbe dovuto essere presentato a Eva da suo Padre"; innalzando l'età del matrimonio della donna (che per i romani erano sovente i dodici anni) e quindi la sua responsabilità e libertà; ostacolando il più possibile la possibilità dei genitori di violare la...Thu, 09 Jan 2020 - 15 - Carlo Magno fu incoronato imperatore nel Natale dell'800
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CARLO MAGNO FU INCORONATO IMPERATORE NEL NATALE DELL'800 di Roberto de Mattei
Se c'è un momento di grazia e di conversione del cuore, questo è il Santo Natale, il giorno della Natività del Signore, il giorno da cui si contano gli anni del mondo. L'atmosfera familiare del giorno di Natale intenerisce i cuori più duri. [...]
Ma la festa del Santo Natale non ha solo un significato individuale e familiare: ha anche, e ha avuto nella storia, un significato sociale. Il grande abate di Solesmes Dom Prosper Guéranger (1805-1875), nel suo Année liturgique, ci ricorda tre momenti del Santo Natale legati alla storia d'Europa, alle sue più profonde radici cristiane.
IL BATTESIMO DI CLODOVEO, RE DEI FRANCHI
Il primo di questi momenti è il battesimo di Clodoveo, avvenuto, secondo la tradizione, il 25 dicembre del 496.
Clodoveo era il re dei Franchi, un popolo ancora pagano, mentre il Cristianesimo si andava diffondendo in un'Europa in preda al caos e all'anarchia, dopo la caduta dell'Impero romano di Occidente, avvenuta venti anni prima. Egli aveva sposato una principessa cattolica del popolo dei Burgundi, Clotilde. Fu lei, con l'aiuto del santo vescovo di Reims, Remigio, a portare Clodoveo alla religione cattolica, conquistandone il cuore. Clodoveo si fece battezzare, nella notte di Natale del 496.
Lo storico dei Franchi Gregorio di Tours scrive che Clodoveo «si avvicinò al lavacro come un nuovo Costantino, per essere liberato dalla lebbra antica, per sciogliere in acqua fresca macchie luride createsi lontano nel tempo. E quando Clodoveo fu entrato nel Battistero, il santo di Dio così disse con parole solenni: 'Piega quieto il tuo capo, o si cauto; adora quello che hai bruciato, brucia quello che hai adorato'».
Il battesimo di Clodoveo fu quello di un popolo che, con lui, entrava nella storia: i Franchi. E secondo dom Guéranger il supremo Signore degli eventi volle che il regno dei Franchi nascesse il giorno di Natale per incidere più profondamente l'importanza di un giorno così santo nella memoria dei popoli cristiani dell'Europa. Clodoveo, il fiero barbaro, divenuto mite come l'agnello, fu immerso da san Remigio nel fonte battesimale della salvezza, dal quale uscì purificato per inaugurare la prima monarchia cattolica fra le monarchie nuove, quel regno di Francia, il più bello - è stato detto - dopo quello dei cieli.
LA CONVERSIONE DELL'INGHILTERRA
Passarono cento anni dalla conversione di Clodoveo. Salì sul trono pontificio un grande Papa, san Gregorio Magno. Nel 596, secondo quanto si ricorda, Papa Gregorio restò commosso nel vedere un gruppo di giovani biondi e belli come angeli, sul mercato degli schiavi di Roma. Chiese chi fossero. Gli fu risposto: Angli.
«Non Angli, ma Angeli», replicò il Papa, che a partire da quel momento decise di affidare ai monaci benedettini l'evangelizzazione dell'Inghilterra. Un gruppo di quaranta monaci, guidato da Agostino, poi detto di Canterbury, partì per l'isola degli Angli per propagare il Vangelo.
Agostino, dopo aver convertito al vero Dio il re Eteiredo, si diresse verso la città, già romana, di York, vi fece risuonare la Parola di vita, e un intero popolo si unì al proprio re per chiedere il Battesimo. Così allora accadeva: il battesimo del Re era quello di un popolo intero, legato al suo sovrano da vincoli di indissolubile fedeltà. Fu fissato il giorno di Natale per la rigenerazione di quei nuovi discepoli di Cristo; e il fiume che scorreva sotto le mura della città venne scelto per servire da fonte battesimale a un'armata di diecimila di catecumeni, non contando le donne e i bambini. Il rigore della stagione non arrestò i nuovi e ferventi discepoli del Bambino di Betlemme che scesero nelle acque per purificare le loro anime. «Dalle acque gelide - scrive dom Guéranger -...Tue, 31 Dec 2019 - 14 - Una generazione di orfani
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UNA GENERAZIONE DI ORFANI di Luciano Leone
Il bambino, iperprotetto nei primi anni, viene trastullato nella sua infanzia, assorbito quindi dalla scuola pubblica. La scuola pubblica costituisce un grande mezzo di omologazione della popolazione («L'Italia è stata fatta, occorre fare gli Italiani», disse Massimo D'Azeglio), più palesemente sotto i regimi più autoritari, più subdolamente nei Paesi cosiddetti democratici, dove peraltro il ministero definisce programmi scolastici e dove il governo (francese o svedese) può imporre una cittadina islamica quale ministro della pubblica istruzione per tutti i sudditi.
Per educare è necessario che l'educatore non solo interagisca con l'alunno, riconoscendone carattere, inclinazioni, attitudini, capacità, debolezze, ma anche che l'educatore abbia ben presenti i principi e le finalità della sua opera: quali sono gli scopi fondamentali della vita (il poeta greco Mimnermo poneva la domanda: «Cosa è dunque la vita?»)?
Privato della chiara direttiva dell'insegnamento di Gesù Cristo, l'individuo è ripiombato nella condizione dolorosamente espressa (sette secoli prima della Rivelazione Cristiana da Mimnermo; «Davanti agli dei non sapendo che cosa sia bene, che cosa sia male»).
Nella scuola pubblica il bambino, sottratto alla famiglia, viene così immesso in un sistema che può soltanto impartire alcune nozioni programmate dal ministero (o eventualmente diseducare al gender), non può "educare" perché sia gli insegnanti sia gli alunni hanno concezioni disparate della vita. Però la scuola pubblica assorbe gli alunni sino almeno ai 16 anni senza insegnare un mestiere e senza consentire a coloro che hanno attitudine agli studi di sviluppare presto e bene le loro capacità («Rapidamente, con sicurezza e con gioia»: motto attribuito ad Asclepiade di Prusa).
Intanto, con notevole frequenza, i bambini crescono incantati dai videogiochi, vengono precocemente ipersocializzati, acquistano presto una specie di autonomia, che consente ai genitori, distratti dal lavoro o purtroppo in rotta tra loro, di lasciare gli adolescenti in ampia balia di se stessi (della Tv e di internet) e del gruppo. Li incroci per la strada in gruppetti, all'interno dei quali tuttavia la comunicazione è spesso ridotta o assente: uno telefona, un altro digita un sms, un terzo pur deambulando riesce a fare un videogioco, un quarto consulta Google Maps.
L'adolescente è con grande frequenza e con grande facilità lasciato a se stesso, oppure reclama una autonomia per la quale non è ancora pronto, ed è quindi esposto a grandi pericoli. L'atteggiamento adolescenziale tende inoltre a perpetuarsi anche in età adulta a causa della mancata assunzione di ruoli sociali, della carente o, all'opposto, dell'eccessiva disponibilità economica, dell'assenza di uno scopo definito per la vita: il divertimento fa parte degli equilibri della vita, ma la vita non è divertimento.
Le prospettive di vita sono avvolte nella nebbia cosi come il mondo non è più una società ben strutturata. l genitori, anche quelli più responsabili, trovano difficoltà ad indirizzare i figli: gli studi non assicurano gratificazione di ruolo sociale e di retribuzione; i lavori, a fronte dell'impegno che hanno sempre richiesto, non sono più gratificanti; le figure più quotate per il successo sembrano essere calciatori e veline. Ma ovviamente a pochi è dato assurgere a tali fasti.
Si comprendono quindi manifestazioni minori di disagio sociale, che sembrano tuttavia diffusissime: abuso di sistemi tipo Facebook, autoscatto (detto selfie), tatuaggi: per acquisire una identità, per uscire dalla omologazione e dall'anonimato l'individuo ricorre a questi sistemi identificativi esteriori, costruisce non la personalità, bensì una immagine di facciata e propala ogni genere di informazioni, che...Wed, 18 Dec 2019 - 13 - La drammatica storia del muro di Berlino
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LA DRAMMATICA STORIA DEL MURO DI BERLINO di Luciano Garibaldi
Il dramma di Berlino ebbe inizio durante il summit di Yalta, nel febbraio 1945, allorché le quattro potenze vincitrici della seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito e Francia) stabilirono che la capitale del Terzo Reich venisse divisa in quattro settori, ognuno dei quali controllato e amministrato dai vincitori. All'URSS toccò il settore più esteso.
Nel frattempo, l'avanzata sovietica proseguì su tutto il territorio tedesco, per arrestarsi, all'atto della resa del Terzo Reich, lungo la linea che verrà definita "Cortina di ferro": ad Occidente, le nazioni libere e indipendenti; ad Oriente, quelle private della libertà e sottomesse alle dittature comuniste, strettamente controllate da Mosca.
Berlino venne così a trovarsi in una situazione assolutamente unica al mondo: i berlinesi, che abitavano nella zona sottoposta all'URSS, furono privati di ogni libertà; quelli invece residenti nei tre quartieri controllati da americani, inglesi e francesi, iniziarono ad apprezzare i vantaggi della libertà di azione e di opinione alla quale avevano dovuto rinunciare durante il Terzo Reich.
IL "BLOCCO DI BERLINO"
Fino al 1948, sia pure con mille condizionamenti, i tre quartieri "liberi" di Berlino avevano potuto comunicare, via terra e via aerea, con la Germania Occidentale. Ma nel 1948 si verificò il cosiddetto "Blocco di Berlino" da parte dell'Unione Sovietica, blocco che spinse gli Alleati ad attuare il «ponte aereo per Berlino», anche solo per rifornire i tre quartieri da essi controllati di viveri e generi di prima necessità.
Ben presto, si diffuse la denominazione di Berlino Ovest e Berlino Est, che non era soltanto un'espressione geografica. Di fatto, i tre quartieri sottoposti ad americani, inglesi e francesi diventavano un'enclave della Germania Ovest, enclave completamente circondata dalla Germania Est. Nei primi tempi ai cittadini di Berlino fu consentito di circolare liberamente in tutti i settori. I residenti nel quartiere controllato dai russi potevano tranquillamente recarsi nei quartieri americano-anglo-francesi, fare la spesa dove volevano, mandare i figli a scuola negli istituti preferiti, cercare lavoro ovunque.
Tuttavia, divenne sempre più imponente il flusso di cittadini della Germania Est, stufi dell'oppressione comunista, verso i tre quartieri liberi di Berlino, con l'obiettivo di raggiungere, da qui, via aerea, la Germania Ovest, dove li attendevano parenti o amici stretti, pronti ad aiutarli ad intraprendere una nuova esistenza. Le cifre parlano chiaro.
Circa 2 milioni e mezzo di tedeschi lasciarono la Germania Est (RDT, Repubblica Democratica Tedesca) e Berlino Est tra il 1949 e il 1961: il flusso di fuggiaschi era costituito per circa la metà da persone giovani, sotto i 25 anni, e poneva la dirigenza della RDT di fronte a difficoltà sempre maggiori. Era di fatto impossibile controllare l'enorme massa di persone (in media, mezzo milione) che ogni giorno passava i confini dei quattro settori di Berlino in tutte e due le direzioni, e che aveva così modo di confrontare le condizioni di vita: un abisso tra chi viveva nel settore sovietizzato e chi aveva avuto la fortuna di nascere, crescere e abitare nei tre settori occidentalizzati. I risultati non poterono mancare. Soltanto nel 1960 circa 200 mila tedeschi dell'Est si trasferirono stabilmente nella Germania Ovest, raggiungendola, via aerea, da Berlino Ovest. La RDT rischiava il collasso sociale ed economico.
DAL FILO SPINATO AL MURO
Così, anche per effetto del peggioramento della Guerra Fredda, una serie di proibizioni calò sia sugli abitanti della zona "sovietizzata", sia su coloro che avevano raggiunto Berlino provenendo da altre città o paesi della Germania...Wed, 18 Dec 2019 - 12 - E se fosse eletto papa un diciottenne?
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E SE FOSSE ELETTO PAPA UN DICIOTTENNE? di Roberto de Mattei
Chi è stato il peggior Papa nella storia della Chiesa? Molti ritengono che sia stato Alessandro VI, un Papa criticato oltre misura, ma secondo san Roberto Bellarmino fu Giovanni XII (937-964), che definisce «omnium pontificum fere deterrimus», «quasi il peggiore di tutti i pontefici».
Alberico II dei conti di Tuscolo, princeps di Roma dal 932 al 954, qualche giorno prima di morire si fece portare in San Pietro e sulla tomba dell'apostolo, alla presenza del papa Agapito, fece giurare ai nobili romani che alla scomparsa del Papa in carica avrebbero eletto al soglio pontificio il proprio figlio, al quale aveva posto il nome augurale di Ottaviano. Quando il Papa morì, nel dicembre 955, Ottaviano fu eletto con il nome di Giovanni XII, quantunque non avesse l'età canonica per diventarlo, essendo solo diciottenne. Secondo la concorde descrizione delle fonti, il giovane Papa fu un pontefice dissoluto, che non interruppe la vita di sfrenati piaceri cui si era abbandonato fino all'elezione al Soglio pontificio. Nell'autunno del 960, essendo entrato in conflitto con il marchese Berengario di Ivrea, che si era proclamato re d'Italia, e con il figlio di questi Adalberto, il nuovo Papa invocò l'aiuto di Ottone I, re di Germania. Ottone scese in Italia a capo del suo esercito, sconfisse Berengario ed Adalberto e proseguì verso Roma, dove il 2 febbraio 962, giorno della Candelora, fu solennemente incoronato Imperatore dal Pontefice. Questa incoronazione fu l'atto di fondazione di quello che sarà chiamato "Sacro Romano Impero della Nazione Germanica". A questo atto seguì, una settimana dopo, la concessione del cosiddetto Privilegium Ottonis, di cui si custodisce ancora copia negli Archivi Vaticani. Il documento, se da una parte confermava tutte le concessioni territoriali fatte alla Santa Sede da Pipino il Breve e da Carlo Magno e altre ne aggiungeva, costituendo di fatto lo Stato della Chiesa, dall'altra imponeva alla Santa Sede di sottoporre le elezioni pontificie all'approvazione preventiva della persona dell'Imperatore e dei suoi successori. Ottone rientrò quindi a Pavia, ma Giovanni tradì il giuramento di fedeltà fatto ad Ottone e strinse una opposta alleanza con l'antico avversario Adalberto.
UNA LUNGA LISTA DI CRIMINI
In un celebre testo recentemente riprodotto in una versione filologicamente accurata, Liutprando, vescovo di Cremona, racconta il conflitto che contrappose il papa e il sovrano negli anni 960-964 (De Iohanne papa et Ottone imperatore, a cura di Paolo Chiesa, Edizioni del Galluzzo, Firenze 2018). Il curatore del volume ha riportato in appendice anche altri documenti che contribuiscono a fornire un quadro più completo di quegli eventi, a cominciare dalle pagine dedicate a Giovanni XII dal Liber pontificalis (pp. 97-100 dell'appendice).
Quando seppe che il Papa aveva stretto alleanza con Adalberto, l'imperatore Ottone riunì un Sinodo in San Pietro, a cui presero parte i vescovi e gli arcivescovi del suo seguito, gli ecclesiastici e i curiali romani, i maggiorenti della città e i rappresentanti del popolo. Giovanni XII però si allontanò dalla Città Eterna. Quando l'imperatore chiese le ragioni della sua assenza, i romani risposero che esse andavano cercate nell'immoralità del Papa, che si esprimeva in una lunga lista di crimini; simonia, sacrilegi, blasfemia, adulterio, incesto, astensione dai sacramenti, pratica delle armi, traffico col demonio. Tutti, chierici e laici, dichiararono che «aveva reso il santo palazzo un autentico bordello», «aveva accecato Benedetto, suo padre spirituale, che era morto poco dopo; aveva ucciso Giovanni cardinale suddiacono amputandogli i genitali, appiccava incendi, si cingeva di spada e si armava di elmo e di corazza: di tutto questo diedero...Thu, 12 Dec 2019 - 11 - Tutto quello che non ci hanno detto sul medioevo
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5925
TUTTO QUELLO CHE NON CI HANNO DETTO SUL MEDIOEVO di Luciano Leone
Nelle società antiche, fino a tutto il Settecento, ogni bambino viene presto educato a graduali responsabilità e, in rapporto alle sue attitudini e alle possibilità economiche della famiglia, viene presto avviato ad apprendere un mestiere o a studi corposi.
Nell'anno 999 Gerberto d'Aurillac, eletto al soglio pontificio, per il quale assume il nome di Silvestro II, in una lettera all'Imperatore Ottone III ricorda con gratitudine che, paggio di umili origini, aveva potuto intraprendere studi superiori grazie alla generosità dell'Imperatore Ottone I, buon giudice nel valutare le doti del giovinetto, e nonno di Ottone III.
Montgisard, 25 novembre 1177: da qualche tempo Saladino è penetrato nelle terre del Regno Latino di Gerusalemme (Cristiano) e, come consuetudine islamica, le sta depredando e violentando con il suo esercito di 26 mila uomini, per lo più costituito da migliaia di cavalieri, compresi quelli della sua guardia personale. L'esercito dei Crociati, che dispongono soltanto di 375 cavalieri, intercetta e affronta gli islamici a Montgisard, nelle vicinanze di Ascalona. Baldovino IV, Re di Gerusalemme, guida la carica di questi 375, i quali ottengono una strepitosa vittoria sulle orde islamiche, che lasciano sul campo migliaia di caduti. Baldovino IV ha 16 anni (ed era malato di lebbra).
Agosto 1561: Maria Stuart assume la corona di regina di Scozia; ha 19 anni e, negli anni seguenti, ventenne, guiderà più volte l'esercito in guerra.
DONNE E ISTRUZIONE
Scuola Medica Salernitana: fondata nel IX secolo, celebre anche per il De mulierum passionibus, trattato Sulle patologie delle donne, laureava medici e medichesse. Federico Il di Svevia (1194-1250), noto per la sua cultura, ma soprattutto, presso chi sia ben informato, per la sua malvagità (torturò ed assassinò l'Arcivescovo di Ancona, suo alleato il famigerato Ezzelino da Romano), volle riformarne gli statuti allungando a dismisura gli anni di studio. Si assistette allora a un crollo della presenza femminile presso la Scuola, poiché le medichesse avrebbero conseguito la laurea in età adatta allo zitellaggio: le famiglie previdentemente preferirono accasare le figlie.
Saltiamo direttamente agli anni Cinquanta del XX secolo: il corso di laurea in Medicina e Chirurgia era di cinque anni, le specializzazioni tipicamente di due anni. Nei decenni successivi la medesima laurea saliva a sei anni, una specializzazione in genere a quattro anni e poi a cinque anni. Ecco i quesiti che si pongono: è necessario dedicare il primo anno a esami come fisica e chimica, che gli studenti dovrebbero già aver appreso alle scuole superiori? Lo scibile medico si era così accresciuto da richiedere il passaggio da sette a ben undici-dodici anni di studi? Contemporaneamente i corsi di laurea di altre Facoltà da quattro sono passati a cinque anni, costituiti da tre anni per la laurea breve con tesi, ed altri due anni per la laurea magistrale con tesi; per approntare prima e seconda tesi è possibile che il laureando impieghi sette anni anziché i teorici cinque.
PERSONA E RAPPORTI SOCIALI
L'uomo nelle società pre-rivoluzione francese non è mai solo. Nella società Cristiana ben strutturata la persona è sostenuta dalla famiglia, dalla parrocchia, dalla corporazione d'arti e mestieri, dalla confraternita, e le autonomie locali vengono accuratamente custodite a vari livelli. La depressione non esiste: l'uomo ha le "spalle larghe", non cova fantasie fittizie di un mondo piacevole e senza dolori, è quindi pronto ad affrontare le avversità della vita; atti di autolesionismo estremo come il suicidio sono ignoti. Il matrimonio è visto non come un sogno romantico, ma come l'assunzione di responsabilità tra due persone che si amano e...Thu, 12 Dec 2019 - 10 - Mussolini ateo e socialista (come Hitler e il nazional-socialismo, detto nazismo)
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5906
MUSSOLINI ATEO E SOCIALISTA (COME HITLER E IL NAZIONAL-SOCIALISMO, DETTO NAZISMO) di Giulia Tanel
Quanto conosciamo Benito Mussolini? Quanto di quello che ci viene insegnato sui banchi di scuola, nei libri o in qualche documentario ci permette di approfondire realmente questa figura chiave della storia del XIX secolo? Forse meno di quanto crediamo, perché talvolta a prevalere sono semplicistici luoghi comuni o interpretazioni ideologicamente orientate, che però spesso non rendono onore alla verità. Per ovviare a questo occorre andare alle fonti, rileggere i documenti originali, come per esempio il testo Dio non esiste, pronunciato da un Mussolini appena ventenne e ora di nuovo disponibile grazie a Francesco Agnoli, che lo ha ripubblicato per i tipi di Fede&Cultura con un documentato commento critico.
Agnoli, come mai ha ritrovato questo testo di Mussolini e ha deciso di renderlo disponibile al pubblico con un suo commento?
«La prima cosa da dire è che quando si va sui testi originari, si scoprono cose che le biografie e i libri non raccontano. Ultimamente ho deciso di leggere un po' di scritti di Mussolini e ho notato che Dio non esiste e non era edito da un po', quindi lo ho ripubblicato aggiungendoci un'appendice. Si tratta di un testo interessante perché dimostra che Mussolini è stato un ateo e un socialista».
Mussolini però è un uomo dai mille volti...
«Certamente. Sappiamo tutti che, per esempio, le sue idee politiche sono cambiate innumerevoli volte a seconda del bisogno, anche se è importante dire che si è sempre mantenuto un legame di fondo: le idee socialiste, nicciane, superomistiche, macchiavelliche gli sono sempre rimaste...».
E le sue idee sulla religione?
«Le sue idee religiose non sono mai cambiate. Certo, ci sono state varie fasi, ma è importante sottolineare che Mussolini voleva pacificarsi con la Chiesa esclusivamente per intenti politici: voleva solo fare bingo, prendersi un po' tutto. A dircelo sono i suoi stessi testi, come per esempio Dedicato ai bigotti, pubblicato sull'Avvenire del Lavoratore nel 1909 e Natale, uscito sulla Lotta di Classe nel 1910: scritti il cui concetto fondamentale - peraltro comune al fascismo, al nazismo e al comunismo - è che non va cercato il Regno di Dio, bensì va costruito il regno dell'uomo, che si autoredime.
La realtà insomma è che il Duce è stato sempre, per tutta la sua vita, un ateo, un materialista, un panteista e un uomo molto superstizioso. Ed è sempre stato chiuso al Soprannaturale, almeno fino a quando abbiamo documenti, fino al 1943: poi forse, sul finire della vita, uno spiraglio si è aperto, ma non lo si può dire con certezza».
Un altro aspetto poco sottolineato dalla storiografia ufficiale è che Mussolini ha una formazione socialista...
«La sua visione era socialista, si è formato sui testi dei socialisti atei e materialisti. E, in fondo, a ben vedere il fascismo mantiene sempre alcune delle idee che hanno vivificato il socialismo prima e il comunismo sovietico poi: una concezione hegeliana dello Stato e della storia e l'esaltazione della violenza. Anche per questo molti socialisti, dopo la Grande Guerra, sono transitati al fascismo, così nel secondo dopoguerra non pochi intellettuali fascisti. Tornando a Mussolini, non è un caso che abbia dichiarato, ai compagni socialisti che lo espulsero dal PSI: "Sono e rimarrò socialista... viva il socialismo, viva la rivoluzione!"».
Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 25 minuti) Mussolini, Dichiarazione di guerra - 10 Giugno 1940
https://www.youtube.com/watch?v=uiYICtn0r6k
Italia - 10 giugno 1940, Annuncio della dichiarazione di guerra
Combattenti di terra, di mare, dell'aria. Camicie nere...Wed, 27 Nov 2019 - 9 - Patti Lateranensi: 90 anni e non sentirli
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5864
PATTI LATERANENSI: 90 ANNI E NON SENTIRLI di Rino Cammilleri
Quest'anno ricorrono i novant'anni della storica firma dei Patti Lateranensi. Era il 1929 e quel giorno, 11 febbraio, fu da allora festa nazionale. La data ricordava anche le apparizioni di Lourdes e fu considerata una coincidenza provvidenziale. Il papa di allora, Pio XI, commentò: «E forse ci voleva un uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale». Quell'uomo era Mussolini, allora capo del governo, e la frase di Pio XI finì col diventare, a suo tempo, lo slogan con cui i malevoli dimostravano la complicità della Chiesa col fascismo. Ci volle un altro «uomo della provvidenza», nel 1984, per rinnovare quei Patti: Craxi, che non a caso le vignette comuniste dipingevano sempre in pose da Duce. Al di là della propaganda politica, tuttavia, l'era di Craxi declassò la Festa Nazionale della Conciliazione tra Stato e Chiesa a giorno feriale qualsiasi, Era il tempo in cui la narrazione politica in auge sosteneva che gli italiani lavorassero poco rispetto alle Nazioni Più Avanzate (cioè, quelle di cultura protestante), cosi parecchie feste religiose vennero abolite. Non era, in realtà, che una riedizione della vecchia vulgata ottocentesca che descriveva i popoli cattolici come sottosviluppati perché bigotti e dediti alla festa. Ne avevano fatto le spese, a volte in modo sanguinoso, la Spagna, il Portogallo, la Francia, il Messico, l'Austria. E anche l'Italia, che nel 1870 aveva visto il Papa preso a cannonate e il Concilio in corso interrotto manu militari. Come risultato della perdita di indipendenza politica per la Chiesa, per esempio, durante la Grande Guerra i rappresentanti diplomatici presso la Santa Sede dei Paesi nemici dell'Italia dovettero andarsene. E ci volle una lunga e defatigante trattativa perché i chierici e i seminaristi fossero assegnati alla Sanità anziché alla trincea. Coi Patti, invece, durante la Seconda guerra mondiale i diplomatici poterono restare, e il \/aticano poté accogliere anche gli antifascisti che vi si rifugiarono (e gli ebrei).
IDEE CHIARE
La vecchia classe dirigente liberale italiana era così intrisa di mentalità anticlericale che al trattato di Versailles nel 1919 si era preoccupata soprattutto di non far partecipare la Santa Sede al tavolo negoziale, unico incasso di una vittoria per il resto «mutilata». L'Italia, nel 1929, aveva voluto siglare l'importantissimo momento dei Patti inaugurando addirittura una lunga strada in Roma, quella Via della Conciliazione che porta a San Pietro. Come ha ricordato Gennaro Malgieri su Formiche.net (11 febbraio 2019), Mussolini aveva in materia le idee chiare fin dal suo esordio in Parlamento nel 1921. In quell'occasione disse senza mezzi termini: «La tradizione latina e imperiale di Roma è oggi rappresentata dal cattolicesimo. (...) io penso e affermo che l'unica idea universale che oggi esiste a Roma è quella che si irradia dal Vaticano». Mussolini era allora un semplice deputato, uno dei tanti. E sapeva bene così facendo di rinnegare il suo passato di socialista anticlericale. Sapeva anche di inimicarsi i laicisti di ogni schieramento e perfino la componente del suo fascismo «intrinsecamente avversa al confessionalismo e in alcuni settori legata alla massoneria». Aveva ben chiaro che, senza la risoluzione una buona volta della Questione Romana, l'Italia sarebbe rimasta quel «regno di terz'ordine» che aveva fatto scuotere la testa a Dostojewski all'ora della Breccia di Porta Pia. Stessa lungimiranza ebbe, e stesso scandalo suscitò, Togliatti quando, alla Costituente, votò a favore dell'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione della Repubblica (il famoso articolo 7).
1) IL TRATTATO
I Patti constavano di tre parti. La prima, il...Tue, 12 Nov 2019 - 8 - Beata Vergine Maria del Rosario: quando è nata la festa e perché?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5842
BEATA VERGINE MARIA DEL ROSARIO: QUANDO E' NATA LA FESTA E PERCHE'? di Ermes Dovico
Il 7 ottobre 1571, nelle acque greche di Lepanto, la flotta musulmana dell'Impero Ottomano si scontrò con la flotta cristiana della Lega Santa, che riuniva le repubbliche di Venezia e Genova, lo Stato Pontificio, l'Impero Spagnolo, i maggiori ducati italiani e i Cavalieri di Malta. Lo stendardo della Lega Santa, benedetto prima della partenza da san Pio V, raffigurava il Crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo, sormontato dal motto In hoc signo vinces. Fu l'unico simbolo a sventolare nello schieramento cristiano, assieme a un'immagine della Madonna con la scritta Sancta Maria succurre miseris, mentre il vessillo della flotta turca riportava migliaia di volte il nome di Allah. Prima della battaglia, i cristiani recitarono il Rosario e chiesero l'intercessione di Maria.
Quel 7 ottobre segnò la prima grande vittoria di un'armata cristiana dell'Europa - allora consapevole delle proprie radici e della necessità di difenderle - contro l'Impero Ottomano e il suo espansionismo che aveva già islamizzato molti territori. I messaggeri informarono Roma solo 23 giorni dopo, ma il giorno stesso della battaglia san Pio V aveva avuto una visione e ordinato: «Sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto per intercessione della Vergine Santissima». Così nacque la festa di Santa Maria della Vittoria, chiamata poi Madonna del Rosario, fino alla denominazione attuale che nasce dalla riforma del calendario del 1969. Nel 1883, intanto, Leone XIII aveva «consacrato e dedicato alla celeste Vergine del Rosario» tutto ottobre, incoraggiando la recita quotidiana dell'orazione per l'intero mese.
Il Rosario aveva conosciuto uno straordinario impulso già nel XIII secolo grazie ai domenicani (san Domenico, che aveva pregato per capire come sconfiggere l'eresia catara, vide la Vergine che gli consegnava la coroncina) e alle varie confraternite nate proprio con lo scopo di diffondere questa preghiera, che pure nei secoli precedenti stava pian piano prendendo forma. Le apparizioni di Fatima hanno poi fatto aumentare la consapevolezza sull'importanza del Rosario nel disegno salvifico di Dio, come arma contro Satana. La Madonna ne raccomandò ai pastorelli la recita quotidiana già nella prima apparizione del 13 maggio 1917, «per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra».
Suor Lucia ne spiegò ulteriormente la potenza in un'intervista con padre Fuentes: «La Santissima Vergine ha voluto dare, in questi ultimi tempi in cui viviamo, una nuova efficacia alla recita del Santo Rosario. Ella ha talmente rinforzato la sua efficacia che non esiste problema, per quanto difficile, di natura materiale o specialmente spirituale, nella vita privata di ognuno di noi o in quella delle nostre famiglie, delle famiglie di tutto il mondo, delle comunità religiose o addirittura nella vita dei popoli e delle nazioni, che non possa essere risolto dalla preghiera del Santo Rosario. Non c'è problema, vi dico, per quanto difficile, che non possa essere risolto dalla recita del Santo Rosario. Con il Santo Rosario ci salveremo, ci santificheremo, consoleremo Nostro Signore e otterremo la salvezza di molte anime».
Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 6 minuti) viene ricostruita la Battaglia navale dove la Lega Santa cristiana sconfisse la Flotta Ottomana (musulmana) nel Golfo di Lepanto e Patrasso.Thu, 10 Oct 2019 - 7 - La leggenda di Woodstock è totalmente fuorviante (come molti dei miti degli anni '60)
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LA LEGGENDA DI WOODSTOCK E' TOTALMENTE FUORVIANTE (COME MOLTI DEI MITI DEGLI ANNI '60) di Giulia Tanel
Cinquant'anni fa, tra il 15 e il 18 agosto 1969, si svolgeva vicino a Bethel, una cittadina rurale dello Stato di New York, la Fiera della Musica e delle Arti di Woodstock. Nell'immaginario collettivo, che si è costruito una (fuorviante) idea del festival grazie al documentario - premio Oscar nel 1970 - dal titolo "Woodstock: tre giorni di pace, amore e musica", si è trattato di un festoso e pacifico raduno di giovani che ha dato slancio al movimento controculturale che ha visto nell'affermarsi della "rivoluzione sessuale" e nella conquista dei cosiddetti "diritti civili", in primis aborto e divorzio, i suoi frutti più eclatanti.
Eppure, una lettura meno disincantata e più attinente ai fatti, unita a un'analisi delle conseguenze derivate, non solo è possibile, ma è anche un dovere di verità. Ed è proprio questa l'analisi che propone K.V. Turley sul National Catholic Register, innanzitutto affermando che Woodstock, inteso appunto secondo la concezione più diffusa del fenomeno, «non è mai esistito. Era un campo fangoso con quasi mezzo milione di giovani, molti dei quali erano drogati e ascoltavano musica rock attraverso un cattivo sistema di diffusione sonora con carenza di cibo e servizi igienici. [...] Eppure, come gran parte dei miti degli anni '60, la leggenda che è stata stampata sul festival è totalmente fuorviante».
Non c'è stato solo Woodstock, naturalmente: sempre nel 1969, questa volta in California, si svolse l'Altamont Free Concert, presentato come il West Coast Woodstock, che vide i Rolling Stone suonare come primo pezzo la canzone Sympathy for the Devil, dopo che già durante la "mitica" Summer of Love del 1967 avevano registrato l'album Their Satanic Majesties Request... Le parole parlano da sé e questi eventi, rileva Turley, «non sono che i mezzi con cui gli aspetti di quella rivoluzione [sessuale, ndR] continuano ad essere glamour, anche se è stata, e continua ad essere, una rivoluzione mortale come qualsiasi guerra e, con il senno di poi di mezzo secolo, con altrettante causalità». Infatti, si domanda ancora il giornalista, «è una semplice coincidenza che il festival controculturale di Woodstock abbia avuto inizio durante la festa dell'Assunta? O se Altamont si è tenuto durante la festa dell'Immacolata Concezione? O che l'inno hippy originale dell'estate del 1967 e oltre San Francisco (Be Sure to Wear Flowers in Your Hair) è stato rilasciato il 13 maggio, festa della Nostra Signora di Fatima?».
Quanto è certo, chiosa Turley, è che quello che Woodstock rappresentava - e ancora rappresenta - continua a seminare falsità demoniache nel mondo. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Come ha recentemente dichiarato al New York Times Roger Daltrey, della rock band inglese The Who, che nell'agosto del 1969 era presente in prima persona a Bethel: «Woodstock non era pace e amore. C'erano un sacco di urla, di continuo. Quando tutto finì, i lati peggiori della nostra natura erano emersi».
Ecco perché, di fronte alle celebrazioni per il cinquantennio dell'evento clou dei "figli dei fiori", è importante, in prima istanza per i cattolici, smascherare l'errore portato subdolamente avanti dalla narrazione ideologicamente allineata e, di contro, riaffermare pubblicamente quella che è la Via, la Verità e la Vita: Gesù Cristo, il Salvatore.Tue, 03 Sep 2019 - 6 - Lutero ammise di non avere la vocazione
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5775
LUTERO AMMISE DI NON AVERE LA VOCAZIONE
Lutero, in realtà, non aveva la vocazione né alla vita monastica né al sacerdozio; da qui la sua infelicità.
Si racconta, anche se sembra che questo fatto non sia avvenuto, che quando era all'Università di Erfurt, si batté a duello con un compagno, Gerome Bluntz, uccidendolo. E sappiamo anche che entrò nel monastero degli agostiniani solo per sfuggire alla giustizia. Egli stesso lo dice: "Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che l'ordine agostiniano mi proteggeva."
UNA FINTA VOCAZIONE
Dicevamo che tale misfatto pare non sia avvenuto, ma in realtà questo conta poco perché il solo fatto che si sia poi diffuso questo racconto dimostra che era di dominio popolare la convinzione che Lutero avesse deciso con poca riflessione di intraprendere la vita religiosa. Un altro racconto narra che una tempesta avrebbe colto Lutero nel bosco e un fulmine ucciso il suo amico, per cui Lutero, impauritosi, avrebbe fatto voto a sant'Anna di farsi monaco se fosse uscito indenne da quella tempesta. Ebbene, anche questo racconto è in linea con il primo: la scelta di diventare monaco sarebbe stata in Lutero poco riflettuta.
Questa assenza di vocazione lo rese nevrotico e infelice. Si narra che durante la sua prima Messa, al momento dell'offertorio, stava per fuggire e fu trattenuto dal suo superiore.
Potremmo chiederci: ma se eventualmente si sbaglia la vocazione è possibile mai che il Signore non dia la grazia sufficiente per andare avanti? Certamente. Il problema di Lutero fu un altro e cioè che non volle rendersi docile alla Grazia. Quando si abbandona tutto e si tradisce la verità è sempre perché si è prima abbandonata la preghiera. Lutero stesso scrisse nel 1516, cioè prima della svolta della sua vita: "Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo."
Fu così che credette di trovare la soluzione della sua infelicità nella Lettera ai Romani (1,17): "Il giusto vivrà per la sua fede". Per la salvezza non occorre nessun sforzo di volontà se non quello di abbandonarsi ciecamente alla fede nel Signore (fideismo).
VOLONTARISMO E FIDEISMO: QUANDO GLI OPPOSTI SI ATTRAGGONO
In Lutero dunque si ritrova tanto il volontarismo quanto il fideismo. Il volontarismo: darsi una vocazione che non c'è; il fideismo: negare totalmente qualsiasi contributo della volontà. Due errori completamente diversi, ma, proprio perché errori, dalla origine comune.
L'ipotesi di una successione diacronica di volontarismo e di fideismo in Lutero troverebbe conferma negli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola, contemporaneo di Lutero, che impostò la spiritualità del suo Ordine (i Gesuiti) in chiara prospettiva antiluterana. Scrive sant'Ignazio: "Ci sono tre tempi o circostanze per fare una buona e sana elezione. Il primo: è quando Dio nostro Signore muove e attrae tanto la volontà che, senza dubitare né poter dubitare, l'anima devota segue quello che le è mostrato, come fecero san Paolo e san Matteo nel seguire Cristo nostro Signore. Il secondo: quando si riceve molta chiarezza e conoscenza per mezzo di consolazioni e desolazioni, e per l'esistenza del discernimento degli spiriti. Il terzo: è il tempo di tranquillità. L'uomo, considerando prima perché è nato, e cioè per lodare Dio nostro Signore e salvare la sua anima, e desiderando questo, elegge come mezzo uno stato o un genere di vita nell'ambito della Chiesa, per essere aiutato nel servizio del suo Signore e nella salvezza della propria anima. E' tempo di tranquillità quello in cui l'anima non è agitata da vari spiriti e usa delle sue potenze naturali liberamente e...Tue, 13 Aug 2019 - 5 - Vi siete chiesti perché a scuola ci fanno studiare Giacomo Leopardi e non suo padre?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5745
VI SIETE CHIESTI PERCHE' A SCUOLA CI FANNO STUDIARE GIACOMO LEOPARDI E NON SUO PADRE? di Gianandrea de Antonellis
L'Italia e il mondo conoscono e apprezzano Giacomo Leopardi, peraltro sempre presentato come vittima della "chiusura mentale" del padre Monaldo (e dei suoi sperperi economici). La realtà è ben diversa, come spesso accade.
Il conte Monaldo Leopardi ha sempre pagato lo scotto di essere stato uomo di fede integerrima e idee e costumi tradizionali, non allineati all'ideologia del tempo, al contrario, occorre dirlo, del figlio, apprezzato dalla critica progressista, non solo ma anche, per la sua convinta adesione al materialismo ateo.
ARISTOCRAZIA COME MISSIONE
A scuola lo si ricorda solo come burbero padre di Giacomo Leopardi (e c'è molta leggenda nera nei rapporti tra i due), ma il conte Monaldo è invece una importante figura della storia, della cultura e - perché no? - anche della letteratura italiana a cavallo tra '700 e '800.
Nato a Recanati (allora provincia pontificia della Marca) il 16 agosto 1776 venne istruito in famiglia, come si usava a quel tempo. Il carattere, la formazione intellettuale e culturale, le vicende personali e familiari di Monaldo sono note grazie alla sua Autobiografia in cui, fra l'altro, scrive: «i principi di religione e di onore, e i modi nobili e generosi erano ereditari nella mia famiglia, tantoché i congiunti miei li trasfusero in me senza avvedersene».
Monaldo era attento anche all'abbigliamento, considerandolo un aiuto a mantenere un comportamento conveniente e a non cedere alle tentazioni: vestiva in modo severo, mai ostentato e portava lo spadino - già al tempo passato di moda - fino a quando ne venne proibito l'uso durante la Repubblica Romana.
In seguito il conte avrebbe osservato acutamente che le rivoluzioni hanno inizio proprio con l'apportare mutamenti al costume e con l'introdurre nuove mode: «Coloro che hanno immaginato di sconvolgere gli ordini della società e di rovesciare le istituzioni più utili e rispettate hanno incominciato dall'eguagliare il vestiario di tutti i ceti raccomandando la causa loro alla moda».
Parole che conservano ancora tanta verità: chissà cosa avrebbe pensato delle volgarissime, recenti mode, dal piercing ai tatuaggi, al fondoschiena ostentato.
UNA VITA DI IMPEGNO CIVICO
Nel 1797 sposò Adelaide dei marchesi Antici: dall'unione nacquero cinque figli (il primo è il poeta Giacomo), che il conte seguì amorevolmente, sforzandosi d'essere una guida affettuosa, studiando con loro e costituendo quella biblioteca familiare, che sarà uno strumento essenziale per la formazione di Giacomo.
Seguendo le tradizioni familiari si interessò attivamente di politica diventando consigliere comunale di Recanati a diciotto anni, governatore della città a ventidue, quindi amministratore dell'annona.
Si sforzò di pacificare gli animi nel turbolento periodo dell'invasione francese e, durante la Repubblica Romana e il Regno d'Italia, rifiutò di assumere incarichi pubblici.
Durante la Restaurazione fu due volte gonfaloniere di Recanati, la massima carica amministrativa, e si occupò della costruzione di strade e di ospedali, dell'illuminazione notturna, del sostegno ai meno abbienti, della riduzione delle gabelle, del rilancio degli studi pubblici e delle attività teatrali, perché «la coltura delle scienze e delle arti è misura della moralità e della prosperità sociale».
A differenza di quanto si pensa, Monaldo Leopardi non fu chiuso alle innovazioni. Pur preoccupato per le conseguenze della meccanizzazione sull'occupazione, ritenne che ferrovie e macchine a vapore rappresentassero un progresso; nei suoi possedimenti seguì le innovazioni degli agronomi più avvertiti (dalla messa a coltura dei prati all'applicazione di nuove colture, come il cotone...Wed, 07 Aug 2019 - 4 - La cattolicità di Cristoforo Colombo ha permesso la scoperta dell'America
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5669
LA CATTOLICITA' DI CRISTOFORO COLOMBO HA PERMESSO LA SCOPERTA DELL'AMERICA di Maurizio Parenti e Marco Tangheroni
Come l'esperienza marinara di Cristoforo Colombo si inquadra perfettamente nella storia della sua patria e del suo tempo, così il progetto di raggiungere l'Oriente passando, attraverso l'Oceano, per l'Occidente, si stava imponendo, sia pure in maniera sfocata e imprecisa, in diversi ambienti scientifici ed eruditi dell'epoca: basti ricordare l'influenza di Paolo dal Pozzo Toscanelli.
Il navigatore genovese ha il merito di concepire con maggior precisione il disegno, rafforzando le tesi di alcuni dotti con la personale esperienza di uomo di mare, che aveva osservato indizi significativi e raccolto anche alcune voci degli ambienti marinari; e quindi di perseguire con ostinazione la realizzazione dell'impresa condotta, poi, con le sue straordinarie doti nella guida delle navi e degli uomini.
Tuttavia è bene ricordare che il suo progetto si basava su un duplice errore geografico, pur condiviso da sapienti di grande autorità, e verrebbe voglia di esclamare con la liturgia del Sabato Santo: felix culpa! Infatti egli riteneva la Terra molto più piccola e l'Asia molto più estesa verso l'Europa. Così gli poté apparire realizzabile un viaggio che, senza l'inattesa presenza di un altro continente, si sarebbe rivelato, evidentemente, impossibile.
L'EUFORIA PER LA RECONQUISTA DELLA SPAGNA
È importante ricordare questo fatto perché ci permette di comprendere il parere negativo sia degli studiosi consultati dal re del Portogallo, Giovanni II, sia di quelli spagnoli, in buona parte dell'università di Salamanca, interpellati dai Re Cattolici. Essi avevano, da un punto di vista matematico e geografico, ragione. E su questo piano avvennero, com'è documentato, le discussioni. Naturalmente non era in questione la sfericità della Terra, dato pienamente acquisito dalla cultura geografica medievale, ma la sua dimensione; e non sarebbe stato necessario ricordarlo se non fosse ancora largamente diffuso questo luogo comune tipico della "leggenda nera" sul Medioevo.
Dunque tali studiosi non erano, come spesso li si immagina, i rappresentanti di una cultura vecchia, superata, "medioevale", contrapposta a quella nuova e "moderna" di Cristoforo Colombo. Ancor meno essi erano fanatici religiosi nemici della umanistica laicità del genovese, come, per esempio, ce li raffigurava uno sceneggiato televisivo realizzato alcuni anni or sono, senza risparmiarci nessuno dei topoi che era, ahimè, prevedibile attendersi: facce incavate, occhi ardenti, voci stridule. Semmai era proprio Cristoforo Colombo a superare, di fronte agli altri e a sé stesso, le obbiezioni oltre che con argomenti razionali anche con una convinzione progressivamente crescente di una missione affidatagli dalla Provvidenza.
Un'ultima considerazione: perché il progetto di Cristoforo Colombo, che era stato giudicato negativamente da ripetuti autorevoli pareri, trovò quasi improvvisamente accoglienza da parte dei Re Cattolici nei primi mesi del 1492?
Indubbiamente pesarono i sostenitori e i finanziatori che il navigatore genovese era riuscito a procurarsi, ma la spiegazione essenziale è da ricercarsi nell'euforia dei sovrani, della Corte e del popolo spagnoli per l'avvenuto compimento del processo di Reconquista, avviato dalla metà del secolo VIII e terminato il 2 gennaio 1492 con la conquista di Granada. [...]
LA RELIGIOSITÀ DI CRISTOFORO COLOMBO
Certamente in Cristoforo Colombo e in coloro che lo seguirono, come in generale nell'espansione europea della fine del Medioevo, non sono da trascurare le motivazioni di tipo economico e, in particolare, la ricerca dell'oro, senza dimenticare che, a partire dagli anni Quaranta del secolo XV, per i portoghesi acquista crescente...Wed, 29 May 2019 - 3 - La scoperta dell'America non è stata casuale, ma frutto della fede cattolica
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5633
LA SCOPERTA DELL'AMERICA NON E' STATA CASUALE, MA FRUTTO DELLA FEDE CATTOLICA di Francesco Pappalardo
L'arrivo nell'isola di Guanahaní - poi San Salvador - della piccola flotta capitanata dal genovese Cristoforo Colombo (1451 ca. -1506), il 12 ottobre 1492, segna l'inizio della scoperta, della conquista e dell'evangelizzazione delle Americhe. Non si tratta, dunque, di un semplice rinvenimento - come nel caso del probabile arrivo di un gruppo di vichinghi nell'America Settentrionale verso la fine del secolo X, che non ebbe alcuna conseguenza per il continente -, ma di un atto che pone le premesse di un'integrazione razziale, culturale e spirituale unica nella storia.
L'impresa di Colombo s'inserisce nel quadro dell'espansione europea dei secoli XIII-XVI, che vede protagonisti soprattutto portoghesi e spagnoli, i quali solcano con entusiasmo mari sconosciuti e affrontano i pericoli dei viaggi verso l'ignoto, animati anzitutto dal desiderio di ampliare le frontiere della Cristianità. Nell'ammiraglio genovese e in coloro che lo seguono non sono da trascurare le motivazioni economiche e la ricerca di orizzonti più ampi, anche in relazione al serrarsi del Mediterraneo Orientale per l'avanzata dei turchi ottomani, ma un peso notevole hanno pure le aspirazioni religiose, cioè il desiderio di convertire gli indigeni e di reperire fondi per la riconquista di Gerusalemme. Se il progetto crociato del grande navigatore non viene realizzato, non si può dimenticare che l'oro del Nuovo Mondo servirà a finanziare la resistenza contro i turchi.
La spedizione guidata da Colombo segue immediatamente il compimento della Reconquista, cioè del processo di liberazione della penisola iberica dai musulmani, iniziato nel secolo VIII e concluso con la presa di Granada, il 2 gennaio 1492. L'entusiasmo per la vittoria spiega anche perché i Re Cattolici, Isabella di Castiglia (1451-1504) e Ferdinando d'Aragona (1452-1516), consapevoli della grande missione della Spagna - difendere e diffondere il messaggio cristiano in Europa e nel mondo - accogliessero il progetto, apparentemente irrealizzabile, del navigatore genovese: andare dalla Spagna alle Indie "passando il Mare Oceano a Ponente".
VINTI I MORI, RICONQUISTATA LA SPAGNA, SI PASSA ALL'EVANGELIZZAZIONE DI NUOVI MONDI
A partire dal secondo viaggio di Colombo - realizzato fra il 1493 e il 1496 - la visione idilliaca delle Indie, che aveva caratterizzato fino ad allora le relazioni degli scopritori, viene meno tragicamente con l'uccisione di tutti i compagni dell'ammiraglio da parte degli indios. Ha inizio la conquista, il cui fine principale è sempre l'evangelizzazione, che prevale su altri fini del tutto leciti, come l'onore e la grandezza della Spagna, nonché la ricerca di ricchezze e di profitti materiali. L'ideale missionario, applicato alle nuove terre, costituisce l'humus dal quale scaturisce un tipo umano forse irripetibile, quello dei conquistadores. Figli di una terra dove si era appena conclusa la crociata contro i mori, ma in cui sopravviveva lo spirito che l'aveva ispirata, molti di essi attraversano l'oceano animati da un sogno di conquista e di gloria, fondato sulla volontà di ampliare i confini della fede cristiana e i domìni della Corona spagnola.
La conquista, soprattutto nella fase iniziale, è una sorpresa per tutti, risultando come la conseguenza non di un piano preciso, ma di una serie di reazioni di fronte a situazioni impreviste o d'iniziative di pochi audaci, come quella di Hernán Cortés (1485-1547) nei territori dell'attuale Messico. Inoltre, solo per le comunità del Centroamerica e dell'America andina si può parlare di vera e propria conquista, perché i nuovi arrivati non si misurano con organizzazioni primitive, ma con autentici Stati, caratterizzati peraltro da inspiegabili assenze sul piano economico e tecnologico - la ruota, l'allevamento, la lavorazione del...Wed, 08 May 2019 - 2 - Guida a sinistra: L'Inghilterra antipapista ha mantenuto la ''regola'' di Papa Bonifacio VIII
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5621
GUIDA A SINISTRA: L'INGHILTERRA ANTIPAPISTA HA MANTENUTO LA ''REGOLA'' DI PAPA BONIFACIO VIII
L'espressione "mano da tenere" indica su quale lato (o "mano") della strada i mezzi di trasporto debbono mantenersi durante il percorso, secondo quanto imposto dai regolamenti vigenti in un determinato Stato o in particolari circostanze.
L'obbligo di tenere la stessa mano durante la circolazione stradale permette ai veicoli che viaggiano in direzioni opposte lungo una strada di non ostacolarsi allorquando si sfilino lungo il percorso. Questa convenzione evita che i veicoli si blocchino a vicenda, promuovendo contemporaneamente la sicurezza stradale e riducendo il rischio di incidenti stradali. [...]
PAPA BONIFACIO VIII "CANONIZZA" LA GUIDA A SINISTRA
Nel Medioevo i cavalieri tenevano la sinistra al fine di utilizzare più agevolmente e con maggior libertà la propria spada con la mano destra in caso di attacchi improvvisi durante il percorso; anche nello svolgimento dei tornei di giostra a cavallo era consuetudine tenere la sinistra per poter meglio impugnare la lancia con la mano destra.
Il primo documento sull'obbligo di tenere la sinistra risale a papa Bonifacio VIII, in occasione del primo Giubileo del 1300, come norma generale per raggiungere Roma e, in particolare, per l'attraversamento pedonale dell'affollatissimo ponte di Castel Sant'Angelo; lo stesso Dante Alighieri ricorda l'episodio nell'inferno della Divina Commedia.
Nel 1722 il traffico sul London Bridge era diventato così intenso che il sindaco decretò che «tutti i veicoli che da Southwark entravano in città tenessero il lato ovest del ponte e tutti i veicoli che uscivano dalla città tenessero il lato est». Questa ordinanza è stata identificata come una delle possibili origine della regola inglese di guidare tenendo la sinistra.
Nel XVII secolo, con la comparsa delle prime carrozze, questa consuetudine restò in vigore obbligando così i pedoni, solitamente poveri che non possedevano una carrozza, a camminare sulla destra per non essere travolti.
LA RIVOLUZIONE FRANCESE ROVESCIA LA "TRADIZIONE"
La consuetudine imposta da Bonifacio VIII fu interrotta dalla Rivoluzione francese, probabilmente perché si trattava di un'usanza considerata clericale. Napoleone Bonaparte impose quindi il nuovo senso di marcia nei territori conquistati, e la guida a destra si diffuse ovunque, anche se in Italia, fino al 1923, le poche automobili in circolazione potevano viaggiare sia a sinistra, sia a destra.
Tuttavia sussistono anche motivazioni tecniche non trascurabili e spinte da necessità prettamente pratiche. Nell'epoca delle carrozze, tenere la sinistra nelle strade a due sensi di marcia faceva sì che il cocchiere, che solitamente teneva la frusta con la mano destra verso il centro tra le due corsie, avesse meno probabilità di colpire i pedoni che transitavano ai lati delle strade.
Con l'avvento delle prime automobili emersero nuove motivazioni. I primi esemplari di automobile avevano il freno a mano all'esterno, sul predellino del lato destro della vettura, per essere stretto dalla mano destra con più forza e quindi il volante si trovava a destra dell'abitacolo. Inoltre a quel tempo la manovra che risultava più difficoltosa era incrociare un altro veicolo proveniente dal senso opposto: questa condizione, specie sulle strade strette, costringeva i veicoli ad allontanarsi quanto più possibile l'uno dall'altro per non urtarsi. Il conducente, per realizzare al meglio questa manovra, si doveva spostare sul lato stradale più esterno per accertarsi che le ruote non uscissero dalla carreggiata; per questa ragione, essendo il volante posto a destra, anche il senso di marcia era a destra. Negli anni successivi l'evoluzione tecnica delle vetture portò a installare il freno a mano...Wed, 24 Apr 2019 - 1 - La profezia di San Giovanni Bosco ai Savoia
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3727
LA PROFEZIA DI SAN GIOVANNI BOSCO AI SAVOIA di Alberto Torresani
I Savoia, prima come conti, poi duchi e infine come re di Sardegna, sono stati presenti in Piemonte per quasi mille anni. Reggevano uno Stato cuscinetto per tenere distanti due grandi potenze: Francia e Impero tedesco. Hanno assolto tale funzione adottando l'alleanza col maggiore offerente, acquistando un territorio sempre più esteso ed armando sempre un esercito superiore alle loro finanze, da impiegare oculatamente, per intimorire l'avversario.
La storia di quella famiglia conosce alcuni casi di santità, a preferenza tra le donne, perché venivano educate con rigore morale, mentre gli uomini dovevano essere rudi soldati, coi relativi usi e costumi.
La rivoluzione francese rischiò di travolgere i Savoia. Furono sconfitti da Napoleone e il re trovò rifugio in Sardegna, difeso dalla flotta di Nelson. Il Piemonte corse il rischio di esser trasformato in un dipartimento francese: solamente la vittoria dell'ultima coalizione antifrancese riportò Vittorio Emanuele I a Torino. Qui giunto, allontanò da corte coloro che si erano compromessi col governo francese, ma le terre confiscate agli enti ecclesiastici rimasero ai nuovi proprietari.
Purtroppo, nessun re di casa Savoia risultò una mente superiore e così andò sprecato un tesoro immenso, la fedeltà dei loro sudditi. Fra tutte le opzioni politiche allora discusse per unificare l'Italia, il modello federativo suggerito da Antonio Rosmini, che era il migliore, fu sciupato da Carlo Alberto. Nel 1847, il papa Pio IX inviò Mons. Corboli Bussi in missione a Firenze, Modena, Parma e Torino, proponendo l'Unione Doganale tra quegli Stati, a somiglianza di quanto era avvenuto per lo Zollverein tedesco, preludio dell'unificazione politica. La missione ricevette risposta positiva ovunque, meno che a Torino. Qui ormai prevalevano venti di guerra.
UN ANTICLERICALISMO MONTANTE
Durante la Prima guerra del Risorgimento i liberali si scoprirono antigesuiti, anticlericali, desiderosi di uscire da ogni tutela ecclesiastica. Fu decisa la cacciata dei Gesuiti (una ventina) e la chiusura delle loro scuole, comprese quelle dei "gesuitanti" come le Dame del Sacro Cuore. A Chambery, in Savoia, esse avevano una scuola superiore femminile, frequentata anche da alunne francesi e svizzere. I deputati della Savoia che lamentavano, in caso di chiusura, l'assenza completa di istituti analoghi in grado di sostituirla, si sentirono dire dal ministro: "Meglio nessuna scuola piuttosto di una scuola di gesuitanti".
Don Bosco, nel 1848, notò tra i suoi ragazzi un crescente bellicismo con fioritura di esercizi militari, marce, odio al nemico e dovette prodigarsi perché quei sentimenti non distruggessero il suo lavoro. Per poco tempo don Bosco ritenne possibile favorire un qualche partito che si ponesse a difesa dei valori cattolici, ma quando percepì la disunione esistente tra i cittadini dichiarò di aderire al "partito del Papa" nel senso di obbedire a principi religiosi non legati a partiti. Avendo bisogno di tutti non poteva schierarsi per alcuno.
LA PROFEZIA DI DON BOSCO
La Prima guerra del Risorgimento terminò col disastro di Novara nel febbraio 1849, l'abdicazione di Carlo Alberto e la successione di Vittorio Emanuele Il.
Ben presto si fece luce il liberalismo del Cavour, dapprima come ministro di Commercio e Agricoltura, poi dal 1852 come primo ministro. Cavour decise di appiattire la politica piemontese su quella d'Oltralpe: perciò riforme liberali, investimenti in infrastrutture come strade, porti, ferrovie, telegrafo. Nel 1855 il Cavour prese a pretesto la necessità di ridurre la voce del bilancio statale riservata al culto. Perciò, unilateralmente, decise la confisca di metà del patrimonio ecclesiastico presente nel Regno, di...Wed, 29 Apr 2015
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